Dov’eravamo rimasti? Difficile oggi immaginare un passaggio più stretto per chi si appresta a governare il Paese. Elezioni da infarto per due aspiranti premier in età da pensione e ora la strada faticosa della “presa in carico” dell’Italia, quando questo avverrà.
Difficile dare un giudizio sul voto di questi giorni, avendolo vissuto da cronista in presa diretta, alle prese ogni ora con giornali radio nei quali dovevo con i miei colleghi dare conto di risultati virtuali, ipotetici, irreali, incredibili, sognati, temuti, sperati, sofferti, rimandati, contestati, centellinati, sparsi in ore e ore di tedio e di bla bla. Preferisco pensare al dopo, alle macerie da rimettere insieme, a questa improvvisa evidente fotografia di un’Italia esattamente divisa in due.
Forse proprio da qui riparte un possibile disegno di civiltà democratica. La ricomposizione di un tessuto sociale potrebbe passare proprio dal “sociale”, ovvero da quel campo sterminato di problemi e di attese che sono al centro delle nostre aspettative.
C’è un’idea di cittadinanza da ricostruire. Anche nel mondo della disabilità. Se il valore più importante è quello dell’utile personale, se si ritiene giusto non pagare le tasse, eludere il fisco, trovare un tornaconto economico, garantirsi piccoli o grandi privilegi, appare evidente che la costruzione del modello sociale sarà del tutto coerente, a partire dalla famiglia.
Non è un caso se oggi parliamo spesso di persone con disabilità o anziane lasciate in casa, di contrassegni per disabili utilizzati a sbafo da nipoti baldanzosi sui fuoristrada, di aliquote IVA ridotte che servono all’acquisto di un computer in più, di buoni, voucher, servizi, tutti monetizzati senza che un reale beneficio vada proprio alla persona che ne avrebbe diritto.
Forse dobbiamo puntare a costruire una speranza di cambiamento, un progetto di vita possibile, un giardino delle opportunità per tutti.
La sfida è complessa e delicata, e bisogna assolutamente essere esigenti con chi ha chiesto il voto promettendo un welfare migliore, un’attenzione ai più deboli, una sensibilità storica e vasta.
Non può esserci collateralismo con un governo “amico” perché questa strada è lastricata di buone intenzioni e di drammatiche delusioni. La mancanza di risorse economiche è palese e il futuro ci riserverà sacrifici nuovi accanto a storiche carenze.
Prima di tutto, dunque, occorre mettere in pista i diritti veri, quelli essenziali, quelli di chi sta aspettando da troppo tempo in coda alla fila della cittadinanza. Oggi, a poche ore dal voto, spero che ci sia, diffusa e tangibile, una grande voglia di tornare a partecipare. Senza sconti, da persone serie.
*Direttore responsabile di Superando.it.
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