La Regione Veneto ha avviato un tavolo tecnico per definire un protocollo per l’autismo, ma ad oggi non ha ancora emanato proprie Linee Guida per l’Autismo. Qesto fatto può favorire la diffusione nel nostro territorio di pratiche non appropriate per l’autismo come la psicoterapia e la cosiddetta medicina alternativa?
«La Regione Veneto è stata una delle prime coinvolte nella rivoluzione culturale sull’autismo introdotta dall’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) in Italia oltre vent’anni addietro, dimostrando con i numeri dell’epidemiologia quanto fosse sbagliata la teoria psicogenetica e le terapie psicodinamiche e familiari che ne conseguivano “logicamente”, dato che un errore nella teoria induce logicamente un errore nella terapia.
Molti operatori, qui come altrove, hanno fatto e fanno grandi resistenze ad accettare di essersi sbagliati, soprattutto quelli appartenenti alle “scuole” psicodinamiche: questo, infatti, significherebbe per loro ammettere la necessità di cambiare tutta la loro impostazione mentale, ideologica e lavorativa.
Attorno al 2000 la Regione Veneto, anche per la presenza della professoressa Paola Facchin e di funzionari regionali illuminati, aveva proposto di scrivere con le associazioni nuove regole di trattamento dell’autismo. Dopo alcune riunioni, il tavolo di concertazione fallì, a causa delle contrapposizioni fra alcune associazioni.
Ovviamente i funzionari e i decisori politici che essi rappresentavano non potevano essere disposti a mettere a rischio i rapporti con gran parte degli operatori e con una parte dei genitori e delle loro associazioni. Infatti, era emerso che, quasi per reazione agli “errori/orrori” degli psicodinamici, da un lato vi erano genitori che cercavano la soluzione del problema nelle pseudoterapie della medicina alternativa (omeoterapia, omotossicologia, fiori di Bach, detossificazioni, diete ecc.), mentre dall’altro vi erano tanti genitori che si volevano illudere sulle capacità mentali dei figli con una Comunicazione Facilitata dove il facilitatore usava il facilitato come fosse uno strumento passivo di scrittura mediata.
La reazione dei decisori politici non poteva essere altro che il rinvio di ogni decisione, poiché una direttiva regionale seria, basata sulla scienza e sulle sue evidenze, sarebbe stata un “suicidio politico”, trovandosi contro i due terzi degli interessati.
In questo senso, la situazione della Regione Emilia Romagna, per certi versi simile quanto a presenza di psicodinamici, si è evoluta prima, perché vi era una sola associazione regionale di genitori, l’ANGSA, che aveva impostato tutta la sua forza sulla dimostrazione scientifica dell’efficacia o dell’inefficacia degli interventi».
Spesso i nostri interlocutori presso le istituzioni giustificano l’attendismo affermando che non è chiaro cosa si debba fare per l’autismo: ci sono troppe scuole di pensiero. È plausibile una simile posizione alla fine del 2006?
«In medicina, e soprattutto nella medicina della mente, vi sono sempre scuole di pensiero diverse, ma non per questo sono tutte giustificate: vi sono anche le “scuole dei somari”, che devono essere sbugiardate e isolate. Occorre avere insomma il coraggio di stabilire quali siano le nostre mete e poi di verificare se gli interventi effettuati siano stati utili per raggiungere quelle stesse mete. Fino ad ora si è speso molto denaro pubblico e privato dimenticando di verificarne i risultati.
Se la meta consiste nell’integrazione del disabile nella società, non si capisce come mai gli interventi effettuati finora non siano riusciti a inserire nemmeno un autistico in un ambiente di lavoro normale, sia pure con la gradualità e gli aiuti necessari.
La validità della strategia integrata di educazione speciale proposta oltre trent’anni addietro da Eric Schopler in North Carolina (TEACCH – Treatment and Education of Autistic and Related Communication-Handicapped Children) si è affermata come buona prassi nel mondo e dev’essere perseguita con la collaborazione della famiglia anche in Veneto da parte di scuola, sanità e servizi sociali.
