Continuano a lottare le donne con disabilità del Nicaragua

a cura di Giuliano Giovinazzo
E continua anche il viaggio del nostro sito alla scoperta delle realtà vissute dalle persone con disabilità nel mondo, in particolare nei troppi Paesi ancora in cerca di sviluppo. Ci dedichiamo questa volta alle donne con disabilità del Nicaragua, Stato centroamericano dalle leggi assai avanzate, ma quasi mai applicate, sullo scenario di una durissima crisi economica

Marcia per i diritti umani di disabili del NicaraguaUn pollaio con ventiquattro galline e due galli: è questo uno dei beni più preziosi su cui può contare Teodora Martinez, una cinquantenne con disabilità, madre di cinque figli, che vive a El Tuma, Matagalpa, 177 chilometri a nord di Managua, capitale dello Stato centroamericano del Nicaragua.
La sua disabilità fisica, provocata dalla poliomielite, e i continui disagi cui è soggetta a causa del deperimento della funzionalità di una gamba sono stati un impedimento per crescere bene i suoi figli e per supportare economicamente la famiglia, oltre che un grande ostacolo alla sua crescita personale.
«Mia madre lavava e stirava per altre persone – ricorda Verónica Aguilar Martínez, figlia minore di Teodora – preparava enchiladas [sorta di lasagne messicane, N.d.R.] e cajetas [focaccia centroamericana a base di latte di capra, N.d.R.], ha imparato a cucire, tutto per aiutare papà a mantenere economicamente la famiglia. Nel lavoro se l’è cavata come poteva, ma il suo grande problema è stata la “chiusura” in casa, dove ha praticamente passato tutta la vita, evitando di uscire per paura di essere derisa o presa in giro».
«Mia nonna – racconta la stessa Teodora – che mi ha cresciuto, mi ha sempre detto, fin da quando ero piccolissima, che ero storpia e non dovevo uscire di casa. Mi ha messo quindi a svolgere tutte le mansioni attinenti alla cura della casa e me le ha insegnate in modo che una volta morta lei, l’avrei seguita a breve anch’io, a causa… della fame. Mi ha sempre detto anche che non mi sarei mai unita ad un uomo, perché nessuno si sarebbe mai voluto prendere cura di me».
Oggi Teodora si sente invece molto soddisfatta di aver formato una famiglia, accanto al marito, con il quale ha dato vita ad otto figli, tre dei quali morti purtroppo prematuramente.
Per buona parte del suo tempo è occupata a mandare avanti il pollaio, avviato grazie al supporto della Fundación Solidez, che garantisce una nuova entrata alla sua famiglia. Teodora vaccina le galline, le nutre e raccoglie le uova, che in parte vengono vendute e in parte contribuiscono all’alimentazione di casa.
E tuttavia rompere la barriera dell’isolamento per lei non è stato certo facile. Si può dire anzi che ciò sia cominciato solo con l’invito ad unirsi all’Organizzazione delle Donne Disabili di La Dalia, località poco distante (circa 14 chilometri).
All’inizio, quindi, non senza pochi dubbi, Teodora ha cominciato a lasciare la sua casa, a prendere l’autobus e a farsi vedere dalle persone.
«Da quando sono entrata nell’Organizzazione, sto imparando a conoscere un altro mondo; ora so che ci sono molte persone nella mia stessa condizione e so anche di non essere un’eccezione, ma che siamo migliaia».

