Dopo la soppressione del servizio militare obbligatorio e in parallelo dell’obiezione di coscienza, molte associazioni di persone con disabilità ricorrono all’indispensabile supporto dei volontari del nuovo Servizio Civile Nazionale. L’assegnazione di tali volontari avviene dopo che l’associazione è accreditata e sulla base di progetti specifici.
Ma perché le associazioni ricorrono al Servizio Civile? La risposta è semplice e al tempo stesso drammatica: perché si appigliano a qualsiasi risorsa possa garantire, anche in modo residuale, quell’aiuto di cui migliaia di persone con disabilità gravissima hanno necessità, spesso una disperata necessità.
Secondo fonti governative, poi (Libro Bianco sul Welfare del 2003), il 97% dell’assistenza alle persone non autosufficienti è garantito dalle famiglie. Del tutto insufficiente, quindi, è il supporto degli Enti Locali, quando c’è.
Ecco dunque in poche righe la spiegazione del perché le associazioni si aggrappano al Servizio Civile e finora – sulla base di dettagliati progetti, non certo sulla fiducia – si sono viste assegnare i volontari richiesti.
Va detto inoltre che i volontari del Servizio Civile Nazionale non svolgono solo attività di assistenza alla persona. Essi, infatti, si impegnano anche su altri fronti: l’ambiente, la protezione civile, la cultura. A molti “fa gola” poter contare su personale quasi gratuito.
In questi giorni alcune fastidiose e inquietanti ipotesi stanno circolando insistenti. Mentre infatti si attende un nuovo Decreto emanato dal Ministero della Solidarietà Sociale, sembrerebbe restringersi il finanziamento ai progetti (anche a quelli approvati), in modo del tutto sfavorevole alle attività di assistenza alla persona.
Alberto Fontana, presidente nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), si fa portatore di questa allarmata preoccupazione con il testo che qui di seguito presentiamo.
La notizia che non verrebbero finanziati alcuni progetti relativi al Servizio Civile Nazionale – pur approvati – non è di per sé degna di nota: siamo abituati, infatti, a ragionare in termini di risparmio di risorse pubbliche e di norma questo incide negativamente sul sistema dei servizi alla persona.
Non dev’essere quindi spiegato ad associazioni come la UILDM che il sistema di welfare dev’essere ricostruito su nuove basi e che la progettazione e la realizzazione dei servizi dev’essere condivisa a più livelli.
Da alcuni anni ormai concentriamo le nostre forze su un efficiente sistema di sussidiarietà, agito non solo a parole, ma anche con i fatti.
In questo senso il Servizio Civile Nazionale è potenzialmente un’ottima modalità per distribuire le risorse in maniera partecipata, a fronte di linee di progettazione che le associazioni propongono al Ministero.
Siamo enti che agiscono realmente nel sistema, a volte concertiamo gli interventi con le strutture pubbliche di riferimento, altre volte, con mezzi nostri, interveniamo dove non esiste un’adeguata copertura assistenziale.
È oggi umiliante, quindi, apprendere che si vorrebbe ancora una volta concentrare un’azione di risparmio sui progetti di assistenza alla persona e alla famiglia, il settore di gran lunga più carente e insufficiente del sistema di servizi.
Lo abbiamo già ribadito più volte: la premessa fondamentale di ogni discussione sulla vita e sulla salute dei cittadini è che esista effettivamente un corpo da curare. Se non garantiamo un minimo di sussistenza, non possiamo seriamente parlare di interventi alla persona.
Lo ripetiamo ancora: una persona con disabilità grave o gravissima non è in grado di compiere i normali atti quotidiani, quelli che rendono la vita quanto meno dignitosa. Nello specifico: non è in grado di nutrirsi autonomamente, né di espletare i bisogni fisiologici, non può alzarsi dal letto senza l’aiuto di una persona che lo assista, anche se l’azione viene eseguita grazie ad un sollevatore, non può leggere, non può uscire di casa, non può incontrare amici. E potremmo continuare con questo triste elenco, ma ci limitiamo legittimamente ad affermare che senza un’adeguata assistenza, non ci è concessa una possibilità di vita.
In tutti questi anni le associazioni di volontariato si sono fatte carico delle persone con disabilità, contrastando le inefficienze del sistema ed elaborando interventi innovativi: lo hanno fatto con orgoglio e con spirito di collaborazione.
Soprattutto lo hanno fatto quando non c’erano le risorse finanziarie da distribuire, grazie al volontariato e grazie ai contributi economici dei cittadini.
Ci sono sempre state le nostre facce per la strada e nelle piazze a raccogliere risorse per l’assistenza, la cura e la ricerca. Abbiamo sostenuto le persone, limitato per quanto possibile tanti fenomeni di emarginazione sociale e culturale. Siamo stati un punto di riferimento educativo importante per gli obiettori di coscienza, che in noi hanno trovato valori e significati e hanno vissuto esperienze importanti per la loro vita.
Ma ora cosa abbiamo di fronte? Mi si permetta di non apprezzare le attuali modalità con le quali si devono richiedere i volontari in Servizio Civile: numerosi enti, di varia natura, partecipano a questa sorta di “gioco al massacro”, che ha l’unico effetto di intaccare le attività di chi ha lavorato con impegno e dedizione.
La progettazione rivolta all’assistenza viene negata perché ci viene detto che «dev’essere di competenza delle Amministrazioni Locali» e che i volontari non devono sostituire quelle risorse. Frottole, qui non si tratta di sostituire nulla, ma di garantire qualcosa che non esiste affatto!
La realtà è diversa, basta uscire dai palazzi delle Amministrazioni Pubbliche, girare per la strada o entrare nelle case delle persone con gravi disabilità. Quando va bene, alle patologie più gravi vengono “garantite” sei ore di assistenza alla settimana, il che significa senza ombra di dubbio che le persone vengono tenute obbligatoriamente in casa.
La verità è che se le scelte di cui si parla fossero confermate, si rischierebbe di delegittimare l’opera delle associazioni di volontariato, senza tenere in alcun conto il dovere morale di ciascun buon amministratore: dare priorità alle persone più deboli della società.
Che cosa ci rimarrebbe allora, oltre alla rabbia e alla delusione? Intanto possiamo garantire che nessuno di noi si sentirà un peso per i familiari e gli amici. Siamo abituati a lottare fin dalla nascita e continueremo a farlo anche in questa occasione. Abbiamo sufficiente forza morale e dignità, anche per azioni di grande impatto mediatico: potremmo raccogliere firme e petizioni oppure andare in televisione a raccontare ciò che succede realmente nella vita delle persone.
E del resto avremmo qualcosa da perdere solo all’interno di un consolidato ed efficiente sistema di assistenza e di uguale accesso alle cure mediche, che prevedesse per tutti la possibilità di fare delle adeguate scelte di vita: cosa che non esiste oggi e che non esisterà neanche domani se continuerà a prevalere una visione politica miope e autoreferenziale di tali problemi.
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