In particolare i metodi neocomportamentali (Analisi Applicata al Comportamento), che possono e debbono trovare spazio dentro tale strategia, soprattutto fra i due e i cinque anni di età, hanno dimostrato negli ultimi due anni la loro efficacia in gran parte degli autistici, per ridurre molte delle disabilità che caratterizzano la sindrome autistica. In sostanza è stato compiuto un esperimento sul metodo neocomportamentale alla stessa stregua di tutti gli altri interventi che rientrano nella medicina basata sull’evidenza (EBM). Pertanto è giustificata la richiesta che tale metodo rientri nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e sia reso accessibile a tutti i cittadini a spese della collettività.
Lo stesso diritto, ad esempio, vale anche per il farmaco (risperidone) che recentemente è stato approvato per i bambini autistici da parte della Food and Drug Administration (FDA) americana e che da noi viene prescritto spesso modificando a bella posta la diagnosi di autismo in un’altra, adattandosi alle note della Commissione Unica del Farmaco (la CUF, equivalente alla FDA americana).
La dimostrazione scientifica, dunque, supera le diversità tra le scuole di pensiero e promuove un intervento come efficace sulla base della sperimentazione scientifica. Finché un’altra scuola non avrà provato scientificamente che un nuovo intervento è più efficace di quello attuale, quell’intervento dovrà essere la prima scelta possibile per l’utente».
Quale prezzo pagherà in futuro il Veneto se non investirà da subito risorse adeguate per la diagnosi precoce e l’abilitazione dei bambini autistici secondo i criteri scientifici validati e richiamati anche dalle Linee Guida della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza)?
«Il prezzo che dovrà pagare il bilancio pubblico della Regione sarà molto alto, perché un soggetto autistico non adeguatamente educato finisce in un’istituzione residenziale abbastanza presto e costa al bilancio pubblico circa 3 milioni e mezzo di euro per l’arco della sua vita. I soggetti che invece vengono educati a convivere con gli altri in luoghi di vita normali presentano costi molto inferiori.
E tuttavia mi preme sottolineare che i costi più alti sono quelli morali e materiali pagati dalla famiglia e dal soggetto stesso, la cui vita è completamente rovinata dalla sindrome autistica se non si provvede all’educazione speciale in una strategia educativa integrata. Il maggior costo che sembra venire nei primissimi anni di vita dall’intensività (30 ore la settimana) e dalla specializzazione richiesta a coloro che stanno intorno all’autistico (genitori, insegnanti ed educatori) viene abbondantemente compensato dai risparmi futuri, possibili perché il soggetto è integrabile in un ambiente normale».
Considerando la frammentarietà della nostra realtà organizzativa per l’autismo, cosa consiglia ad un genitore del Veneto che da poco ha saputo che suo figlio è autistico?
«I servizi sanitari, scolastici e sociali del Veneto debbono farsi carico dei problemi e non si deve dare per scontato che il genitore debba correre da un servizio all’altro per cercare la soluzione migliore, come oggi purtroppo avviene.
La Regione deve individuare un centro per la diagnostica che sappia riconoscere la sindrome con gli strumenti maggiormente utilizzati nel mondo e che si impegni anche nella ricerca su quale patologia ne sia la causa prima: anche se oggi soltanto un quinto di casi può ricevere la diagnosi eziologica, si devono conservare in una banca dati i materiali biologici (prelievi di sangue e urine), per potere effettuare diagnosi nuove che la ricerca scientifica futura via via ci indicherà: è questo, ad esempio, uno degli obiettivi che la Fondazione Smith Kline di Verona si è posta, collaborando con i neuropsichiatri infantili.
