I permessi lavorativi

a cura di Michele Costa*
Al centro di questa ricca e approfondita analisi vi è l'articolo 33 della Legge 104/92, strumento fondamentale per i lavoratori con disabilità e per coloro che assistono familiari disabili. Il testo di partenza, le norme successive, la giurisprudenza e il diritto vivente, il tutto per approfondire un tema che può essere davvero molto importante per una reale autonomia delle persone con disabilità

Persona con disabilità al computer insieme a persona non disabileL’articolo 33 della Legge 104/1992 [del quale pubblichiamo in calce il testo integrale, N.d.R.] ha introdotto un fondamentale strumento per i lavoratori con disabilità e per coloro che assistono familiari con disabilità.
La concertazione delle esigenze terapeutiche e delle attività di sostegno con gli impegni lavorativi è stata poi progressivamente attuata in virtù di interventi della legislazione e della prassi i quali ultimi hanno, in un certo senso, perfezionato le possibilità di applicazione dello strumento in oggetto, per farlo collimare il più possibile con gli effettivi bisogni della persona da una parte e con i princìpi di non discriminazione dei lavoratori dall’altra.
La ricostruzione di questo percorso di adattamento e perfezionamento dello strumento parte dalle prescrizioni contenute nella Legge 53/2000 e nel Decreto Legislativo 151/2001, passando dalla disciplina del Decreto Legislativo 216/2003, sino ai più recenti orientamenti espressi dal Ministero del Lavoro nella Nota 3003/2006 del 28 agosto scorso.

Una filosofia antidiscriminatoria
Tralasciando i numerosi interventi degli enti previdenziali succedutisi a seguito dei provvedimenti legislativi del 2000 e del 2001, in questa sede sembra importante ricordare soprattutto come i princìpi antidiscriminatori contenuti nel Decreto Legislativo 216/2003 abbiano orientato il Ministero del Lavoro a ritenere che anche i permessi in oggetto debbano essere computati ai fini della maturazione del diritto alle ferie e della tredicesima mensilità.
Stante il combinato disposto degli articoli 34 (comma 5) e 43 (comma 2) del Decreto Legislativo 151/2001, i periodi di permesso venivano computati nell’anzianità di servizio, ma al contempo implicavano un effetto in negativo in relazione al diritto alle ferie e alla tredicesima.
La disciplina dettata dal Decreto Legislativo 216/2003 – ribattezzato in virtù della sua portata e della sua ratio Decreto Antidiscriminazioni – ha quindi modificato sostanzialmente l’assetto interpretativo delle disposizioni sopracitate e sembra avere abrogato quelle incompatibili con esso.
Ed è proprio sulla base dei nuovi criteri ispirati ad una filosofia antidiscriminatoria che il Ministero del Lavoro, in un lungimirante Parere del 5 maggio 2004, ha concluso che  «le decurtazioni di ferie e tredicesima mensilità, per effetto dell’incidenza negativa dei permessi ex articolo 33 Legge 104/1992, risultano, ora, inammissibili e potrebbero configurare, addirittura, vere e proprie discriminazioni».

L’assistenza disgiunta
Sempre  alla luce della logica antidiscriminatoria potrebbe essere letta, a nostro avviso, anche l’ulteriore già citata e recentissima Nota 3003/2006, del Ministero del Lavoro, diffusa il 28 agosto.
Oggetto dell’intervento è stata questa volta la possibilità per il lavoratore che presti assistenza a più familiari portatori di handicap di usufruire del cumulo di più permessi, ex articolo 33 della Legge 104/1992.
Anche in questo caso il Ministero ha risposto positivamente, riconoscendo la facoltà del lavoratore di richiedere tanti permessi quanti sono i familiari con disabilità da assistere, sempre che sia necessaria un’assistenza disgiunta.
Ove quindi il lavoratore dimostri che il supporto ai familiari con disabilità non possa essere prestato simultaneamente agli uni e agli altri e cioè che ognuno abbia bisogno di assistenza esclusiva e continua, avrà il diritto a cumulare più permessi.
Il Ministero ha precisato inoltre che «l’assistenza può ritenersi disgiunta quando la prestazione nei confronti di più soggetti portatori di handicap può assicurarsi solo con modalità e tempi diversi, richiedendosi che l’assistenza sia contemporaneamente esclusiva e continua per ciascuno degli assistiti [grassetto nostro, N.d.R.]».
L’onere di provare la necessità di assistenza disgiunta, continuativa ed esclusiva, grava sul lavoratore che dovrà presentare tante domande quanti sono i soggetti con disabilità che egli si proponga di accudire.

