La disabilità in giallo: riflessioni sui Simpson

di Stefano Andreoli*
Una serie televisiva di cartoni animati "storici" analizzata in rapporto alla disabilità, per capire che un umorismo graffiante e leggero non cambierà il mondo, ma può senz'altro aiutare a vivere meglio

I SimpsonChe cosa contraddistingue una qualsiasi situation comedy di successo, tipo Happy days o Love Bugs, rispetto ai Simpson? Perché questa serie televisiva è molto più di un semplice prodotto di successo?
Innanzitutto perché è un cartone animato per adulti (che però piace anche ai bambini); in secondo luogo perché non è un semplice cartone animato, ma un prodotto estremamente raffinato dal punto di vista grafico e stilistico, curato sin nei minimi particolari (non a caso ogni episodio ha un tempo di produzione che va dai sei agli otto mesi, un costo di circa mezzo milione di dollari e vi lavorano 250 persone); in terzo luogo perché nei Simpson ogni modo di pensare, luogo comune, istituzione, categoria, gruppo sociale, condizione, compresa la disabilità, diventa oggetto di satira, bersaglio di un umorismo graffiante e leggero, che diverte e fa riflettere senza avere la pretesa di spiegare il mondo.
E a mio parere – come succede con certe vignette – è anche il modo migliore per rappresentare l’handicap e per migliorarne la percezione tra gli spettatori (e sono la maggioranza) che di handicap non si occupano. 

Homer e Pinocchio
Ancora oggi, quando si parla di differenze tra i sessi, si ritiene che il maschio incarni la sfera della razionalità e la femmina quella della complessità, che la mentalità maschile sia assimilabile ad una linea retta, quella femminile a una spirale.
Ad eccezione di Lisa, nella famiglia Simpson non è così. Marge è la parte razionale, lineare, con i piedi per terra, mentre Homer, che a prima vista potrebbe essere considerato una semplice sommatoria di istinti primari al di sotto del livello della razionalità, è invece il personaggio più complesso e a volte anche il più imprevedibile della serie.
Ed è anche il personaggio che più degli altri “incrocia” la disabilità, involontariamente, ma anche e soprattutto volontariamente.
Cercheremo dunque – prima di affrontare il tema principale di questa riflessione – di “smontarne” la personalità e per farlo mi servirò di un altro personaggio vicino al giallo e, come i cartoni animati, non-umano: Pinocchio.
Homer è una sorta di “Pinocchio rovesciato”: entrambi sono bugiardi, si cacciano spesso nei guai, infrangono le regole, sono “politicamente scorretti”, non si fanno troppi scrupoli sul mezzo da impiegare per raggiungere ciò che vogliono ottenere.
Entrambi sono un concentrato di menefreghismo e di opportunismo, ma sono anche in fin dei conti due ingenui, capaci di mettere in atto, al limite del baratro, gesti di notevole eroismo. Capaci di rimettersi in gioco, dopo aver quasi provocato un disastro. Entrambi vivono, sperimentandolo quotidianamente sulla loro pelle, in una società non certo a misura d’uomo, molto individualista, corrotta politicamente, non certo solidale con i più poveri, siano essi falegnami od operai.Homer Simpson

Senza ipocrisia
Differente è invece lo scopo delle azioni tra Pinocchio e Homer. Il primo, infatti, è animato da un fortissimo desiderio di conoscere il mondo, tant’è vero che appena Geppetto l’ha finito di costruire, scappa di casa e comincia a correre come un forsennato.
Homer, invece, è tutto orientato ad eliminare ogni sforzo dalla propria vita, per farla coincidere con (in ordine di priorità): l’ingurgitare più cibo possibile (e della peggiore qualità possibile!), ingollare fiumi di birra Duff (anche questa di pessima qualità), stare seduto sul divano davanti alla televisione a vedere programmi di pari qualità del cibo e della birra di cui sopra.
E però, nonostante tutto, nonostante sia persino capace di architettare una truffa con Bart che si finge cieco (episodio: Truffa oggi… truffa domani), non riusciamo ad odiare Homer. Anzi dovremmo chiederci: cosa ce lo rende così simpatico?
Si possono attribuire ad Homer tanti difetti, ma non certo la malvagità, l’invidia verso gli altri, l’augurare loro del male. Egli è uno che come Pinocchio ama la vita. Se c’è qualcosa che gli manca è l’ipocrisia, nel senso che in Homer c’è perfetta coerenza tra ciò che pensa e ciò che fa; nemmeno Pinocchio in fondo è un ipocrita, i suoi comportamenti, però, oscillano continuamente tra volontà e desiderio, tra il dover essere e l’essere come mi piace.
Il capofamiglia Simpson, invece, non ha tentennamenti: è come gli piace essere. Conosce i suoi limiti, ma in lui non vi è la benché minima preoccupazione per la propria immagine e questo tratto caratteriale lo porta ad essere sincero nei suoi desideri, fregandosene della salute, del giudizio degli altri e della morale comune.

