Per cercare di fare un po’ di chiarezza sui passaggi politici che attendono ora la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità – recentemente adottata dall’ONU – e per capire le intenzioni del governo italiano rispetto a questo documento, abbiamo incontrato Erminia Emprin, senatrice del PRC (Partito della Rifondazione Comunista) e prima firmataria della nota – sottoscritta da molti parlamentari italiani – a sostegno di una rapida ratifica da parte dell’Italia della Convezione.
Senatrice Emprin, ha sensibilizzato lei, per prima, i suoi colleghi?
«Diciamo che con la senatrice Valpiana ci siamo fatte carico di contattare e acquisire le firme di parlamentari delle varie forze politiche dell’Unione che appartengono alle diverse Commissioni tematiche (Lavoro, Scuola, Istruzione, Giustizia, Affari Costituzionali). Questo perché riteniamo che la Convenzione costituisca un passaggio molto importante, di cui noi ci sentiamo di valorizzare in particolare il fatto che per la prima volta esponenti della società civile e delle associazioni di persone con disabilità hanno partecipato non solo al percorso di definizione del testo, ma anche alle diverse fasi di dibattito e confronto che si sono tenute all’ONU. Un aspetto, questo, che a noi sembra davvero di grande rilievo».
Conosceva già il percorso attuato dalla Convenzione o ne è venuta a conoscenza solo dopo la sua adozione?
«Lo conoscevo da tempo, anche se non l’ho monitorato passo dopo passo. Infatti, prima di essere eletta in Parlamento, ho coordinato il Dipartimento dello Stato Sociale del mio partito e quindi ho sempre seguito le questioni relative alle tematiche delle persone con disabilità.
Dei lavori per la Convenzione, perciò, sono a conoscenza da diversi anni, anche se in modo più approfondito soprattutto da quest’estate, quando si è arrivati alla definizione del testo. Il mio, quindi, non è sicuramente un interesse improvviso, ma una fase di un lungo percorso condiviso le cui basi hanno radici piuttosto lontane».
Potrebbe ora aiutare i nostri lettori a capire quale sarà l’iter parlamentare che verrà seguito per arrivare alla ratifica della Convenzione?
«Generalmente il recepimento dei trattati e degli atti internazionali avviene su iniziativa del governo. Al più presto, quindi, sulla base dell’impegno che abbiamo assunto, ricontatteremo tutte le senatrici e i senatori che abbiamo coinvolto per la nota di cui si è detto e con loro definiremo un percorso che possa portarci quanto prima alla ratifica.
D’altro canto, stiamo anche aspettando di ricevere il testo ufficiale e certificato della Convenzione tradotto in italiano, visto che al momento è disponibile solo una versione ufficiale in inglese».
Per favorire questo percorso, ritiene potrebbe essere utile istituire un Comitato Ad Hoc?
«Non so se sia proprio necessario rendere formale questa azione di cui noi abbiamo gettato le basi. Potrebbe esserlo, ma onestamente – per l’esperienza che ho fin qui maturato in ambito di attività parlamentare – ripongo molta fiducia sulla pratica della relazione tra parlamentari, senza quindi la necessità di una formalizzazione.
Questo, però, dovrà poi essere anche rimesso al giudizio delle associazioni. Esistono infatti moltissimi comitati tra senatori e senatrici, ma io penso che sul piano dell’efficacia della nostra azione, la relazione instauratasi sulla base della nota sottoscritta nei giorni scorsi sia già sufficientemente impegnativa.
Un’altra cosa sarebbe invece se – su iniziativa delle associazioni di persone con disabilità – si pensasse di costituire un organismo di confronto e di consultazione reciproca. Personalmente condividerei questo tipo di iniziativa, ma penso anche che si tratterebbe di una cosa diversa: non infatti un comitato a livello parlamentare, bensì un gruppo di lavoro cui potrebbero essere invitati a partecipare anche dei parlamentari. Potrebbe trattarsi cioè di una modalità molto interessante di relazione tra istituzioni, società civile e protagonismo politico dell’associazionismo di promozione sociale».