Occorre perciò una politica di formazione permanente del personale, che dev’essere specializzato in questo tipo di trattamenti e deve poter seguire l’autistico dall’infanzia fino all’età adulta, così come avviene nel mondo e anche in Piemonte, nell’ambulatorio di Giuseppe Maurizio Arduino.
Dal canto loro i genitori devono poter contare su insegnanti specializzati nel trattamento di questa sindrome, che possano seguire il bambino con continuità e formarsi essi stessi per essere in grado di rispondere ai bisogni di questi bambini speciali. Quello che finora è arrivato da iniziative di associazioni dei genitori, come l’ANGSA, tramite seminari rivolti ai genitori stessi (parent training) e agli insegnanti, deve diventare insomma un’attività istituzionale dei servizi pubblici.
Al momento attuale consiglio in ogni caso ad un genitore del Veneto di rivolgersi alle nostre associazioni presenti in questa Regione, evitando quelle che millantano guarigioni chiedendo di pagare privatamente gli interventi da loro proposti. In particolare consiglio di diffidare di quelle associazioni che vendono terapie oppure di quelle collaterali ai venditori di fumo e di illusioni che incitano a provare rimedi farmacologici i quali non hanno alcun riconoscimento scientifico.
Consiglio anche di rivolgersi sempre ad un’Azienda Sanitaria pubblica senza ricorrere al servizio privato a pagamento. Purtroppo proprio in Veneto, a Verona, esiste il caso tristemente eccezionale del Servizio di Neuropsichiatria Infantile di un’Azienda Sanitaria Locale che consiglia l’uso di rimedi della medicina alternativa americana, pomate e integratori alimentari a pagamento diretto dei genitori: i genitori devono fare attenzione e utilizzare la possibilità di scegliere uno qualunque dei servizi accreditati esistenti in Veneto (anche l’Università di Verona è accreditata), in quanto i cittadini italiani sono liberi di scegliere il servizio a cui fare riferimento, indipendentemente dalla residenza, in tutte le regioni italiane.
Tuttavia, quando è possibile, è meglio scegliere un servizio che possa collaborare con la scuola e con i servizi sociali del territorio di residenza, per favorire quell’integrazione che è utile sempre, ma ancor più utile nel caso dell’autismo, come dimostrano trent’anni di attività del TEACCH».
L’approccio messo a punto dalla Division TEACCH dell’Università di Chapell Hill nel North Carolina è un modello sperimentato di gestione globale dell’autismo e, come tale, esportabile in altre realtà. Quali sono i “pre-requisiti di sistema” necessari per implementare con successo un modello simile nel nostro Paese?
«Il requisito per attuare la strategia TEACCH è la firma dell’accordo di programma fra i vari enti che devono intervenire: sanità, scuola, servizi sociali del Comune e anche della Provincia, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento lavorativo degli autistici, che deve servire come verifica dei risultati della precedente educazione speciale.
I contenuti dell’accordo devono altresì rispettare le Linee Guida regionali per le buone prassi nell’autismo, un atto ufficiale che dev’essere emanato al più presto, approfittando dell’esistenza di analoghi provvedimenti emanati da anni in cinque Regioni italiane».
Il progetto per l’autismo finanziato nel 2006 dalla Regione Lazio ricorda la nascita della Division TEACCH diretta da Eric Schopler, recentemente scomparso. Quali sono, per sommi capi, le basi di partenza di questo progetto, i risultati attesi e le prospettive future?
«Il Progetto Autismo ed educazione speciale dell’assessore alle Politiche Sociali della Regione Lazio, Alessandra Mandarelli, è iniziato nel marzo del 2006 con una serie di conferenze che si propongono l’obiettivo di far meglio conoscere l’autismo nei suoi molteplici aspetti e di informare su quanto di valido si possa fare soprattutto nel mondo della scuola per aiutare i ragazzi autistici e le loro famiglie prima nell’integrazione scolastica e poi in quella sociale. Per raggiungere questo obiettivo sono stati invitati nel Lazio i maggiori esperti del settore, in particolare Kerry Hogan della TEACCH Division dell’Università del North Carolina.
