Quando una realtà non corrisponde alle necessità dell’utenza, per incidere significativamente su di essa si adotta – o si dovrebbe adottare – un iter procedurale secondo il seguente schema: progetto pilota – buone prassi (o buone pratiche) – linee guida.
Il progetto pilota rappresenta “l’innovazione assoluta”, il provato per la prima volta, la tesi ardita che si tenta di dimostrare valida nell’attuazione.
Le buone pratiche (o l’esempio di esse) indicano qualcosa che è andato oltre e che ha realizzato concretamente un concetto, un’idea realizzata, ma tradotta in realtà ancora episodicamente.
Infine, le linee guida (o le raccomandazioni) codificano le esperienze positive derivate dai progetti pilota e dalle buone pratiche, rendendole idonee alla pluralità dei soggetti e delle situazioni alle quali sono rivolte.
Naturalmente è la realtà quotidiana quella sulla quale intenderebbe incidere l’intero processo sin qui illustrato.
Ebbene, quanto sopra esposto vale o dovrebbe valere un po’ in tutti i campi, soprattutto in medicina, nel sociale o nella scuola. E tuttavia, se alla fine non si perviene ad un mutamento positivo della realtà quotidiana almeno per la maggior parte dei soggetti interessati, non si ottiene il risultato che inizialmente ci si era prefissati.
Qual è allora l’anello più debole della catena? Secondo le nostre esperienze, è quello delle linee guida o meglio del rispetto di esse che quando manca, vanifica nella pratica quasi tutto il lavoro svolto.
Infatti, finché tutti i medici non si laveranno bene le mani, tutti gli anziani non verranno assistiti a domicilio, tutti gli insegnanti (e non solo quelli di sostegno) non prenderanno seriamente in carico gli studenti con disabilità, il processo virtuoso non sarà concluso.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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