Cari giudici, ascoltate i fratelli e i genitori

di Carolina Amelio*
Fa discutere la sentenza segnalata nei giorni scorsi per il nostro sito da Giorgio Genta, secondo la quale un giudice ha ritenuto che per una bimba fosse disdicevole essere adottata dalla famiglia alla quale era stata affidata da un paio di anni, dal momento che avrebbe continuato a vivere con un fratello affetto da sindrome di Down. Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo un altro prezioso contributo sulla questione
Disabile e non disabileHo appena finito di leggere in Superando.it l’articolo Quel fratello disabile e sono rimasta amareggiata nel constatare che nel 2007 ci possano ancora essere pregiudizi così forti.
Se è vero infatti che la legge prevede che l’affidamento sia temporaneo e se è vero che per adottare bisogna seguire un iter legale con liste d’attesa da rispettare, è altrettanto vero che un giudice debba esclusivamente attenersi a suddette regole, ma soprattutto è inaccettabile e disdicevole che quest’ultimo, per giustificare il rifiuto di un’adozione, si permetta di dire alla madre una frase come questa: «Mi chiedo se poi le farebbe bene crescere con un fratello così». 
In altri Paesi una frase del genere sarebbe considerata politically incorrect e la responsabile verrebbe sicuramente querelata dalla parte lesa, con una forte garanzia legale di pagare severamente questo errore. In Italia, purtroppo, sembra invece che affermazioni come queste siano ancora oggi all’ordine del giorno.
Personalmente ritengo che finché non ci sarà un modo per “punire” l’ignoranza di frasi inutili, destinate solo a ferire pochi interessati, simili episodi continueranno a verificarsi.
Vorrei chiedere inoltre ai giudici: perché non ascoltate i genitori o ancor meglio noi fratelli prima di decidere con presunzione se sia idoneo o meno vivere con un fratello disabile? Perché decidete voi per noi? Perché non è possibile avere una collaborazione sincera tra famiglie e professionisti?  
Anch’io credo fermamente che sarebbe utile, da parte dei tribunali, nominare come periti i fratelli di persone con disabilità; sicuramente potrebbero dare giudizi più veritieri, accurati e dettagliati rispetto a chi non ha mai vissuto un’esperienza simile.
Personalmente sono diventata psicologa e mi occupo soprattutto del rapporto tra fratello disabile e non; io stessa sono la sorella di un ragazzo con disabilità sensoriale e ho scelto questa professione proprio per poter avere più voce in capitolo sull’argomento. Ero stanca di sentirmi dare consigli da professionisti che non avendo vissuto in prima persona la mia stessa esperienza, non erano in grado (se pur accademicamente preparati) di capire fino in fondo tutte le dinamiche familiari.
Ho aperto uno studio di counselling specializzato per il sostegno di genitori e fratelli di ragazzi portatori di handicap. Il tema dei miei incontri è: In presenza di un figlio con disabilita, come comportarci con i nostri figli non disabili.
Gli obiettivi sono chiari: capire le dinamiche emotive e relazionali che intercorrono tra i nostri figli non disabili rispetto ad un fratello/sorella con disabilità; individuare i bisogni di ogni membro della famiglia, tenendo conto del ruolo che questo ricopre all’interno della stessa (ci stiamo perdendo nel problema?); proteggere infine i nostri figli non disabili, insegnando loro ad affrontare “lo sguardo” a volte indiscreto e indagatorio del mondo circostante (parenti, amici, insegnanti e coetanei).
 
*Psicologa. Conduttrice di numerosi workshop di psicoterapia per famiglie con bambini disabili. Collabora con “Un Passo Avanti“, Associazione Genitori Bambini Cerebrolesi. Il suo indirizzo è carolinaamelio@hotmail.com.
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