In effetti questo coinvolgimento era già previsto nel testo della nota sottoscritta dai senatori e dalle senatrici dell’Unione, in cui si faceva espressamente riferimento al «coinvolgimento, nel processo di ratifica, delle associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie».
«Esattamente ed è proprio per questo che tengo a ribadire come il dato significativo della partecipazione di queste ultime a tutte le discussioni in sede ONU debba trovare anche una sede di ascolto a livello parlamentare. Cosa che talvolta avviene, in quanto esiste già un meccanismo detto delle audizioni, messo in atto quando le singole Commissioni esaminano dei provvedimenti.
Quindi, se si potesse veramente costituire un gruppo di lavoro all’interno del quale alcuni parlamentari si facessero carico di tenere le relazioni con i partiti, e parallelamente si mettesse in moto la pratica delle audizioni durante i lavori delle diverse Commissioni tematiche impegnate nel recepimento, credo che si farebbe una cosa molto utile, sia di arricchimento reciproco che di buona pratica politica».
Pensando appunto al lavoro delle diverse commissioni, dal suo punto di vista sarebbe praticabile la via di inserire all’interno di determinati testi di legge alcuni passaggi tratti direttamente dalla Convenzione?
«Sì, penso potrebbe essere utile, ma ritengo che sarà un passaggio successivo, perché una volta recepita la Convenzione, è chiaro che bisognerà riattraversare le leggi riaffermando i princìpi ribaditi nella stessa e non si tratterà certamente della semplice affermazione di una carta di princìpi che resta lì, come un punto di riferimento, però lontano.
La sua traduzione, poi, all’interno delle norme che man mano andranno costruendosi, costituirà un altro passaggio ancora, che – tra l’altro – si gioverebbe molto del fatto che il suddetto gruppo di lavoro potesse diventare permanente, con un’alternanza di parlamentari a seconda della tematica trattata».
La sottoscrizione formale della Convenzione avverra il 30 marzo 2007. Chi sarà a New York per l’Italia?
«Ancora non lo so, ma ci potrebbe essere il ministro per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, che al momento coordina le politiche sociali in generale e che finora ha seguito la questione, con un ruolo di coordinamento all’interno del governo. In questo senso, però, sia noi che le associazioni possiamo muoverci per fare una verifica rispetto alle intenzioni del governo».
Secondo lei, quali saranno i tempi per arrivare alla ratifica e all’implementazione?
«Per quanto riguarda la ratifica, penso che da marzo tutti i giorni saranno buoni e potremmo pensare anche di scriverlo sul calendario.
Per quanto riguarda invece il discorso della revisione dei testi, non saprei veramente se abbia più senso pensare a un lavoro massiccio come la revisione di tutta la legislazione esistente o se invece non sarebbe più opportuno e importante concentrarsi sull’aggiornamento dei testi man mano che la produzione di leggi procede. Tenendo bene a mente che – una volta ratificata – la Convenzione diventerà un punto fermo e farà parte della normativa del nostro Paese, una cosa rispetto alla quale l’Esecutivo del governo dovrà poi regolarsi di conseguenza.
È vero anche che nel nostro Paese – anzi nell’intera Europa – le politiche sociali a favore delle persone con disabilità sono sicuramente carenti. Guardando all’Italia, poi, penso che la legislazione italiana contenga troppi possono e troppo pochi devono, anche rispetto ai diversi soggetti che governano e amministrano, quindi lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni.
E d’altro canto, la trasformazione di quei possono in devono passa attraverso un processo molto complesso del quale dobbiamo farci carico, innanzitutto avviandolo, per poter giungere poi, passo dopo passo, all’implementazione di un’offerta di servizi che oggi è non solo inadeguata, ma soprattutto insufficiente rispetto a quelli che sono i bisogni e che oggi, sulla base della Convenzione, dobbiamo incominciare a chiamare diritti. Un effetto, questo, che dal mio punto di vista rappresenta il passaggio politico più importante determinato dall’approvazione della Convenzione, per il quale noi l’abbiamo salutata come un enorme balzo in avanti rispetto al passato».
