Un’insegnante ci scrive: «Ho letto il Disegno di Legge n. 1169 (e successivi emendamenti) sulla dislessia, recentemente approvato dalla Commissione Istruzione del Senato.
Sono un’insegnante con più di vent’anni di esperienza e sono molto preoccupata per gli effetti devastanti che questa legge causerà se approvata in Parlamento. Come conseguenza, infatti, obbligherà le scuole di ogni ordine e grado – comprese quelle per l’infanzia – ad individuare gli alunni che presentano difficoltà nella lettura, scrittura e/o nel fare i calcoli e ad indirizzarli dal neuropsichiatra infantile per una diagnosi di dislessia, dovendo attivare per essi – se diagnosticati come tali – un percorso didattico e valutazioni differenti.
La lentezza, il numero degli errori o il non aver raggiunto livelli di competenza da loro ritenuti indispensabili nel leggere, scrivere o nel fare i calcoli, saranno dunque prove per una certificazione di disturbi di apprendimento, con tutte le conseguenze che questo comporterà. È previsto anche un addestramento on line per insegnanti e dirigenti scolastici, ai fini dell’individuazione degli alunni che presentano tali difficoltà.
Sempre il Disegno di Legge in questione, al comma 7 del primo articolo, sancisce: “Le DSA [‘difficoltà specifiche di apprendimento’, di cui sopra] impediscono l’utilizzo in maniera automatica e strumentale delle capacità di lettura, di scrittura e di calcolo e possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana della persona”. Questo non significa forse che per legge la lettura, la scrittura e il fare i calcoli devono avvenire in modo automatico e laddove questo non succedesse, l’alunno sarebbe “fuori dalla norma”?
Significa forse che a scuola dobbiamo creare dei “robot” che leggono e scrivono meccanicamente, poco importa se poi non capiscono quello che stanno leggendo, l’importante è che sappiano in modo automatico e istantaneamente quanto fa 3×5 (ad esempio) senza alcun ragionamento o riflessione, perché questa è lentezza e quindi sintomo di discalculia (disturbo del calcolo)?
Il fatto che ogni bambino sia diverso da un altro, con tempi propri di apprendimento, elaborazione e sviluppo delle capacità individuali viene completamente trascurato, anzi è prevista un’attività di identificazione precoce da realizzare dopo i primi mesi di frequenza dei corsi e nella scuola dell’infanzia, su bambini di quattro o cinque anni, aprendo così le porte a “screening di massa” nelle scuole.
Ci si dovrebbe aspettare che i sistemi dispensativi e compensativi risolvessero queste difficoltà, perché allora nei vari convegni cui ho partecipato, nella documentazione fornita dagli esperti si afferma che non si guarisce?
Quelli che scrivono male (cattiva grafia) sono dispensati dallo scrivere a mano (forse perché c’è il rischio che la loro scrittura migliori?), sono obbligati invece a scrivere al computer (strumento compensativo); e anche i disortografici sono dispensati dallo scrivere a mano, dovendo utilizzare il computer con il correttore automatico (così non rimedieranno mai alle loro lacune in ortografia!), mentre chi vive problemi di discalculia è dispensato dal fare i calcoli mentalmente e dovrà utilizzare la calcolatrice.
Non mi sembra che tutto ciò risolva i problemi, al contrario si rischia che dopo tredici anni o più anni di scuola, questi studenti ne escano fuori con un’etichetta di “disabili” e con un’effettiva incapacità di leggere, scrivere e fare calcoli.
Sono questi forse gli strumenti dispensativi e compensativi atti a “favorire il successo scolastico e prevenire blocchi nell’apprendimento degli alunni con DSA agevolandone la piena integrazione sociale e culturale”, come recita l’articolo 2 comma 1, punto b del Disegno di Legge n. 1169 e a garantire pari opportunità e il diritto allo studio? Sono questi gli interventi che miglioreranno la nostra scuola?
Mi ci vedo proprio a seguire i tempi e la didattica individualizzata (come prevede la legge) per gli alunni “dislessici” che già ho in classe, mentre i restanti 28 o 29 alunni, intanto, saltano sui banchi e fanno di tutto e di più.
Strano modo quello di risolvere il problema della dispersione scolastica raddoppiando gli alunni ad un insegnante per risparmiare sulla spesa pubblica e poi assegnando due insegnanti di sostegno alla stessa classe per “aiutare” quelli che si sono persi per strada, ricevendo un’etichetta di disturbo di apprendimento o di iperattività a seconda dei casi.
Forse c’è qualcosa da risolvere nella didattica, dato il persistere della dispersione scolastica. Non mi sembra che l’avere spostato l’attenzione dalla didattica all’alunno, dicendo che è l’alunno incapace e che tutto il resto funziona perfettamente sia stata la soluzione».
Risponde Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Ho l’impressione, infatti, che si stia ripetendo – ampliandolo – l’errore compiuto con gli alunni con disabilità, rispetto ai quali si è prevista la necessità di “certificazione”, che equivale ad una sorta di “schedatura” e tale certificazione sembra stia diventando, per le autorità politiche, il problema più importante, tant’è vero che il recente DPCM 185/2006 ha preteso che essa non sia più rimessa ad un solo specialista (forse perché ritenuto poco attendibile?!…), ma ad una commissione pluriprofessionale.
Se passasse dunque questo Disegno di Legge sugli alunni dislessici, avremo una nuova categoria di persone con disabilità – non certificabili, ma formalmente tali – che andrebbero incontro a tutti gli inconvenienti didattici biasimati giustamente in questa lettera.
Vicepresidente nazionale FISH
(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)
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