Tempi di crisi
L’Organizzazione delle Donne con Disabilità di La Dalia riunisce 110 persone con diverse disabilità e con l’appoggio della già citata Fundación Solidez, all’interno del Programma per le Donne con Disabilità finanziato dall’organizzazione Carta geografica del Nicaraguabritannica One World Action, le associate hanno recuperato la propria autostima e capacità di leadership, fruito di corsi di istruzione e di formazione lavorativa, oltre che di credito per la creazione di microimprese.
Ciò nondimeno, a giudizio di Maria Lourdes Blandòn, membro del Consiglio direttivo dell’Organizzazione di La Dalia, le donne affrontano un momento di crisi acuta dovuta alla mancanza di opportunità di lavoro e di alternative di vita.
«Nella zona di La Dalia non vi sono occasioni di lavoro e a questo va a sommarsi il fatto che siamo donne con disabilità e le porte vengono chiuse davanti a noi con maggior facilità. Inoltre, non abbiamo un buon livello d’istruzione, molte di noi non sanno né leggere né scrivere ed emergere diventa dunque davvero difficile».
Per queste donne, inoltre, la situazione si è complicata ulteriormente a seguito del fatto che le aziende di caffè che davano lavoro a molti dei loro familiari – i quali le sostengono economicamente – sono oggi in piena crisi.
«Oggi – spiega ancora Maria Lourdes – i nostri parenti sono disoccupati e quella che stiamo vivendo è davvero una situazione molto difficile. Numerose donne sono ragazze-madri e spesso, andando nelle loro case, ho dovuto riscontrare che alcune di loro e i loro figli non avevano avuto di che mangiare per tutto il giorno o nel migliore dei casi avevano consumato un unico pasto nell’arco della giornata».
Nel piccolo locale dove ha sede l’Organizzazione, non vi è acqua potabile né energia elettrica, non vi sono i bagni e per le donne con disabilità motoria l’accesso è reso difficile sia dalle sconnessioni della strada che dai gradini presenti all’entrata.
Dalle travi che sostengono il tetto di zinco pendono una ventina di piñatas [pupazzi tipici colorati, fatti con carta e colla, N.d.R.] scolorite per il tempo. Una “fabbrica” – chiamiamola così – quella delle piñatas, che ha preso avvio di recente, proprio con l’arrivo delle donne nell’edificio di La Dalia.
Ogni piñata costa 30 cordobas [poco più di un euro e mezzo, N.d.R.], dei quali 20 se ne vanno per l’acquisto della carta e della colla, mentre gli altri 10 restano alla persona che l’ha realizzata.
«Lavoro?!  Sì, lavo, stiro e faccio quello che posso. Avevo imparato a fare piñatas, ma la crisi è così dura che le persone non le comprano più, dal momento che non hanno più soldi per organizzare feste o cerimonie. Queste piñatas possono rimanere attaccate al soffitto solo per un certo tempo perché altrimenti dobbiamo cambiare la carta, quando scolorisce, e questa è una grossa perdita per noi», come racconta Silvia Ortiz Gonzalez, trentatreenne madre non sposata di tre figli, con difficoltà motorie dovute ad una lesione alla colonna vertebrale. Silvia si appoggia al figlio di sette anni per spostarsi lentamente da un posto all’altro.
La speranza di queste donne si aggrappa ora al riconoscimento giuridico recentemente ottenuto dall’Organizzazione, che consentirà loro di gestire progetti di carattere sociale ed economico; un passo in avanti, dunque, nella difficile lotta che si trovano ad affrontare.