Che sfortuna essere sani!
In questo quadro rientra anche la disabilità e ciò che si potrebbe definire l’inversione del ruolo abile/disabile. Infatti, Homer considera la condizione di “normodotato” una vera disgrazia, perché l’assenza di patologie invalidanti lo costringe a lavorare (anche se fare l’addetto alla sicurezza in una centrale nucleare posseduta da un avido capitalista come Mr. Burns non è certamente il massimo), anziché poter stare a casa e prendere la pensione di invalidità (ammesso che negli Stati Uniti esista qualcosa di simile).
Anche in questo caso si rivela utile il confronto con il burattino di legno. Nei primi capitoli del libro, Pinocchio, dopo aver provocato ingiustamente l’arresto di Geppetto, si ritrova a casa da solo e stremato dalla fame e dal freddo; si addormenta seduto con i piedi appoggiati sopra una scaldina; la mattina dopo, ritrovatosi con i piedi completamente bruciati, cade dalla sedia, incapace di camminare e si dispera.
Anche Homer (episodio Il centro dell’infanzia di Homer) sperimenta quanto possa essere gravoso trovarsi paralizzato: temporaneamente bloccato a casa in carrozzina per un’operazione alla colonna vertebrale, scopre che nessuno dei suoi familiari ha voglia di tenergli compagnia e chi con una scusa chi con un’altra, si defilano lasciandolo solo. Come d’altronde lui stesso ha fatto con l’anziano padre, che in questa occasione gli rinfaccia il suo atteggiamento vittimistico.
E tuttavia sono sicuramente di più i frangenti in cui egli tenta con una serie di escamotage di utilizzare la disabilità e gli ausili per disabili a proprio vantaggio, ovviamente con l’obiettivo di fare meno fatica possibile. Ecco alcuni esempi.

Contro la “carità pelosa”
Nell’episodio Le due ragazze Nahasapeemapetilons, Homer, fattosi ricoverare nella casa di riposo del padre spacciandosi per un altro ospite, si trova perfettamente a proprio agio. Nota subito le carrozzine e dice: «Hanno la sedia con le ruote e io sto qui ad usare le mie gambe!».
Un vicino di letto moribondo è tenuto in vita con un respiratore; Homer, con la massima noncuranza, dopo aver chiesto all’infermiera a cosa serva quel macchinario, esclama: «E io che sto qui ad usare i miei polmoni!». Naturalmente, appena si presenta il vero ospite, gambe e polmoni li farà funzionare come un centometrista!
In un altro episodio (TG Ragazzi) vede Apu costretto in carrozzina a seguito di uno scontro a fuoco con dei rapinatori utilizzare una scimmia addestrata, in grado di fare numerose operazioni manuali al posto suo. Homer, estasiato come un bambino di fronte a un gioco nuovo, si reca nel negozio dove Apu ha comprato l’animale e al commesso che gli chiede: «Signore, posso chiederle in cosa lei è diversamente abile?», Homer risponde: «Oh, io non sono handicappato, sono solo un po’ pigrino». «Signore, le scimmie sono solo per chi ha una menomazione fisica». Allora Homer va a prendere l’anziano padre, lo costringe a comprare la scimmietta e poi se ne va con l’animale, lasciando il padre fuori dal negozio.
E in ogni caso l’episodio più significativo, sintesi delle considerazioni fin qui espresse, è Maxi Homer.Homer come l'uomo di Leonardo
Qui il nostro scopre davvero il modo per diventare disabile: ingrassare (è gia sulla buona strada) fino a 130 chili, la soglia di peso oltre la quale, venendo riconosciuto invalido per legge, gli viene concessa la possibilità di lavorare da casa tramite il computer. Ottenuto il telelavoro, con tanto di pubblicità da parte dei giornali (tutta a favore del proprio datore di lavoro, Mr. Burns), compito di Homer è quello di controllare il livello di sicurezza della centrale nucleare di cui era già dipendente. Naturalmente finirà per combinare il solito pasticcio, rischiando di far saltare in aria l’intera centrale. Riparerà all’incuria con un gesto eroico (tappando con la propria mole l’enorme bombola in procinto di scoppiare, rimanendone incastrato) e a Mr. Burns che gli chiede di esprimere un desiderio dirà: «Voglio tornare magro!».
In questa puntata Homer, dopo l’iniziale entusiasmo per i vantaggi che il telelavoro gli aveva offerto, sperimenta anche le discriminazioni della gente comune nei confronti dei disabili. La sua stazza non solo è oggetto di derisione da parte di alcuni ragazzi, ma anche di sarcastici comportamenti: il gestore di un cinema gli impedisce di entrare nella sala, perché le poltrone non sono in grado di contenerla e le norme antincendio vietano di sedersi in corridoio. A scopo di riparazione, ma con sottile crudeltà, il gestore gli offre un bidone dell’immondizia di pop-corn, sdegnosamente rifiutato da Homer.
Un ottimo esempio, questo, di come la satira nei Simpson sveli l’atteggiamento falsamente “politicamente corretto” di una parte della società americana (e non solo americana), che considera i diritti delle minoranze alla stregua della “carità pelosa”.