Elementi di diritto vivente
Sempre in relazione all’istituto che stiamo esaminando, appaiono opportuni anche alcuni richiami al diritto vivente.
La giurisprudenza ha avuto modo di specificare che in relazione ai permessi richiesti per accudire figli minori portatori di handicap sussista la stretta connessione della tutela e dell’assistenza, con esigenze di celerità e urgenza.Persona adulta con disabilità insieme a ragazzo con disabilità
Con Sentenza della Sezione Penale VI, n. 36597, del 7 luglio 2005, la Cassazione ha  riconosciuto il reato di abuso d’ufficio «nel comportamento del direttore del circolo didattico che abbia negato il rilascio ad un insegnante del permesso previsto dall’articolo 33, legge 5 febbraio 1992, n. 104, a favore di genitori di minori portatori di handicap, ponendo in dubbio la permanenza della patologia, ancor prima di ricevere un parere in merito da parte della unità sanitaria locale».
La Suprema Corte ha chiarito in sostanza che in un caso del genere l’imputato avrebbe dovuto, semmai, concedere in primo luogo il permesso richiesto, riservandosi di negarlo solo a seguito di apposito intervento medico-legale che avesse certificato il regresso della patologia.
Tale orientamento della Sezione Penale della Cassazione appare coerente con quello della Sezione Lavoro della medesima Corte che con la Sentenza n. 175 del 5 gennaio 2005, ha riconosciuto che «è il datore di lavoro, e non l’ente previdenziale, il soggetto destinatario dell’obbligo della concessione dei tre giorni di permesso mensile retribuito a favore del lavoratore che assista una persona con handicap grave […] così come espressamente previsto dall’articolo 33 della legge n. 104 del 1992».
In relazione poi al requisito della convivenza, la giurisprudenza di merito si dimostra costante nel ribadire che esso non risulti necessario e che quindi non sia più imposto che il lavoratore conviva con la persona bisognosa di assistenza. Addirittura il Tribunale di Milano, con Sentenza del 4 maggio 2004, ha stabilito che si possa fruire dei permessi «anche nell’ipotesi in cui il lavoratore risulti residente a centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui trovasi il familiare». In tal senso il medesimo Tribunale sostiene che in virtù della riforma operata dall’articolo 19 della Legge 53/2000, la continuità dell’assistenza «non deve essere intesa in senso materiale ed infermieristico, quanto, piuttosto, in senso morale, come presenza periodica e costante” (vedi anche Tribunale di Milano, 23 gennaio 2003).
In coerenza ancora con la ratio sottesa alla disciplina che stiamo esaminando è anche l’orientamento giurisprudenziale che dichiara non ostativo alla concessione dei permessi il fatto che altri familiari potrebbero astrattamente prendersi cura della persona con disabilità. Infatti, solo un’assistenza in concreto prestata da altri familiari potrebbe legittimare il diniego dei permessi ad altro richiedente (vedi in tal senso: Tribunale di Roma, 9 luglio 2004).
Da segnalare infine anche il riconoscimento del danno esistenziale, nell’ipotesi di fissazione di un tetto massimo di ore mensili rispetto ai permessi giornalieri, come sancito dal Tribunale di Lecce, Sezione Lavoro, con la Sentenza n. 6905 del 2 marzo 2004: «La dipendente pubblica, nelle condizioni ex art. 33 comma 6 legge 104/1992 di portatrice di handicap in situazione di gravità, ha diritto a permessi orari di due ore giornaliere, senza limiti massimi mensili. […] il diniego di tali permessi espone l’amministrazione al risarcimento del danno esistenziale, da liquidarsi in relazione al valore economico delle ore lavorate ingiustamente».
Corollario di tale orientamento è la disapplicazione della Circolare del Ministero del Tesoro che fissa il tetto massimo di diciotto ore mensili ai permessi orari, disapplicazione ribadita nella sentenza ora in commento.

Estremi per una discriminazione?
Le specificazioni che nel corso del tempo hanno determinato un assetto del diritto ai permessi più adattabile alle specificità dei singoli casi e sempre più idoneo a consentire la conciliazione delle esigenze personali con quelle lavorative possono essere soltanto condivise da chi opera per la tutela dei soggetti con disabilità e dei loro familiari.
Si rende però necessaria un’ulteriore osservazione e cioè che i permessi contemplati dal predetto articolo 33 sono a tutt’oggi vincolati alla condizione di handicap certificato in situazione di gravità. Persona con disabilità con assistenteEssi non risultano quindi richiedibili da quei lavoratori che prestino la loro assistenza a familiari anziani bisognosi, anche se non certificati ai sensi della Legge 104/1992, come non risultano fruibili da quei genitori che debbano prestare la loro assistenza ad infanti riconosciuti in situazione di handicap, ma privi del connotato della gravità.
Rispetto al familiare anziano che non sia stato sottoposto agli accertamenti di cui alla Legge 104 nulla vieta, ovviamente, di dare impulso all’iter per ottenere il citato riconoscimento; ma una domanda sorge spontanea: il riconoscimento della situazione di handicap deve ritenersi ancora necessario di fronte ad una persona anziana alla quale, magari, è già stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento?
E rispetto ai minori non gravi, sembra giusto non riconoscere i permessi in discussione ai genitori lavoratori? Considerando che nell’età evolutiva le condizioni psicofisiche sono instabili e in continua mutazione? E considerando che, comunque, un minore portatore di handicap, anche se riconosciuto non grave, richiede sempre una cura e un’attenzione maggiori rispetto agli altri?
I casi sopra richiamati, in conclusione, non integrano alla fine gli estremi di una discriminazione? 

Il congedo biennale straordinario
Proponiamo infine un’ulteriore osservazione relativamente all’istituto del congedo straordinario biennale di cui all’articolo 42, comma 5 del Decreto Legislativo 151/2001. In particolare ci chiediamo se quanto stabilito in relazione ai permessi di cui all’articolo 33 della Legge 104/1992 possa valere anche per il congedo biennale straordinario.
Appare innegabile che entrambe le tipologie di permesso abbiano una matrice comune, quella di carattere assistenziale, da concepire in un sistema solidaristico socio-familiare ispirato al principio della gradualità degli interventi.
Sembrerebbe allora più opportuno e coerente con quanto stabilito dal Decreto Legislativo 216/2003 che anche al congedo speciale biennale venissero riconosciuti effetti positivi sul diritto alle ferie e alla tredicesima mensilità. E d’altro canto se possiamo ormai ammettere che i princìpi stabiliti dalla Direttiva CE 78/2000 siano entrati nel nostro ordinamento con l’attuazione della stessa proprio tramite il Decreto Legislativo 216/2003, dovrebbe anche riconoscersi a tali princìpi forza abrogativa rispetto alle disposizioni di legge antecedenti, con essi incompatibili.
Se dunque realmente un effetto abrogativo si fosse verificato rispetto alle disposizioni contrastanti, si potrebbe anche affermare che tra le stesse sia rientrato l’articolo 34, comma 5 del Decreto Legislativo 151/2001, non più applicabile rispetto ai permessi di cui all’articolo 33 della Legge 104 e per coerenza logica e analogica opportunamente inascrivibile anche al congedo speciale di cui stiamo trattando.
In conclusione, possiamo dire che quanto già osservato e precisato dal Ministero rispetto ai permessi giornalieri dovrebbe riguardare anche il congedo speciale biennale. Una  diversa interpretazione non potrebbe non integrare una discriminazione tra quei lavoratori che scelgano l’una o l’altra soluzione, la quale ultima, non è difficile intuire, dipenderà dai bisogni che in concreto si debbono soddisfare e quindi dall’assetto delle circostanze empiriche variabili da caso a caso.

*Informarecomunicando, Centro di Informazione per l’Handicap, UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Sezione di Pisa.

Legge 104/1992, Articolo 33 – Agevolazioni

[1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’articolo 7 della Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.] (7quinquies)

2. I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.

3. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonché colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. (7) (7bis)(7quater)

4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all’articolo 7 della citata Legge n. 1204 del 1971, si applicano le disposizioni di cui all’ultimo comma del medesimo articolo 7 della legge n. 1204 del 1971, nonché quelle contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903. (7quater)

5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. (7bis)(7quater)

6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso. (7bis)(7quater)

7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità. (7ter)(7quater)

(7) L’art. 2, D.L. 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla Legge 27 ottobre 1993, n 423, ha fornito l’interpretazione autentica dell’espressione «hanno diritto a tre giorni di permesso mensile».
(7bis) I commi 3, 5 e 6 sono stati così modificati da ultimo dall’articolo
19 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
(7ter) Circa le disposizioni del presente articolo si veda anche l’articolo
20 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
(7quater) Circa le misure introdotte dalla legge n. 53/2000 si veda la
circolare INPS 17 luglio 2000, n. 133
(7quinquies) Il primo comma dell’articolo 33 è stato abrogato dall’articolo 86 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Si veda ora l’articolo 33 del decreto citato.

Si ringrazia il sito HandyLex per la gentile concessione di questo testo legislativo.

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