È cominciata la discussione nella Sala delle Assemblee dell’ONU: più di cento delegazioni di governi, molto più folte del solito e parecchie delle quali con esperti provenienti dalle organizzazioni delle persone con disabilità, come quella italiana; quasi cinquecento persone in rappresentanza delle ONG (Organizzazioni Non Governative) di persone con disabilità e loro familiari; le Agenzie dell’ONU; organismi internazionali e nazionali sui diritti umani; associazioni per le persone con disabilità: la sala è piena, e vi è nell’aria la sensazione di partecipare ad un evento storico per i 600 milioni di persone con disabilità nel mondo.
L’ambasciatore Don MacKay – presidente del Comitato Ad Hoc – introducendo i lavori ha subito sottolineato che l’obiettivo di questa settima sessione è di giungere ad una lettura completa del testo da lui proposto, in modo da concentrarsi nella sessione di agosto sui temi più controversi in esso contenuti.
Si è iniziato, quindi, discutendo gli articoli della Convenzione meno complessi e lasciando quelli dove non c’è ancora un accordo agli ultimi giorni di queste tre settimane di lavoro.
Più precisamente la prima giornata è stata dedicata all’articolo 5, sulla non discriminazione e all’articolo 8, sulla presa di coscienza. La discussione è stata da subito molto concreta, poiché a questo stadio si dibatte di un testo che sembra condiviso e l’obiettivo, quindi, è quello di scrivere l’articolato definitivo.
La non discriminazione è una nozione largamente condivisa all’interno del Comitato Ad Hoc, però poco conosciuta in Italia. Nata negli Stati Uniti con l’ADA (Americans with Disabilities Act), nel 1990, essa è diventata una delle bandiere del movimento mondiale: tutti i trattamenti differenti senza giustificazione rappresentano delle discriminazioni e quindi sono violazioni dei diritti umani.
In Europa questa legislazione è stata sviluppata anche in Portogallo, Regno Unito e Irlanda e sta diventando parte delle normative di altri Paesi. L’Unione Europea, dal canto suo, l’ha introdotta in due direttive, sulla razza e sull’impiego. In merito a questo, però, l’EDF (European Disability Forum) richiede già dal 2003 che vi sia una nuova direttiva orizzontale che includa tutti i campi di discriminazione, dall’accessibilità, all’educazione, alla vita indipendente.
Il testo della Convenzione in discussione darà un contributo importante per accelerare i tempi di confronto in tutti i Paesi e anche nella stessa Unione.
L’articolo 8, invece, si occupa di responsabilizzare la società con campagne che favoriscano una presa di coscienza del modello di disabilità basato sui diritti umani.
Qual è il ruolo dei governi? Quale quello delle ONG? E i mass media cosa dovrebbero fare? Basta pensare alla situazione italiana, e cioè a come le trasmissioni televisive che utilizzano questo nuovo paradigma siano relegate (quando esistono) nelle ore notturne, e al fatto che i giornali quasi mai inseriscano questi temi in prima pagina, per capire come sia importante questo articolo.
Nel pomeriggio, tra una sessione è l’altra, il presidente MacKay ha incontrato l’IDC (International Disability Caucus), dimostrando l’importanza che egli assegna a questo organismo unitario delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Ed è stato in questa occasione che MacKay ha ribadito l’obiettivo dei lavori: muovendo dal presupposto che la Convenzione è uno strumento legato al rispetto dei diritti umani, lo scopo è quello di approdare ad un testo condiviso e sostenuto dai governi – da presentare all’approvazione dell’Assemblea Generale dell’ONU – cercando quindi di non arrivare a votazioni né durante i lavori del Comitato Ad Hoc, né in Assemblea Generale.
L’ambasciatore ha sottolineato poi sia il ruolo importante che le organizzazioni di persone con disabilità devono giocare in questa discussione, sia il suo personale impegno affinché esse vengano coinvolte in ogni fase della discussione.
Egli si è dedicato anche ai temi più controversi, ovvero quelli riguardanti le donne e i bambini con disabilità, sui quali ha promesso di lavorare in incontri informali con i facilitatori e con le delegazioni governative, motivo per cui la discussione su questi articoli sarà posta all’ordine del giorno nelle prossime due settimane.
La stessa cosa vale anche per il tema del monitoraggio (articoli. 33 e 34) – si attende infatti in questa settimana un documento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite sulla riforma dell’insieme dei sistemi di monitoraggio di tutte le convenzioni – e per quello della cooperazione internazionale (articolo 32), sul quale non c’è ancora un accordo.
Rispetto al tema dell’educazione, invece, MacKay si è impegnato ad una discussione in Assemblea, visto e considerato che finora su questo si è già svolto un dibattito molto ampio. D’altro canto, ha ricordato sempre il presidente del Comitato Ad Hoc, le discussioni che avranno luogo nel corso degli eventi collaterali (side events) – organizzati da varie ONG e istituzioni contestualmente ai lavori del Comitato stesso – potranno essere ugualmente utili a favorire il dibattito sui temi più controversi.
Sempre MacKay si è impegnato inoltre a intervenire presso le delegazioni dei governi interessati, allo scopo di sollecitare un chiarimento sul perché sia stato negato il visto di accesso agli Stati Uniti a Luis Fernando Astorga, il delegato costaricano detenuto per ottanta ore all’aeroporto di Miami dalla polizia di immigrazione americana senza poter comunicare con nessuno e che – nonostante avesse tutti i documenti richiesti – è stato mandato a casa con il primo volo.
L’impressione generale, dunque, è molto positiva. Il Comitato Ad Hoc sta lavorando alla Convenzione sotto una guida consapevole e concreta e già alla fine di queste tre settimane di lavoro il testo che uscirà sarà in una fase avanzata di scrittura.
L’ambasciatore Don MacKay è certamente un ottimo presidente, competente, motivato e orientato ad una concretezza anglosassone: «l’ottimo è peggio del buono», è una delle sue massime più note.
Quindi, la Convenzione cui si approderà forse non includerà tutto quello che il nostro movimento mondiale chiede, ma sarà certamente la migliore possibile in questo momento. E questa è una bella notizia, che lascia ben sperare per il futuro della tutela dei diritti umani delle persone disabili nel mondo.
*Advisor (consigliere) della Delegazione Ufficiale del Governo Italiano, in qualità di rappresentante del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).