L’European Disability Forum (EDF) è una rete che rappresenta le organizzazioni di persone con disabilità e i Consigli Nazionali sulla Disabilità dei Paesi dell’Unione Europea e di Bulgaria, Islanda, Norvegia e Romania: in tutto 129 diverse realtà associative.
Recentemente, in occasione del corso universitario Diritti umani e disabilità. Gli strumenti di tutela delle istituzioni nazionali e internazionali, svoltosi a Padova, abbiamo incontrato Carlotta Besozzi, direttore del Forum.
Com’è nato l’European Disability Forum?
Il Forum è nato tra la fine del 1996 e l’inizio del 1997 grazie soprattutto ad un contesto culturale e ad una serie di programmi lanciati a partire dalla metà degli anni Settanta, e più in particolare dagli anni Novanta, che hanno favorito il dialogo e il collegamento tra le varie reti nazionali europee. Infatti, già nell’ultima fase del Programma Europeo Helios c’era una realtà che veniva chiamata European Disability Forum: un “luogo di discussione” presieduto dalla Commissione Europea e dalle organizzazioni di persone con disabilità.
Poi, nel 1996, queste stesse organizzazioni hanno deciso di creare un proprio forum, con statuto e funzionamento interno totalmente indipendenti, e progressivamente è stato possibile ottenere il finanziamento dal Parlamento Europeo, inserendosi nel Programma d’Azione per la Non Discriminazione. L’EDF di oggi, quindi, non è più l’organismo consultivo di un tempo, ma una vera e propria rete indipendente che ha avuto fin dall’inizio un’attenzione particolare per i diritti umani, le pari opportunità e la non discriminazione e che si prefigge di rappresentare i diritti delle persone con disabilità nell’ambito dell’Unione Europea.
In che cosa consiste il vostro lavoro?
Nel dialogare con le istituzioni europee. Noi seguiamo tutto quello che succede al loro interno – come anche all’interno delle realtà organizzative e associative – cercando da un lato di influenzare e dall’altro di promuovere nuove politiche, facendo sempre riferimento al fondamentale principio della consultazione, e cioè che le decisioni che riguardano le persone con disabilità non devono essere prese senza di loro.
Diciamo che negli àmbiti dove c’era già un forte dialogo – come l’industria, i trasporti e l’informazione – siamo riusciti poco per volta ad entrare con più forza. Infatti, essendo previsto al loro interno un processo di consultazione più forte e più concreto, è stato quasi naturale farvi rientrare in modo maggiormente strutturale anche il ruolo delle persone con disabilità, benché le forze non siano certo pari.
A livello sociale, poi, e in particolare in settori ostici come quello della salute, è tuttora difficilissimo far valere il punto di vista del consumatore.
Quale documento sancisce la nascita e il primo impegno dell’European Disability Forum?
Direi che senza dubbio la Dichiarazione di Madrid può essere considerata a tutti gli effetti il nostro manifesto. Adottato nel 2002, alla vigilia dell’Anno Europeo delle Persone con Disabilità, questo importante documento era stato elaborato con l’intento di presentare il punto di vista delle persone con disabilità e il loro proclama per il 2003.
Si tratta quindi di un testo che riprende valori chiave, come la necessità di passare da una concezione che vede la persona con disabilità come un paziente o un malato, a una che la vede come consumatore o semplice cittadino.
Sempre nella Dichiarazione di Madrid viene anche ribadita la necessità che venga accettato in modo definitivo il concetto per cui non dev’essere il cittadino a doversi adattare alla società, ma è necessario che quest’ultima venga concepita in modo da essere ugualmente adatta a tutti.
Come accennavo prima, è dalla fine degli anni Novanta che nei programmi, nelle politiche e nei documenti dell’Unione Europea in cui si parla di strategie per le persone con disabilità, si comincia ad applicare quello che noi chiamiamo il modello sociale, in contrapposizione al modello medico. Nel ventennio precedente, invece, in tali testi il concetto predominante era stato quello di agire in favore dell’integrazione, a dimostrazione quindi che anche a livello continentale – almeno nella forma – le cose cambiano progressivamente e anche questo principio diventa più chiaro.
Ma perché il vostro ruolo rispetto alle istituzioni europee è così importante?
