Sorpresa: la legge sul collocamento mirato funziona, i meccanismi di scarico dell’onere di collocamento sulle cooperative sociali no.
Ad una prima rapida lettura, la Terza Relazione al Parlamento sullo Stato di Attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68, del Ministero del Lavoro, indica chiaramente come «i risultati mostrati dalla normativa e dal “collocamento mirato” da essa introdotto nel corso dei cinque anni di attuazione sono considerati da tutti gli addetti ai lavori come ampiamente positivi».
La Presentazione prosegue poi con una chiara affermazione: «Proprio il concetto stesso di collocamento mirato rappresenta sinteticamente il fattore più innovativo». Ed infine: «La persona giusta al posto giusto, un concetto che riassume una profonda modifica culturale nell’interpretazione della tutela del lavoro per le persone disabili».
Nello stesso capitolo si legge ancora che «è emersa una certa difficoltà di applicazione delle convenzioni con le cooperative sociali», nonostante vi sia un’analisi approfondita e dettagliata del tema controverso, con indicazioni circa le criticità.
Nei fatti gli avviamenti effettuati attraverso il collocamento mirato, nel corso del 2005, sono aumentati del 22% rispetto all’anno precedente, palesando come le avversioni politiche e culturali dell’ultima fase non impediscano alla società di interpretare le innovazioni positivamente, mostrando profonde capacità di superare i pregiudizi sulla produttività del lavoratore disabile se funzionano gli strumenti territoriali di mediazione tra domanda e offerta, il percorso di inclusione educativa, di vita indipendente e di empowerment individuale e dotazione di adeguati strumenti tecnici e tecnologici.
Il gruppo di lavoro del Ministero e dell’ISFOL (Istituto per la Formazione dei Lavoratori), che ha elaborato la Relazione, ha saputo cogliere i dati di tendenza più significativi in tal senso.
Da una parte i servizi per il collocamento mirato registrano una costante crescita qualitativa e quantitativa e persino al Sud sono aumentati del 10% (nonostante che tali strutture, nel 60% dei casi, abbiano ancora barriere architettoniche…).
Dall’altra parte vi è il dato riferito a coloro che hanno trovato un’occupazione attraverso la chiamata nominativa e la convenzione e che raggiungono oggi il 90% sull’intera quota delle persone inserite, relegando ad una quota del tutto minoritaria il vecchio collocamento basato soltanto su criteri “numerici”.
Tutte dichiarazioni politiche e culturali, analisi dei dati e valutazioni strategiche che fanno giustizia delle tante critiche subite dalla Legge 68/1999 nell’ultima Legislatura e rimettono al centro la competenza e la capacità di ogni singolo lavoratore con disabilità.
Allo stesso tempo, i numeri assoluti – 30.865 nuove assunzioni su circa 400.000 iscritti al netto delle persone iscritte solo ai fini pensionistici – denunciano come le persone con disabilità subiscano ancora una forte discriminazione, specie se residenti nel Sud del Paese, se con disabilità intellettive e relazionali o se donne.
Infatti, dei circa 600.000 iscritti, 388.000 sono del Mezzogiorno e isole, mentre solo 773 convenzioni che presumibilmente si riferiscono alle persone con disabilità intellettive e relazionali sono state realizzate (ovviamente nel Nord).
A riprova della drammaticità della questione meridionale, la ripartizione del Fondo per il Collocamento Mirato ha escluso Campania, Sicilia, Molise e Basilicata, mentre Calabria e Puglia hanno collocato rispettivamente 21 e 16 persone: le regioni con più persone escluse e a rischio di povertà vengono quindi ulteriormente penalizzate dall’incapacità nell’istituire politiche in merito e, come accaduto in Puglia nel 2004, sono persino preda della corruzione.
Richiamando le richieste delle associazioni, la Relazione Ministeriale introduce trasversalmente e con uno specifico capitolo l’analisi della differenza di genere, ovvero della doppia discriminazione che subiscono le donne con disabilità, esplicitando come una sensazione diffusa tra le associazioni sia confermata dai dati: non più del 37% dei nuovi assunti tra i lavoratori con disabilità è donna.
Tutto ciò a fronte di circa 109.000 posti scoperti rilevati, dell’ingente numero di esoneri parziali e dell’esonero per mansioni nella Pubblica Amministrazione.
Sarà necessario dunque ripartire dalle fonti di discriminazione che determinano questi numeri, per attuare la Strategia di Lisbona**, ai fini di una piena e buona occupazione di tutti, garantendo uno sviluppo coeso e sostenibile.
*Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap.
**Riuniti nel marzo del 2000 a Lisbona, i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea avevano lanciato l’obiettivo di fare dell’Europa «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo» entro il 2010. Da allora, le diverse misure da mettere in atto per raggiungere questo obiettivo hanno preso il nome di Strategia di Lisbona.
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