Se il movimento paralimpico internazionale deve la propria nascita al neurochirurgo inglese Sir Ludwig Guttmann – il primo ad avviare alla pratica sportiva i reduci britannici che, nel corso della seconda guerra mondiale, riportando una lesione midollare, venivano ricoverati presso la Spinal Injuries Unit di Stoke Mandeville – il “padre” della sport terapia e del paralimpismo in Italia è stato invece il dottor Antonio Maglio.
Infatti, senza il suo lavoro e la sua totale dedizione, che durò dal 1935, anno di conseguimento della laurea in medicina all’Università di Bari, fino alla sua scomparsa, nel 1988, Roma e l’Italia non avrebbero avuto il privilegio di dare i natali ai Giochi Paralimpici Estivi, nel 1960, senza contare che migliaia di persone con disabilità in Italia devono proprio alle intuizioni di Maglio la loro salute, il prolungamento delle aspettative di vita e il reinserimento nella società civile.
Villa Marina ad Ostia
Maglio è stato realmente l’ideatore e il propugnatore della prima Olimpiade per atleti paraplegici. In Italia erano i primi anni Cinquanta e purtroppo imperava una cultura assai scarsa, in tema di disabilità, che attanagliava le persone comuni in opprimenti pregiudizi, spesso conseguenza di confinamento e di rifiuto della persona disabile. Ma Antonio Maglio impresse una nuova concezione, attuando, sulla scorta delle esperienze di Paesi più evoluti quali la Germania e l’Inghilterra, nuove metodologie terapeutiche per i pazienti neurolesi.
Le risultanze furono immediatamente positive: riduzione del tasso di mortalità e attenuazione degli stati depressivi dei soggetti che ebbero la fortuna di essere compresi tra gli ospiti del Centro Paraplegici Villa Marina di Ostia che aprì i battenti nel giugno del 1957 per volere dell’INAIL [Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, N.d.R.], Istituto del quale Maglio fu vicedirettore nonché primario del Centro ostiense ben presto famoso in tutto il Paese e all’estero.
Egli fece esattamente quello che Guttmann praticava a Stoke Mandeville, ampliando però notevolmente i programmi e moltiplicando le attività fisiche attraverso numerose discipline sportive, con l’utilizzo dello spirito agonistico quale sprone a reagire e a ritrovare se stessi e le proprie abilità: nuoto, pallacanestro, tennis tavolo, getto del peso, lancio del giavellotto, tiro con l’arco, scherma e corsa in carrozzina.
Il ruolo dell’INAIL
In questa crescita l’INAIL ha avuto certamente un ruolo fondamentale perché l’ente, sotto la spinta di Maglio e di alcuni volenterosi professori di educazione fisica, finanziò da subito la pratica sportiva dei paraplegici, tanto che nel 1964 l’Italia partecipò ai Giochi Paralimpici di Tokyo con due rappresentative di atleti, delle quali una sotto la sigla della stessa INAIL, l’altra sotto quella dell’ONIG (Opera Nazionale Invalidi di Guerra), sebbene unite dal tricolore.
Dal confronto in Giappone con le altre nazioni (da notare che in quel momento la manifestazione era ancora denominata Giochi Internazionali di Stoke Mandeville), emerse per altro l’arretratezza del nostro movimento rispetto a Paesi come la Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Spagna, l’Olanda e la Germania, rappresentati da una Federazione o da un Comitato Nazionale Paralimpico riconosciuto dal relativo Comitato Olimpico e, in altri casi, con il finanziamento e il sostegno diretto da parte dello Stato.
Fino al 1972, poi, fu ancora il Centro INAIL di Ostia a finanziare e a potenziare lo sport dei paraplegici e quando la gestione dello stesso passò all’Ente Ospedaliero Regionale, si rischiò addirittura di non partecipare ai Giochi di quell’anno ad Heidelberg, per mancanza di fondi.
Verso lo sport come diritto per i cittadini disabili
Solo nel 1974 si arrivò alla costituzione dell’Associazione Nazionale per lo Sport dei Paraplegici (ANSPI), per promuovere, sviluppare e disciplinare lo sport di questi atleti quale strumento di recupero e mezzo di salute: cominciava ad affacciarsi un’accezione di sport quale diritto per tutti i cittadini disabili e in tal veste si partecipò, per la prima volta, ai Campionati Europei di Atletica Leggera (Vienna, 1977) e a quelli di Basket in Carrozzina (Olanda, 1977).