Le nostre leggi, e soprattutto la nostra cultura, troppo spesso si pongono ancora rispetto alla persona con disabilità muovendo da una prospettiva medico-sanitaria e non certo da una basata sui diritti umani e la centralità della persona…
Proprio così! D’altro canto è questo il punto fondamentale: cioè che oggi questa Convenzione costituisce un vero e proprio nocciolo duro di affermazioni di diritti che dovranno trovare un’attuazione legislativa, anche nelle politiche quotidiane gestite dai diversi organi di governo, e quindi dovranno trovare anche le relative risorse economiche. E questo senza mai dimenticare la contraddizione storica interna alle politiche sociali italiane per cui, come dicevo prima, ci sono sempre molti possono e pochi devono, ciò che deriva anche dal fatto che le risorse per queste politiche sono da noi molto più basse che nel resto d’Europa e in modo particolare quelle per la vita indipendente delle persone con disabilità.
Il fatto poi di riconoscere i diritti delle persone con disabilità come diritti umani, quindi come un patrimonio non solo individuale, ma di civiltà e di civilizzazione dei rapporti politici e sociali nel nostro Paese, è senza dubbio un altro elemento che andrà valorizzato».
Barbieri, il presidente della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, alcuni mesi fa rientrando da New York dopo l’approvazione del testo della Convenzione, auspicava l’istituzione nel nostro Paese di un’autorità indipendente per la tutela e la promozione dei diritti umani, violati anche da noi…
«Su questo sono assolutamente d’accordo. Infatti, si potrebbe benissimo pensare ad un garante per l’attuazione e la concretizzazione dei diritti umani delle persone con disabilità. Come, senza dubbio, andrà introdotto anche un sistema di monitoraggio, una relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della Convenzione. Attività, questa, che potrebbe essere affidata ad un ministero, che diventerebbe su questo terreno il promotore e coordinatore dell’azione del governo.
Questo, però, sul piano della politica. Accanto a ciò, invece, si potrebbe prevedere appunto un garante, una figura diversa, per stimolare l’innovazione e l’arricchimento della legislazione, e per stimolare la sua attuazione.
Procediamo comunque per gradi, e in questo senso pensiamo ora alla ratifica, passando per un percorso di audizioni con le Commissioni coinvolte e le associazioni di persone con disabilità, per mettere a fuoco tutti i passaggi successivi che dovranno andare dall’introduzione di un possibile garante a quella di una procedura di monitoraggio dell’attuazione della Convenzione».
Con le persone con disabilità, dunque, protagoniste di ogni futura iniziativa…
«Io credo che noi oggi abbiamo la Convenzione grazie al protagonismo delle associazioni di persone con disabilità il quale ha sfondato il muro di separazione che divideva i luoghi istituzionali della politica e la politica di tutti i giorni, essendo poi – questi organismi – capaci anche di interloquire negli stessi luoghi istituzionali della politica, come all’ONU. Sono quindi convinta che a loro debba essere affidata anche l’attuazione e non per il venir meno dell’assunzione di una responsabilità da parte della politica, ma per l’evoluzione di un percorso in cui il rapporto tra la politica istituzionale e il protagonismo sociale diretto dei soggetti interessati e coinvolti ha prodotto un buon risultato. Un arricchimento reciproco che deriva quindi dal fatto di riconoscersi e di mantenersi in relazione. Relazione, quella tra la politica istituzionale e la società, che penso sia oggi un tema di grande attualità e interesse. Quindi, anche da questo punto di vista penso che la Convenzione abbia un significato politico nel senso più alto del termine.
In conclusione ritengo che le persone con disabilità, in questo frangente, abbiano messo in moto una buona pratica alla quale dovremo rifarci in tutti i percorsi successivi, dando, come spesso accade, un’indicazione che può valere anche per altri, di una modalità vera di fare politica, ricostruendo il rapporto tra chi la fa nelle sedi istituzionali e coloro per i quali la politica è una pratica quotidiana, un impegno civile riconfermato tutti i giorni, a partire da sé e dalla propria condizione».