Questo è l’inizio di un lungo percorso che l’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Lazio intende fare per migliorare la qualità della vita dei bambini autistici e delle loro famiglie, favorendo quanto oggi è già possibile, vale a dire un’educazione speciale personalizzata che tenga conto dei grandi progressi compiuti nel campo dalla pedagogia speciale.
Successivamente, in ogni Provincia, per gli interessati che ne fanno richiesta, il percorso di formazione proseguirà con quattro giornate di seminari diretti a dieci-venti casi di bambini autistici, ove i genitori, gli insegnanti, gli educatori e gli operatori sanitari siano d’accordo per intraprendere una strategia educativa personalizzata, precoce, intensiva e strutturata, di tipo cognitivo e neocomportamentale.
Si prevede di seguire per un anno i casi a domicilio e nella scuola con un supervisore esperto in interventi cognitivi e neocomportamentali, che coordini la strategia educativa recandosi a domicilio e a scuola per una giornata intera al mese. Verrà inoltre effettuata una verifica a più lungo termine sulle risorse usate e sui risultati ottenuti. Una cabina di regia formata da docenti appartenenti alle Università di Modena e Reggio Emilia, Tor Vergata, La Sapienza e Campus Bio-Medico di Roma, effettuerà il monitoraggio del procedimento e dei risultati, mettendo dunque le basi per l’istituzione di un osservatorio sull’autismo.
Questa azione intende favorire una più ampia ricerca a tutto campo sugli interventi di ogni tipo di disciplina che possono migliorare le prospettive di vita».
Nel Veneto, dove manca ancora una strategia condivisa tra tutte le agenzie che prendono in carico il bambino autistico, i genitori ricorrono alla magistratura per vedere riconosciuti i diritti dei loro figli in situazione di gravità. Perché le leggi italiane che tutelano le persone con disabilità sono tanto avanzate quanto poco applicate? Si possono considerare davvero diritti certi ed esigibili?
«Se ci riferiamo alla quantità di ore di sostegno nella scuola, il problema dei diritti non applicati è comune a tutti gli alunni certificati: quando una commissione stabilisce che l’alunno ha bisogno di 16 ore la settimana, il magistrato, se si ricorre a lui, obbliga la scuola a dare queste ore sulla base del diritto di cittadinanza, garantito dalla Costituzione e dagli accordi internazionali sul diritto allo studio.
La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha iniziato questo percorso giudiziario che è ormai consolidato: ma non è questa la soluzione del problema generale e insieme al nuovo Ministero stiamo cercando di raggiungere l’obiettivo senza fare ricorso al giudice.
Nel caso dell’autismo il problema diventa più difficile, perché non basta la quantità di ore di insegnante di sostegno, ma occorre la specializzazione, che non si può inventare neppure con una sentenza del giudice. Per questo dev’esserci una vera e propria rivoluzione culturale nel mondo della scuola e in quello della sanità e dei servizi sociali: l’ANGSA nazionale e quella veneta si sono impegnate per questo negli ultimi vent’anni e speriamo che anche nel Veneto si possano presto vedere i frutti.
I genitori possono e debbono collaborare in questa azione, prima di tutto evitando di fare danni ai propri figli (ad esempio coltivando illusioni e attese miracolistiche) e poi rimboccandosi le maniche e assumendosi il carico di un’educazione speciale, cercando il massimo di accordo possibile con gli operatori dedicati al figlio. Molto si può ottenere se molto si lavora».
*Intervista tratta dal sito dell’ANGSA Veneto www.angsaonlus.org/veneto. Per gentile concessione di tale testata.
**Professore associato di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sociali e Sanitari presso l’Università di Modena e Reggio Emilia; direttore del «Bollettino dell’ANGSA», bimestrale dell’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici.
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