Di autismo non si deve morire

di Tiziano Gabrielli*
Quando si parla di autismo associandolo solamente alla "non vita" o ad una "disperante solitudine", diventa doveroso chiedere di pensare anche ai bambini, ai ragazzi e agli adulti con autismo, per dire che la loro vita è più che possibile, così come è reale e quotidiana la meraviglia che con loro è realizzabile
Bambino insieme a una donnaCome riferito dai telegiornali e ripreso anche da molti quotidiani, si parla di autismo quando l’orrore è estremo. Si parla di autismo associandolo alla morte, alla «non vita» («Corriere della Sera»), alla «disperante solitudine» («Avvenire») di chi sta attorno al soggetto con autismo e si dimentica chi ha definitivamente subìto questa assimilazione, questo disgustoso modo di intendere una sindrome.
Si parla con comprensione e pena dei carnefici, delle istituzioni che nascondono altre vittime, mentre si tace di chi subisce l’orrore nell’indifferenza di tutti.

Come genitore e come rappresentante di molte famiglie, chiedo un pensiero anche per loro, per i bambini, i ragazzi, gli adulti con autismo. Noi dobbiamo testimoniare la vita. La vita che meritano è possibile, così come è reale e quotidiana la meraviglia che con loro è realizzabile.
Un vivere nella famiglia e nella società nonostante le istituzioni e forse meglio se le istituzioni tacciono, facendosi da parte se non sanno essere migliori.

La gente dovrebbe sapere che di autismo non si deve morire, specie in questi terribili momenti in cui un padre uccide un figlio… “autistico”.
Spiegare con questo aggettivo l’abominio che è stato compiuto offende e mortifica tutti e annienta ogni nostro impegno, ogni possibile conquista.

*Presidente ANGSA Trentino Alto Adige (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).

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