Innanzitutto perché la Commissione Europea non è solo un organo esecutivo, ma soprattutto quello che ha l’iniziativa legislativa. Quindi per noi è molto importante seguire una proposta e cercare di intervenire prima essa venga pubblicata.
Anche con il Parlamento Europeo il Forum ha legami molti stretti, perché è l’istituzione più facile cui accedere, è molto trasparente e ha al proprio interno un intergruppo sulla disabilità al quale aderiscono 110 deputati di varie nazionalità e gruppi politici che noi sosteniamo nel loro interessamento a promuovere questioni su questo tema.
Per quanto riguarda poi il Consiglio dell’Unione – composto dagli Stati Membri – l’EDF cerca soprattutto di dialogare con i suoi rappresentanti permanenti a Bruxelles, che partecipano ai gruppi di lavoro. Con questa realtà, però, la maggiore difficoltà che riscontriamo è rappresentata dal fatto che solo da poco tempo – ed esclusivamente nella fase finale – le sue riunioni sono pubbliche, ciò che rende molto più difficile, anche se non impossibile, intervenire.
Un ruolo invece che compete alle varie realtà nazionali, come ad esempio i Consigli Nazionali sulla Disabilità, è quello di intervenire e interagire direttamente con i vari ministri o i loro Ministeri.
Infine, per quanto riguarda i due organi consultivi rappresentati dal Comitato Europeo Economico e Sociale e dal Comitato delle Regioni, essi per noi sono solo dei mezzi che ci aiutano a portare avanti e a sostenere il lavoro principale che viene svolto con le altre istituzioni.
Quali strumenti tutelano oggi i diritti delle persone con disabilità nell’ambito dell’Unione Europea?
Prima di tutto l’articolo 13 del Trattato di Amsterdam – in vigore dal 1999 – il quale stabilisce che nell’ambito delle competenze dell’Unione è possibile legiferare contro la discriminazione, in particolare in base alla disabilità.
Si tratta di un articolo che non conferisce in sé diritti individuali e quindi non permette di presentare ricorso all’Unione Europea o contro un suo Stato Membro per non averlo rispettato, ma consente agli Stati stessi di adottare leggi specifiche.
Vi è poi l’importante Direttiva Europea 78/2000/CE sul pari trattamento nell’accesso all’impiego e alla formazione, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – sempre del 2000 – l’intera Strategia Europea 2003-2010 sulle pari opportunità delle persone con disabilità.
E ancora, la Direttiva sul trasporto urbano, quella sugli appalti pubblici, il Trattato Costituzionale dell’Unione del 2004 – che prevede alcune questioni che riguardano le persone con disabilità – e per finire il Regolamento sul trasporto aereo, provvedimento recente, emanato nel 2005.
Nel dettaglio, cosa prevede esattamente la Direttiva 2000/78, da lei citata come importante?
Essa proibisce la discriminazione sia per quanto riguarda l’accesso all’occupazione – inclusi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione – sia le condizioni di lavoro. Inoltre, ne risultano interessati tutti gli enti pubblici e privati, senza limiti per grandi imprese o piccole imprese, per il lavoro autonomo o quello dipendente.
La stessa, poi, concerne anche l’orientamento e la formazione professionale e il perfezionamento e la riqualificazione una volta assunti, escludendo però tutto ciò che è relativo alla protezione e alla sicurezza sociale.
Quattro sono i tipi di discriminazione presi in considerazione dalla norma. Quella diretta si verifica ad esempio quando una persona viene selezionata per un lavoro e solo dopo, venendo alla luce la sua disabilità, non viene assunta.
Si parla invece di discriminazione indiretta, quando non vi è l’intenzione di discriminare, ma subentrano delle prassi o delle misure che sembrano “neutre” – in un certo senso senza effetti dannosi – ma che poi nella realtà discriminano un determinato gruppo di persone. Un esempio di ciò potrebbe essere la richiesta del possesso della patente di guida per un determinato lavoro, quando invece questa non rappresenta una condizione essenziale per il suo svolgimento.
Vi sono poi le molestie, che riguardano tutto quello che ha lo scopo di violare la dignità della persona e di creare un clima ostile e offensivo nei suoi confronti.
Infine, rientra negli ambiti considerati dalla Direttiva anche l’ordine a discriminare, situazione per cui un datore di lavoro dà indicazione al proprio dipartimento per le risorse umane di non volere che vengano assunte persone con disabilità.