Vernice, grissino e gommalacca
Dunque nei Simpson la comicità non fa leva solo sul rovesciamento di atteggiamenti mentali comuni (chi può pensare che la malattia sia meglio della salute?), ma colpisce direttamente anche gli atteggiamenti mentali distorti nei confronti delle persone con disabilità, che a volte sfociano in vere e proprie discriminazioni.
Non solo, ma nell’episodio A Natale ogni spassolo vale, la satira denuncia apertamente situazioni tristemente note anche in Italia.
Bart SimpsonBart si è infortunato e per qualche settimana deve stare con la gamba ingessata. Per andare a scuola usa la carrozzina, ma gli scalini all’ingresso gli impediscono di entrare. Assieme a Lisa fa presente al preside Skinner che la scuola non è in regola con la normativa che prevede il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici. Skinner non fa a tempo a giustificarsi con la scarsità di finanziamenti, che subito compare Tony Ciccione (il mafioso di Springfield), informandolo che i lavori (appaltati ad una delle sue ditte) sono già cominciati. Il giorno dell’inaugurazione, tutta l’opera (un’immensa rete di scivoli inutili) crolla miseramente. Materiali usati: vernice, grissino e gommalacca. «Sta tutto specificato nella fattura», dichiara tranquillo Tony Ciccione, sicuro della propria impunità.

L’universo a forma di ciambella
Una delle caratteristiche principali dei Simpson è l’uso della citazione, cioè l’inserimento nelle singole puntate di riferimenti estrapolati dalla cultura americana.
Propongo un solo esempio. Nell’episodio di cui si è già parlato – Le due ragazze Nahasapeemapetilons – Homer, nella casa di riposo del padre, al momento del pranzo prende una carrozzina a motore e si mette a gareggiare con un altro vecchietto per chi arriverà a mangiare per primo. Nella sequenza si vedono i due competitori che si speronano a vicenda grazie a delle punte attaccate ai mozzi delle ruote.
In questo caso gli autori hanno citato in chiave comica la sequenza della corsa delle bighe tratta dal noto kolossal del 1959, Ben Hur, girato da William Wyler.
Cogliere la citazione aumenta il divertimento, non capirla fa ugualmente ridere, perché gli spuntoni sulle carrozzine rafforzano l’idea alla base della gag (la trovata comica della gara tra Homer e il vecchietto).
Il gioco delle citazioni nei Simpson non riguarda però solo testi letterari o cinematografici, ma anche personaggi famosi (la loro caricatura animata naturalmente!) che compaiono nei propri panni in brevi apparizioni. Tra quelli più noti si possono citare George Bush, Elizabeth Taylor, Michael Jackson, Paul e Linda McCartney, Mel Brooks, Susan Sarandon, lo stesso Matt Groening, creatore della fortunata serie.
In questa veste compare anche Stephen Hawking, noto per i suoi studi sui buchi neri e sul Big Bang. La sclerosi laterale amiotrofica (una malattia genetica estremamente invalidante), manifestatasi in giovane età, non gli ha impedito di diventare uno più dei grandi astrofisici viventi, di sposarsi, di avere tre figli e di divorziare. Da molti anni si muove in carrozzina e parla attraverso un sintetizzatore vocale.
Stephen HawkingLa puntata in questione è Springfield utopia delle utopie, in cui il sindaco corrotto Quimby viene cacciato e sostituito da una giunta di persone dall’alto quoziente d’intelligenza (i membri del club Mensa, tra cui Lisa), che si propone di governare attraverso alti principi filosofici. Durante una manifestazione nella quale la nuova giunta espone ai cittadini di Springfield il programma di governo, esplodono i conflitti tra i membri ed ognuno crede di avere più ragione perché in possesso di un più alto quoziente d’intelligenza. A questo punto irrompe sulla scena proprio Stephen Hawking (quoziente d’intelligenza 280!), mettendo a tacere le dispute e consolando Lisa rispetto alla sua utopia di una società perfetta retta dall’intelligenza.
Nel finale, Homer espone a Hawking, nel bar-bettola di Moe, la sua teoria sull’universo a forma di ciambella. «Intrigante», commenta il celebre astrofisico, «prima o poi la farò mia». 

Non bastano i Simpson, ma aiutano!
Nell’ultimo episodio citato, dunque, dopo il rovesciamento di ruoli tra abili e disabili, dopo la denuncia di situazioni che recano danno a questi ultimi, si mostra, tramite l’esempio di Hawking, ciò che sarebbe auspicabile per tutti, disabili e non: vivere con pari opportunità.
Il caso dei Simpson è pertanto la chiara dimostrazione che anche nel caso della disabilità una risata non cambierà certo le cose, ma sicuramente può contribuire a renderle migliori.

Bibliografia:
– F. Buratta, I Simpson. La guida non ufficiale, Editrice PuntoZero, 1998.
– B. Esposito, S. Andreoli, Gialli politicamente (s)corretti!, «DM» n. 145, aprile 2002.
– W. Irwin, M.T. Canard, A.J. Skoble, I Simpson e la filosofia, Isbn Edizioni, 2005.
– P. Marchisio, G. Michelone, I Simpson. L’allucinazione di una sit-com, Castelvecchi, 1999.

*Redazione «DM», giornale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).

Share the Post: