Caro Piergiorgio, ho 39 anni, la distrofia muscolare progressiva e capirai che il tuo appello per l’eutanasia non mi ha certo lasciato indifferente.
Capirai poi ancor meglio il perché abbia individuato in te il mio “precursore”, quando ti avrò detto che anch’io – come te – dall’inizio del 2000 ho un tubicino nello stomaco, anch’io ho uno squarcio nella trachea e anch’io svuoto artificialmente l’intestino. E se tutto andrà come deve andare, senza intoppi, mi ritroverò anch’io nelle tue stesse condizioni.
Per ora i vent’anni in meno contribuiscono ad una sostanziale differenza tra noi due. Io utilizzo il ventilatore solo durante la notte e al momento del sonnellino pomeridiano. Ho perciò otto-nove ore di vita quasi normale, seduto sulla mia carrozzina elettrica.
Il mio equilibrio psichico subisce scosse profonde quando qualche, chiamiamolo, “disguido fisico” mi costringe a letto per una decina di giorni. Di solito è catarro che mi ostruisce le vie respiratorie, residui permanenti che provengono per lo più dal polmone sinistro, in seguito al focolaio formatosi durante la broncopolmonite che mi colpì alla fine di gennaio del 2000.
In queste situazioni il rantolo del catarro mi fa sprofondare in momenti di puro terrore. Benedico allora la scoperta degli antibiotici e il tubo del ventilatore attaccato alla cannula conficcata nella trachea.
I giorni trascorrono lenti e ovattati, senza fare assolutamente nulla se non sopravvivere. Il momento acuto si riassopisce e allora incomincia il recupero. Si riesce a superare lo sforzo di alzarsi e attraverso la rieducazione respiratoria, che consiste nel rimanere staccato dal ventilatore un’ora il primo giorno, tre ore il secondo e così via, ritornare allo standard delle otto-nove ore precedenti.
Per ora il giochino funziona. Allora ritorno ad utilizzare il mio notebook con il sistema di scrittura semplificata ed è una gioia battere i pollici sui pulsanti che comandano la tastiera alfanumerica e ascoltare la voce metallica del sintetizzatore vocale.
Per me scrivere è molto importante perché scrivo racconti. Scrivo per lo più favole, e me la cavo abbastanza bene, visto che l’anno scorso un mio libricino ha visto la luce. Ho capito quindi che i problemi per me sorgeranno quando non riuscirò più a scrivere e a realizzare le mie favole o non riuscirò più ad intrattenere corrispondenza via e-mail con i miei numerosi amici.
Non sono i tubi che perforano o si attaccano al mio corpo, né lo svuotamento artificiale dell’intestino ad impedire di considerarmi un essere umano, ma l’annullamento della mia volontà e l’impossibilità di realizzare ciò che la mia mente, dotata di un’immaginazione pressoché infinita, concepisce.
Non sarà allora l’esistenza o meno di una legge sull’eutanasia a stabilire come dovrà terminare la mia vita. Sarò io e soltanto io ad avere l’ultima parola. E non permetterò a qualche politico, uomo di chiesa o camice bianco di “sciacquarsi la bocca” o di utilizzare il mio dolore per i loro disegni personali.
A quel punto avrà importanza solo l’affetto dei miei familiari e dei miei amici più intimi. E dovrò lottare per far comprendere loro che per me la vita non rappresenterà più la gioia di percorrere i sentieri meravigliosi della scoperta e dello stupore insite nell’avventura del vivere quotidiano.
Riconosco, caro Piergiorgio, che è facile parlare quando la situazione è sì pesante, ma non ancora tragica e disperata. Ora la forza di volontà, la voglia di restare attaccato alla vita e di fare scorrono ancora vigorosi nelle mie vene.
Non so quando sarò nelle condizioni di cui dicevo prima se manterrò la stessa decisione o se subentrerà la paura per l’ignoto che la morte così bene testimonia.
Per ora già riuscire a discuterne senza essere stravolti dall’emozione è una conquista. Ti ringrazio, caro “precursore”, per la tua lettera che mi ha permesso di focalizzare al meglio le emozioni che l’eutanasia suscita dentro di me.
Vorrei comunque far presente ai benpensanti che tanto “gridano” a sentir parlare di eutanasia di essere afoni di fronte alle richieste di una migliore qualità di vita degli stessi soggetti. Dovrebbero attuare ogni soluzione possibile per mantenere la qualità di vita ai livelli più alti possibili.
Se la gente comune conoscesse le difficoltà ad ottenere dalle ASL – alle prese con bilanci perennemente in rosso – assistenza medica, infermieristica e spesso le stesse attrezzature mediche o i materiali di ricambio assegnati col contagocce, le diatribe che sorgono con i dirigenti per non vedere decurtati sensibilmente i contributi che fino all’anno prima si percepivano, comprenderebbe che quelle persone fisicamente al lumicino, sofferenti al più lieve spostamento, possiedono una psiche gladiatoria.
Ovvio quindi che una persona abituata a stringere i denti di fronte ai mutevoli cambiamenti del proprio fisico, quando giunge a chiedere di terminare la propria vita, abbia già analizzato ogni altra possibile alternativa.
E tenuto conto dei mesi, forse degli anni, necessari per maturare una soluzione tanto tragica, il resto non è nient’altro che puerile chiacchiericcio.
Antonio De Curtis, in arte Totò, affermava che la morte è ‘a livella, intendendo dire che si è tutti uguali di fronte alla morte. Vero. Ma non tutti ci comportiamo allo stesso modo di fronte ad essa.
Parlare di eutanasia mi aiuta a costruirmi delle personali coordinate entro le quali vivere la mia vita con maggiore consapevolezza, ad assaporare ogni più piccola conquista, a capire che non è necessario avere una vita lunga per entrare nei meccanismi di memoria della nostra società.
Poi, ripeto, non è detto ancora che dovrò realizzare per forza l’eutanasia. Intravedo il pericolo che instaurare una simile procedura possa uniformare le decisioni dei soggetti terminali e degli altri individui a ritenere opportuna solo e soltanto l’eutanasia. Il sospetto però di essere considerati una sorta di “indicatori sociali” è forte. Un disabile gravissimo che chiede con tutte le sue forze di morire è costretto a vivere per tacitare la coscienza di bigotti moralisti. Che poi debba farlo di fronte ad una penuria sempre maggiore di mezzi a disposizione non è affar loro!
Caro Piergiorgio, dovrai vivere per parecchi anni ancora prima che si riesca a morire usufruendo di una legge sull’eutanasia. A meno che tu non voglia adoperare il “kit per l’eutanasia”, di provenienza straniera, che di sicuro hai a portata di utilizzo. Meglio andare sul sicuro in certi frangenti.
Io penso invece che vedremo ancora i tuoi occhi sereni ma determinati comparire sullo schermo. Chissà se i tuoi compassati interlocutori si sono resi conto della determinazione che emerge da un uomo tanto inerme.
Buona giornata Piergiorgio.
*Socio della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di Venezia.
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