In questo caso, sia il datore di lavoro sia le persone che operano nel dipartimento violerebbero la disposizione di legge.
A questi princìpi, però, ci sono alcune eccezioni, che possono andare dal caso in cui la discriminazione sia giustificata da una finalità legittima – si pensi ad esempio al conduttore di bus, che deve vederci bene – fino ad arrivare a casi di sicurezza e ordine pubblico.
Su tale tema, di grande interesse è la disposizione contenuta nella Direttiva che riguarda le soluzioni ragionevoli, in base alla quale il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure adeguate per ovviare a prassi che possono discriminare indirettamente. Per fare solo alcuni esempi, potrebbero essere considerate soluzioni ragionevoli l’adeguamento dell’accesso al luogo di lavoro, oppure organizzare una determinata disposizione dell’ufficio, che possa aiutare una persona ad orientarsi meglio, e molte altre situazioni ancora, fino ad arrivare – eventualmente – anche a cambiamenti più radicali.
L’unica eccezione prevista in questo frangente è determinata dall’onere finanziario sproporzionato, e cioè il dover affrontare – da parte del datore di lavoro – costi troppo importanti. Un problema, questo, che verrebbe superato se il Paese interessato prevedesse un programma di natura economico-finanziaria e sociale in grado di coprire tutte le spese.
Devo inoltre ricordare che questa disposizione è sempre individuale e quindi il datore di lavoro, seguendola, potrebbe rispondere alle esigenze della singola persona, trovando per il suo caso una soluzione ragionevole, ma facendo permanere ancora la situazione di discriminazione per l’intero gruppo.
Per quanto poi riguarda l’aspetto delle azioni positive [atte a favorire e realizzare la parità di opportunità, N.d.R.], nata la Direttiva si è subito posto il problema che questa non fosse discriminante nei confronti delle persone non disabili. Quindi, la clausola che considera tale aspetto prevede che gli Stati Membri possano o mantenere o adottare nuove misure che favoriscano l’inserimento nel mondo del lavoro, come le quote o gli incentivi fiscali.
Tutto dipende dunque dal modo in cui questa legislazione – che permette, ma non prevede – viene recepita nell’ambito di quella nazionale e da ciò che quest’ultima già contempla.
Parliamo adesso dell’Italia: questa Direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento?
In generale la Direttiva 78 doveva essere recepita entro il 2003, con una possibilità di estensione fino al 2006 per le questioni che riguardano la disabilità. E oggi che quasi tutti i Paesi l’hanno trasposta, iniziano ad arrivare in Corte di Giustizia i primi ricorsi, con una serie di procedure avviate dalla Commissione Europea contro diversi Stati per mancata trasposizione (nella maggior parte dei casi si tratta di leggi bloccate dai lunghi iter parlamentari).
Per quanto poi riguarda l’Italia, anche il nostro Paese ha recepito il provvedimento, ma anche per noi ci sono dei problemi, in quanto sono stati verificati limiti e difficoltà che molto probabilmente porteranno ad un ricorso nei nostri confronti per trasposizione inadeguata.
Nell’eventualità che la Direttiva venga trasposta in modo incompleto, comunque, un giudice nazionale – di fronte ad un caso di discriminazione – dovrà fare riferimento alla Direttiva stessa e non alla legge nazionale, che magari non contempla quel caso solo perché non ha recepito la prima in ogni sua parte.
Ugualmente, se il provvedimento europeo non sarà stato per nulla trasposto a livello nazionale, il cittadino non potrà rivalersi contro il datore di lavoro, ma potrà farlo contro lo Stato, sempre per mancata trasposizione.
Che cosa rende maggiormente complesso il recepimento di questa norma?
Innanzitutto il concetto di soluzione ragionevole, per molti Stati nuovo e difficile da capire fino in fondo, e poi il fatto che essa preveda una serie di mezzi di ricorso e di esecuzione, chiaramente precisati. Ogni Stato è quindi tenuto a definire anche delle procedure giurisdizionali e/o amministrative, nel caso in cui i diritti tutelati dalla Direttiva vengano violati.
Lo stesso concetto dell’onere della prova costituisce un notevole elemento di novità, in quanto in questo caso incombe al datore di lavoro provare che non c’è stata discriminazione, anche se chi presenta il ricorso deve naturalmente evidenziare una serie di fatti dai quali si possa presumere la situazione anomala.
