Scusami, ma proprio nel concordare con te quando affermi che in un eventuale reality show di persone disabili «l’orientamento generale dovrebbe essere quello di rendere la trasmissione il meno possibile esclusiva (cioè dedicata esclusivamente alla disabilità)», proprio per questo ho trovato ad esempio di dubbio gusto la trasmissione olandese Miss Ability, dove invece, secondo me, un ascolto così alto è stato motivato non tanto dalla diffusa tendenza a «riscoprire le nicchie» e a mostrare «curiosità, apertura e interesse» verso programmi che riguardano persone con disabilità, quanto dalla morbosa, inquietante e oltraggiosa curiosità di vedere in cosa sia diversa la “bellezza del diverso”.
Altrimenti perché organizzare un concorso “riservato” e non dare invece la possibilità alle belle disabili di misurarsi con bellezze non disabili?
Sono poi del tutto d’accordo con te anche quando dici che «la televisione generalista, che non riproduce la realtà ma tutt’al più un modello ideale invidiato da molti, non racconta la vita “normale”; le persone con disabilità, che ne fanno parte, restano perciò escluse». Ma allora che cosa facciamo? Ci proponiamo e concordiamo su una televisione come questa che, quasi paradossalmente, da generalista diviene “esclusivista”? Ma così, credo, non facciamo altro che continuare a ghettizzarci, chiuderci sempre più nel nostro mondo per evitare il confronto e, perché no, lo scontro…
Personalmente, invece, vorrei – e auspico con tutto me stesso – che la persona con disabilità, intesa come “IO disabile”, partecipasse, intervenisse e fosse anche protagonista nelle normali trasmissioni di spettacolo, intrattenimento, dibattiti, reality e quant’altro.
Credo che mi riterrò appagato e pieno nell’animo solo quando vedrò rappresentata nelle arti – ma anche in TV – la realtà di una “disabilità normale”, come quella che quotidianamente viviamo.
Cerchiamo insomma in questo modo di scrivere veramente la nostra storia, influenzando – pur con levità – la scrittura della storia degli altri.
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