Ma qual è il soggetto veramente debole?

Si tratta di un quesito quanto mai attuale, pensando alla delicata materia del rapporto di lavoro tra badante e persona con grave disabilità. Una recente sentenza a Udine si segnala per l'intelligente umanità nel cogliere la grave situazione in cui si può trovare una persona fisicamente non autosufficiente, quando improvvisamente viene a mancare l’assistenza

Badante insieme a persona in carrozzinaSu richiesta delle parti, il giudice per le udienze preliminari di Udine Paolo Lauteri, ha applicato la pena di due mesi e venti giorni di reclusione e il pagamento di 600 euro per le spese della parte civile, nei confronti di una badante – regolarmente assunta da una persona con disabilità motoria grave – che non si era presentata al lavoro.
La vicenda, patrocinata dalla UILDM di Udine (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), riguarda una persona costretta in carrozzina dalla distrofia muscolare che, senza alcun preavviso, si è trovata in grave difficoltà per la mancanza improvvisa di assistenza notturna.

Si tratta di una sentenza quanto mai emblematica poiché estende il dovere giuridico previsto per la custodia e la cura di figure parentali anche alla situazione di un rapporto di lavoro.
L’articolo 591 del Codice Penale punisce infatti la condotta di chi abbia la custodia o debba avere cura di persona incapace, qualora violi il dovere di assistenza, sotto una qualunque forma, in particolare quando potrebbe derivarne «uno stato di pericolo anche solo potenziale per l’incolumità della persona».
Il giudice ha ritenuto dunque che la fattispecie di una badante che abbandoni l’assistito senza motivo, anche qualora ciò provochi solo danni potenziali, configuri un reato penale punibile fino a sei mesi di reclusione.   

«Nella mia esperienza – ha dichiarato la persona assistita, delle quale per ragioni di riservatezza omettiamo le generalità – da molti anni sono costretta a ricorrere all’aiuto di “badanti” per poter soddisfare i bisogni primari e condurre una vita dignitosa. Ho avuto modo, quindi, di incontrare persone di grande generosità, serietà e professionalità, ragazze e donne nigeriane, etiopi e italiane, che si sono rivelate ottime assistenti. Al tempo stesso, però, altre persone delle stesse nazionalità si sono rivelate assolutamente inaffidabili, scortesi e maleducate. Purtroppo spesso accade che le persone che svolgono il lavoro di assistenza non siano preparate adeguatamente per un compito delicato che richiede senso di responsabilità e serietà morale e professionale, qualità spesso riconducibili più alla persona che alla formazione scolastica».

La signora protagonista suo malgrado della vicenda è pienamente consapevole della delicatezza di tale materia e ritiene che «solo adesso si sia iniziata a considerare l’importanza di una selezione attenta e mirata delle persone». «Purtroppo – ha dichiarato ancora – comprendo l’urgenza di collocare al lavoro persone disoccupate, ma ciò non può avvenire a danno di chi ha già seri problemi di gestione del quotidiano, a scapito cioè di un “datore di lavoro particolare” che ha bisogno di un rapporto fiduciario con il proprio “dipendente”. Ciò dovrebbe portare anche il sindacato a riflettere sul fatto che non sempre il soggetto sociale debole è il lavoratore».

«Voglio ancora sottolineare – conclude la signora – un aspetto non secondario: spesso le persone anziane e quelle con disabilità sono garantite da familiari che sovrintendono e controllano il lavoro dei badanti; chi invece vive da solo deve affidarsi completamente a chi lo assiste. Fortunatamente esistono anche gli amici che, senza avere l’obbligo della cura, con generosità se ne fanno carico, evitando così situazioni di grave difficoltà».

Dal canto suo, Anna Maria Cassina, difensore di fiducia dell’assistita, ha così commentato la sentenza: «Una particolare situazione processuale ha consentito al giudice per l’udienza preliminare, in presenza di una sentenza di applicazione della pena (sentenza che, pur di condanna, non si addentra in una valutazione nel merito della questione), di approfondire la fattispecie del reato di abbandono di incapace. Infatti, l’imputata era legata alla persona offesa da un rapporto contrattuale di assistenza e, dopo un periodo di ferie concordato, non si era ripresentata sul luogo di lavoro nel termine pattuito, rendendosi inoltre irreperibile. La persona offesa, affetta da una grave distrofia muscolare, per la quale è necessaria la costante presenza di un’assistente, era stata quindi costretta a rivolgersi d’urgenza a conoscenti e amici, per garantirsi un’assistenza d’emergenza, del tutto precaria e occasionale». 

Assistente insieme a persona in carrozzinaAltri interessanti dettagli vengono evidenziati dall’avvocato Cassina: «Il giudice, acclarata la condizione di incapacità della persona a provvedere a se stessa – presupposto della fattispecie penale – ha ribadito dunque il costante orientamento della Suprema Corte, nell’affermare che l’elemento materiale del reato è costituito da qualunque azione o omissione che contrasti con il dovere giuridico che grava sull’obbligato e da cui derivi uno stato di pericolo non necessariamente effettivo, ma anche solo potenziale».

«Con tale provvedimento – conclude Cassina – è stato anche ribadito che la condotta punibile è a forma libera, potendo consistere in qualunque forma di violazione del dovere di assistenza, così ricomprendendo anche l’inadempimento contrattuale previsto per la presa in custodia o cura della persona. Pur non essendo quindi la vicenda stata sviscerata nel corso di un giudizio dibattimentale, la stessa costituisce un significativo precedente in materia».

Soddisfazione è stata infine espressa anche da Innocentino Chiandetti, vicepresidente della UILDM di Udine, che sottolinea in particolare come la sua associazione abbia voluto «promuovere e sostenere la causa anche per dare visibilità ad un fenomeno che ha una preoccupante diffusione, per richiamare l’attenzione e la sorveglianza di enti pubblici e privati e per lanciare un monito alle troppe badanti improvvisate e disinvolte in circolazione. Sempre più spesso, infatti, ci vengono segnalate storie di persone assistite da badanti che hanno provocato disagi, condizionamenti psicologici, ricatti e vessazioni, quando non anche danni e pericoli per l’incolumità delle persone assistite».

Anche il problema della mancanza di continuità delle assistenti viene messo pienamente in luce da Chiandetti: «Spesso esse rimangono al lavoro solo qualche mese, mettendo quindi in gravi difficoltà le persone assistite. L’assistenza a persone non autosufficienti è un lavoro difficile e delicato e non può essere affidato al primo che capita. Appare dunque necessario attuare delle selezioni rigorose sulle capacità, le attitudini, l’onestà e l’affidabilità delle persone che si offrono per queste mansioni, fermo restando che conosciamo molte situazioni di badanti italiane e straniere straordinariamente disponibili e capaci».

«Non possiamo quindi – conclude Chiandetti – che dichiararci soddisfatti per l’esito della vicenda e per l’intelligente umanità che traspare dalla sentenza, con la quale si è saputo cogliere appieno la grave situazione in cui si può trovare una persona fisicamente non autosufficiente, quando improvvisamente viene a mancare l’assistenza».
(S.B.)

Per ulteriori informazioni:
UILDM Udine (Innocentino Chiandetti)
tel. 0432 510261,
uildmud@libero.it.
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