Altri aspetti importanti della Direttiva sono dati dalle clausole di protezione delle vittime, sia dal licenziamento che da azioni sfavorevoli che potrebbe adottare il datore di lavoro, anche se a questo proposito c’è da dire che si è senza dubbio più protetti se già si lavora.
Il problema maggiore, invece, è rappresentato dalla fase di accesso al lavoro, benché vi sia la possibilità di presentare ricorsi nel caso in cui i test di selezione non siano accessibili.
Infine, per gli Stati Membri vi è anche l’obbligo di informare sulle disposizioni della Direttiva i datori di lavoro, i sindacati e le potenziali vittime della discriminazione, oltre che di impegnarsi a costruire un dialogo sociale e con le organizzazioni.
La Direttiva 78/2000 sembra quindi essere un ottimo provvedimento…
Lo è, anche se presenta senza dubbio dei limiti, primo fra tutti il fatto che il suo campo d’applicazione è limitato all’ambito dell’occupazione, il che pone una serie di problemi di vario genere, visto e considerato che se mancano norme sulla non discriminazione in ambito di educazione, trasporti e altro, va da sé che l’occupazione non può risolvere tutti i problemi.
Un altro limite sta poi nel fatto che la Direttiva non definisce la disabilità e soprattutto non dà nemmeno degli orientamenti per arrivare ad una definizione. A causa di ciò, alcuni Paesi hanno scelto una definizione che mal si adatta al provvedimento, come nel caso della Germania, che ha deciso di applicare un modello medico, anziché sociale, stabilendo che di questa legislazione non debbano beneficiare persone che non abbiano una disabilità riconosciuta almeno al 50%.
Infine, va ricordato anche che questa Direttiva non prevede organismi di difesa delle vittime di discriminazioni, i quali abbiano dei poteri di sostegno nell’azione giuridica e investigativa. Il che spesso rappresenta un problema, visto che nella maggior parte dei Paesi non esiste una vera cultura del “fare causa”.
Prima ha citato anche la Carta Europea dei Diritti Fondamentali…
Sì, perché in questo documento vi sono due articoli che riguardano direttamente le persone con disabilità, il 21, sulla proibizione a discriminare, e il 26 che riconosce il diritto delle persone con disabilità ad avere delle misure che possano garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e quello professionale, oltre alla partecipazione alla vita della comunità.
La Carta per ora non ha uno statuto proprio e d’altro canto gli Stati Membri che l’hanno firmata sono tenuti a rispettarla nell’ambito dell’interpretazione delle proprie norme costituzionali.
Anche questo provvedimento, per altro, presenta dei limiti, il primo dei quali è il fatto che esso interessa le istituzioni dell’Unione Europea e gli Stati Membri, solo nel momento in cui questi applicano il diritto comunitario.
Un altro limite è dato poi dalla distinzione tra diritti e princìpi. L’articolo 26 della Carta, infatti, parla di «diritti», non costituendo quindi una norma che preveda un’applicazione concreta. Il “principio” di non discriminazione, invece, dove e quando viene ribadito, prevede di per sé l’adozione di una serie di misure attuative.
I limiti di questo provvedimento, comunque, sarebbero risolti nel momento in cui il Trattato Costituzionale venisse ratificato, visto e considerato che la Carta ne è parte integrante e quindi la ratifica la renderebbe uno strumento di cui potrebbe avvalersi direttamente la Corte Europea di Giustizia, imponendo una serie di obblighi più concreti alle istituzioni.
Vi è anche in piedi la proposta di creare un’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali – che dovrebbe essere istituita a Vienna – la quale dovrebbe appunto provvedere all’applicazione della Carta.
E le altre direttive europee che hanno tenuto conto delle persone con disabilità?
Oltre a quelle appena citate, vi è la Direttiva – adottata nel 2001 – sui veicoli urbani di trasporto passeggeri, che prevede delle norme di accessibilità anche se solo per l’omologazione di quelli nuovi.
O quelle del 2004 sugli appalti pubblici, che includono anch’esse delle norme di accessibilità e delle considerazioni sociali, prevedendo che nelle specifiche clausole presenti nelle gare d’appalto, l’ente o l’autorità pubblica preposta inserisca – ove possibile – dei criteri di accessibilità, e che quest’ultima, poi, venga considerata come un valore aggiunto (anche in termini di punteggio) al momento dell’assegnazione.