Fu un primo passo, ma le esigenze divennero molteplici, gli impegni nazionali e internazionali si moltiplicarono in fretta, come pure la domanda di sport da parte delle persone con altre tipologie di disabilità.
Per tutti gli anni Settanta, la FISHA (Federazione Italiana Sport Handicappati) – che fino al ’78 agì come ANSPI – operò nel tentativo di stabilire un rapporto solido e chiaro con il Comitato Olimpico Nazionale.
Il 1981 vide poi a Roma una grande manifestazione di atletica leggera, scherma, nuoto e pallacanestro e allo Stadio dei Marmi divenne “storica” l’impresa del canadese Arnie Boldt che con una sola gamba, superò nel salto in alto l’eccezionale misura di 2 metri e 4 centimetri.
Fu lo stesso Boldt a rappresentare tutti i disabili al Giubileo degli Sportivi, celebrato da papa Giovanni Paolo II allo Stadio Olimpico di Roma.
In quello stesso anno la FISHA ottenne l’adesione al CONI, compiendo il primo significativo passo verso il riconoscimento dell’attività sportiva svolta dalle persone con disabilità.
La nascita della FISD
Sei anni dopo, nel 1987, il Comitato Olimpico decretò il riconoscimento giuridico della FISHA e il suo ingresso nell’olimpo delle Federazioni Sportive Nazionali.
Il Presidente della Federazione – che estendeva la propria competenza anche in materia di disabilità mentale – entrò così di diritto nel governo dello sport nazionale, rappresentando anche la FICS (Federazione Italiana Ciechi Sportivi) e la FSSI (Federazione Sportiva Silenziosi Italiana).
Nel novembre del 1990, infine, venne costituita la Federazione Italiana Sport Disabili (FISD), risultante dall’unificazione volontaria delle tre federazioni sportive competenti in materia di disabilità: la FISHA e le già citate FICS e FSSI. Ed è in tale contesto che gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale ricevettero pari dignità e considerazione, alla stregua dei loro “colleghi” con disabilità fisica e sensoriale.
Successivamente, nel 1996, il movimento sportivo dei Silenziosi si scorporò dalla FISD, in quanto il CISS (Comitato Internazionale Sport Silenziosi) non aderisce ai principi e ai programmi olimpici e paralimpici.
L’ora del Comitato Paralimpico
Oggi, sul piano giuridico, il movimento paralimpico ha compiuto un ulteriore passo. Lo Stato, infatti, ha attribuito compiti aggiuntivi alla Federazione Italiana Sport Disabili, individuandola quale Comitato Italiano Paralimpico (CIP), un ente che va al di là della semplice preparazione delle squadre agonistiche impegnate a partecipare ai campionati e alle manifestazioni del calendario internazionale, sancito dall’International Paralympic Committee (IPC).
La legge istitutiva del CIP (189/03) e il successivo decreto di attuazione (DPCM dell’8 aprile 2004) hanno riconosciuto infatti la valenza sociale dell’organismo che mira a garantire il diritto allo sport in tutte le sue espressioni «promuovendo la massima diffusione della pratica sportiva per disabili in ogni fascia di età e di popolazione», affinché ciascuna di queste persone abbia l’opportunità di migliorare il proprio benessere e di trovare una giusta dimensione nel vivere civile, proprio attraverso lo sport quale strumento di recupero, di crescita culturale e fisica nonché di educazione dell’individuo con disabilità e non.
Alla luce di ciò, dunque, il Comitato Italiano Paralimpico è l’ente individuato dal Legislatore quale “distributore di benessere” e responsabile dello svolgimento della pratica sportiva da parte della popolazione disabile a qualunque livello e per qualsiasi tipologia di disabilità e quindi quale soggetto deputato a riconoscere e a coordinare le federazioni, le organizzazioni e le discipline sportive riconosciute dall’IPC (Comitato Paralimpico Internazionale) e dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e comunque operanti sul territorio nazionale, che curino prevalentemente l’attività sportiva per persone con disabilità.
*Ufficio Stampa CIP (Comitato Italiano Paralimpico) Umbria.
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