Supporto? Opportunità?
Quasi paradossalmente il Nicaragua è uno tra i Paesi più avanzati in materia di legislazione in favore delle persone con disabilità, dato che già dal 1995 è in vigore la Legge per la Tutela, Riabilitazione e Pari Opportunità per le persone con disabilità, la cosiddetta Legge 202.
I ventisei articoli che compongono questo provvedimento prevedono che sia garantita la piena inclusione sociale, l’assistenza medica, un’educazione e un lavoro dignitosi e molto altro ancora. La triste realtà, però, è che non succede nulla di tutto questo.
Rosa Salgado è stata procuratore speciale per i diritti umani delle persone con disabilità in Nicaragua«La Legge 202 – afferma ad esempio Nancy Guadamuz, coordinatrice del Programma per le Donne della Fundación Solidez – non viene assolutamente messa in pratica e applicata. Non vi è alcun interesse da parte delle istituzioni e del governo nel farla rispettare e in generale per la società è molto più semplice dimenticare le persone con disabilità anziché offrire loro un supporto affinché possano vivere una vita degna».
La discussione sulla Legge 202 è stata nuovamente posta all’attenzione dell’opinione pubblica di recente, in occasione delle celebrazioni per la Settimana delle Persone con Disabilità, ma a fronte della richiesta di queste ultime e di altre organizzazioni della società civile di veder riconosciuti i propri diritti, non si è intravisto il minimo interesse da parte delle istituzioni pubbliche a garantire servizi tanto necessari e urgenti, come l’assistenza medica, i farmaci, la formazione di base e quella professionale.
In sostanza, sempre secondo Guadamuz, «istituzioni quali il Ministero della Salute, quello del Lavoro e quello della Famiglia non hanno né risorse finanziarie né programmi specifici per l’inclusione sociale delle persone con disabilità».
Nel caso poi del Ministero dell’Educazione e della Cultura, il programma per l’istruzione speciale è talmente ridotto che include solo una bassissima percentuale di bambini e adolescenti e anche se l’Istituto Nazionale per le Tecnologie ha un programma ad hoc sulla riabilitazione, la relativa copertura finanziaria è minima rispetto alle richieste.
«A questo punto – conclude Nancy Guadamuz – credo che dobbiamo semplicemente chiederci: perché abbiamo la Legge 202? La società nicaraguense deve prendere coscienza che almeno il 12% della popolazione ha una disabilità, a causa di malattie, incidenti o delle varie guerre. Non possiamo continuare ad ignorarle, ma dobbiamo includerle, dando loro le opportunità di uscire dall’isolamento, cominciando dall’accesso all’educazione e al lavoro, finalizzati alla possibilità di vivere una degna esistenza».

Prima di tutto l’educazione
Teodora Martinez è molto orgogliosa delle sue tre figlie femmine, che sono diventate tutte insegnanti, mentre lei non sa né leggere né scrivere.
«Da bimba – racconta Veronica, che insegna ormai da dodici anni – mia madre non è stata a scuola a causa delle pesanti discriminazioni e una volta cresciuta non c’è stato modo di convincerla ad imparare, nonostante a proporglielo fossimo noi».
Donna con disabilità in penombraE del resto sono ben il 60% delle appartenenti all’organizzazione di La Dalia a non saper né leggere né scrivere. L’associazione ha organizzato corsi di alfabetizzazione per 46 di loro e anche se in questo momento sta per esserne lanciato un altro, Teodora sostiene che «le lettere non fanno per lei».
Il basso livello di scolarizzazione diventa quindi uno dei principali problemi delle persone con disabilità che porta con sé anche la mancanza di una preparazione tecnica o professionale.
Ad oggi, delle 1.800 persone iscritte alle 18 associazioni di donne con disabilità presenti in Nicaragua, solamente cinque hanno seguito corsi di studio superiori e soltanto una ha concluso gli studi universitari.
Dal canto suo la Legge 202 sancisce che le imprese statali e private siano obbligate ad assumere una persona con disabilità ogni 50 lavoratori assunti dall’azienda, ma anche questo viene ignorato dai datori di lavoro.
«Senza opportunità di accesso all’educazione – secondo Nancy Guadamuz – le opportunità di accesso al lavoro si riducono considerevolmente. Se invece la Legge 202 venisse applicata, le scuole dovrebbero fornire nuove opportunità per integrare le persone con disabilità nelle proprie classi e le aziende del settore pubblico e privato dovrebbero aprire le porte per assicurare loro un impiego e uno stipendio almeno dignitoso. Perché questo non avviene? Perché manca la volontà». 

Le donne con disabilità del Nicaragua continuano comunque a lottare per emergere. Hanno dimostrato capacità e forza che stanno usando per superare gli ostacoli imposti loro nella vita. Alcune barriere da abbattere rimangono – come la ritrosia di Teodora ad imparare a leggere e a scrivere – ma  con un piccolo supporto in più, si potrebbe forse provare a demolirle tutte.
«Sono molto orgogliosa di mia madre e non smetterò mai di ringraziarla per tutto quello che mi ha dato. Lei è stata un esempio per tutti i suoi figli; ha sofferto molto nell’adolescenza, ma non ha mai mollato e non si è mai piegata, è sempre stata una donna e una lavoratrice onesta. Senza i suoi sforzi noi non saremmo le persone che siamo ora», ricorda la professoressa Verónica Aguilar Martínez.

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