Per quanto riguarda però la trasposizione di questi provvedimenti, la maggior parte dei Paesi ancora non si è mossa in questo senso, e in Italia, nel caso specifico, ci sono delle difficoltà, in quanto la trasposizione stessa deve aver luogo a livello regionale.
Di grande rilevanza, per concludere, è la prima legislazione specifica per le persone con disabilità e per quelle a mobilità ridotta, in ambito di trasporto aereo. Il nuovo Regolamento [ratificato a maggio dai ministri europei dei Trasporti, N.d.R.] prevede che la disabilità non possa più essere considerata un motivo per rifiutare l’imbarco o la prenotazione di un volo e definisce la tutela contro la discriminazione, attraverso misure quali il diritto all’assistenza, la possibilità di presentare ricorsi e di imporre sanzioni in caso di mancata applicazione.
Questa norma entrerà in vigore nella primavera del 2007, per quanto riguarda il rifiuto all’imbarco o alla prenotazione, un anno più tardi per gli standard di qualità, il diritto all’assitenza e le procedure per la stessa.
Per quanto riguarda infine il ruolo politico dell’EDF nell’ambito dell’Unione, e in relazione all’ONU?
L’obiettivo principale del 2003, Anno Europeo delle Persone con Disabilità, promosso dall’EDF e dalle sue organizzazioni, era stato quello di promuovere la visibilità delle persone con disabilità in tutti gli aspetti della vita e di sottolineare la questione dei diritti umani. Per diversi Paesi tutto ciò è stato utile, visto che da allora alcune legislazioni nazionali sono state rinnovate e molti piani d’azione rivisti.
Per quanto concerne poi un discorso più generale e ampio, relativo alle istituzioni, il 2003 ha portato alla definizione di una strategia europea che prevede una serie di iniziative suddivise in due fasi: la prima essenzialmente sull’occupazione, la seconda, del tutto attuale, sulla vita indipendente e l’accesso ai servizi.
Non si tratta di azioni specifiche, ma di una forma di attenzione verso le persone con disabilità nell’ambito di iniziative più generali: per ora si tratta di un piano d’azione piuttosto limitato, ma la nostra speranza è di riuscire ad avviare un dibattito più politico. Anche per questo stiamo lavorando per avere una Conferenza Interministeriale sul tema della disabilità.
In ambito mondiale, poi, l’ONU si sta avviando alla stesura definitiva e all’adozione della Convenzione sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità, e a questo progetto – benché esso non rientri tra quelli promossi nell’ambito dell’Unione Europea – l’European Disability Forum ha partecipato fin dall’inizio e si è impegnato molto, per due motivi fondamentali.
Innanzitutto per ottenere il riconoscimento della disabilità come questione pertinente al campo dei diritti umani; in secondo luogo, per il coinvolgimento degli Stati dell’Unione Europea e delle sue istituzioni in questa Convenzione. Essa, infatti, sarà il primo strumento per i diritti umani cui l’Unione Europea aderisce, ciò che determinerà una complessa serie di conseguenze poiché le sue istituzioni saranno tenute ad applicarla.
A metà agosto vi sarà un nuovo incontro – che potrebbe essere quello decisivo – del Comitato Ad Hoc (Ad Hoc Committee), istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite appositamente per redigerne il testo e già entro la fine dell’anno, quindi, il documento potrebbe essere approvato dall’ONU.
Articoli Correlati
- Dopo di noi da creare “durante noi“* L'organizzazione del futuro di una persona con disabilità: quali sono le tutele giuridiche esistenti? In quali ambienti si potrà svolgere la vita di quella persona? E con quali fondi? Un…
- Una buona cooperazione allo sviluppo fa bene a tutte le persone con disabilità «Se con i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo - scrive Giampiero Griffo, concludendo la sua ampia analisi sulle azioni in questo settore - verrà rafforzata la voce delle persone…
- Un passo avanti, due passi indietro? Profonda delusione era stata espressa dal presidente dell'EDF (European Disability Forum), Yannis Vardakastanis, al momento dell'adozione da parte della Commissione Europea di una bozza di direttiva sulla non discriminazione per…