Gli avvocati delle organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità californiane e i Centri per la Vita Indipendente saranno ancora una volta al Campidoglio di Washington, per dare il proprio contributo a far cadere l’AB 374, un progetto di legge che legalizzerebbe il suicidio assistito in California e che sarà messo ai voti in questi giorni.
A tal proposito gli esponenti del Centro per la Vita Indipendente di San Francisco hanno dichiarato: «Ci opponiamo con forza alla legalizzazione del suicidio assistito in California perché non tutti gli individui, inclusi quelli con disabilità, hanno ancora un sufficiente accesso alle cure mediche. Senza una vera facoltà di scelta, le persone che hanno risposte mediche inadatte, finanze insufficienti per coprire i costi delle cure o che percepiscono il fatto di essere o poter diventare un “fardello” per le persone che amano, potrebbero essere forzate nella scelta di por fine alla loro vita».
Anche Il Centro per la Vita Indipendente Freed ha spiegato la propria posizione contro il suicidio assistito, affermando che «i sostenitori di questa legge non stabiliscono una connessione tra il suicidio assistito e la carenza di adeguati servizi socio-sanitari. I costi medici crescono sempre di più e l’accesso alle cure di cui si ha bisogno è sempre più “fuori portata” per moltissimi cittadini. Le persone con disabilità, le quali hanno bisogno di un livello significativo di servizi, sono verosimilmente i soggetti più toccati dalle discussioni sul suicidio assistito».
Per rispondere poi a coloro i quali ritengono che tale legge verrà applicata solo ai pazienti “terminali”, i gruppi che la combattono esibiscono una lettera inviata alla Commissione Giustizia del Senato statunitense, riguardante appunto il suicidio assistito, ove si legge che la diagnosi di una malattia terminale non è una scienza esatta.
Alcuni studi, del resto, hanno confermato che gli errori di prognosi nel caso di malattie terminali sono frequenti e proprio recentemente Nicholas Christakis, dell’Università di Chicago, ha coinvolto in una di queste ricerche ben 365 medici e 504 pazienti ospedalieri, giungendo alla conclusione che solo il 20% delle prognosi si erano dimostrate corrette.
(G.G.)
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