La Convenzione e la malattia mentale

di Franco Previte*
Un punto di vista diverso rispetto alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che centra la propria attenzione sui gravi problemi delle persone con malattie mentali e delle loro famiglie. Lo riceviamo e ben volentieri lo pubblichiamo

Espressione pensierosa«Ogni giorno si verificano casi di violazione dei diritti umani nei confronti di individui affetti da deficit mentali», ha recentemente dichiarato Lee Jong-wook, direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), in occasione di una conferenza internazionale svoltasi a Berlino, a cura della Presidenza tedesca dell’Unione Europea, per cercare di accelerare l’operatività della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità.
«Purtroppo – ha continuato Jong-wook – spesso, a causa di mille altri impegni, queste problematiche si dimenticano e finiscono per essere completamente ignorate, nonostante esistano diverse proposte per cambiare tale situazione, sia nei Paesi maggiormente industrializzati che in quelli del cosiddetto Terzo Mondo».

La nostra Associazione ha già manifestato con una petizione al Parlamento Italiano, il 28 maggio scorso, le riserve e le preoccupazioni sull’involontaria confusione culturale che rischia di determinarsi circa le modalità e le interpretazioni che la Convenzione potrebbe introdurre, non valutando l’evidente discriminazione nei confronti delle persone con disordini psichici.
Nel Preambolo del documento, i 191 Stati aderenti hanno convenuto, tra l’altro, di «riconoscere la diversità delle persone con disabilità» (punto i), includendo poi, all’articolo 1, comma 1, «coloro che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine, che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri» e all’articolo 3, lettera b, la «non discriminazione» quale principio generale, impegnando inoltre gli Stati «ad adottare appropriate misure legislative» (articolo 4, comma 1, lettera b).
La Convenzione ha quindi l’obiettivo precipuo di affermare con notevole incisività che tutti i cittadini disabili, specialmente quelli più deboli, devono godere degli stessi diritti.
Dal canto suo, il Governo Italiano, rappresentato dal ministro della Solidarietà Sociale, ha sottoscritto il documento il 30 marzo scorso, impegnandosi – secondo quanto riferito dai mass media – a «ridurre i tempi e a promuovere le indispensabili misure legislative per la concreta applicazione dell’accordo».

Ci sono però due passaggi della Convenzione che non riteniamo condivisibili.
Il primo fa riferimento alla questione della riproduzione e della pianificazione familiare (articolo 23, lettera b, e 25 lettera a), in quanto l’accesso ai servizi o alla salute riproduttiva potrebbero, a nostro avviso, promuovere le contraccezioni, favorire l’aborto, le limitazioni delle nascite, le sterilizzazioni, la non responsabilità dei rapporti sessuali – aumentando l’espandersi dell’epidemia dell’HIV/AIDS e disattendendo dunque la procreazione responsabile – il tutto in contrasto con altre parti della Convenzione stessa, ad esempio con l’articolo 10, ove si parla di «diritto alla vita», con l’articolo 15 («nessuno sarà sottoposto a sperimentazioni medico-scientifiche») e con l’articolo 16, ove si è contro «ogni forma di sfruttamento, di violenza e di abuso».
Si tratta di metodologie che fanno tornare alla mente l’eugenismo e le teorie di “selezione della razza” sin troppo tristemente note o le stesse idee dell’economista Malthus che attribuiva all’eccesso di popolazione i mali e le miserie sociali.

Il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero e il sottosegretario Cecilia Donaggio a New York per la firma della Convenzione da parte del Governo Italiano (foto di Giulio Fazzi)Il secondo punto della Convenzione che non condividiamo è il voler associare il disabile con minorazioni fisiche all’handicappato mentale, in quanto se per il primo sussistono possibilità di inserimento sociale e lavorativo, per il secondo si possono e si devono attuare cure specifiche in strutture adatte, ma non si possono prevedere né tempi di recupero né proposizioni di intendimenti lavorativi, pensando ad esempio ai concetti di intelletto e responsabilità che caratterizzano l’intero testo dell’articolo 27, dedicato al lavoro e all’occupazione, il che, a nostro parere, contraddice anche lo stesso punto e) del Preambolo, ove si riconosce che «la disabilità è un concetto in evoluzione».

Ancora una volta, dunque, è forse necessario ribadire la differenza che noi riteniamo fondamentale tra il disabile e l’handicappato.
Disabile è colui che è privato di una forza fisica, sopravvenuta o congenita, di una certa incapacità fisica, ma che conserva la lucidità mentale.
Handicappato è colui che ha ricevuto uno svantaggio in partenza o un sopravvenuto ostacolo, un intralcio, un’inferiorità interna o esterna, che gli impedisce di manifestare il massimo della sua potenzialità per lo più psichica e meno fisica.
Alla luce di quanto detto, non riteniamo che la Convenzione – utilizzando i termini «minorazione mentale» (articolo 1, comma 1), nel contesto di un documento che si distacca chiaramente da un approccio medico-assistenziale, per abbracciare quello rivolto ai diritti umani – consideri specificatamente l’handicappato mentale, chiarendone lo status.
E del resto è stato proprio il Legislatore italiano ad introdurre nella Legge 104/92 il termine handicappato ed ora, in ottemperanza agli obblighi generali contenuti nell’articolo 4 della Convenzione, l’Italia si è impegnata ad adottare «appropriate misure legislative».
Ebbene, considerando che in ambito di malattia mentale, queste ultime sono carenti nella nostra legislazione da ben ventinove anni, il nostro Paese non potrà esimersi dall’applicare la Convenzione anche per queste persone, «in interazione con varie barriere che possano impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri» (articolo 1, comma 1).
E per arrivare ad un’appropriata diversificazione tra disabile fisico e handicappato mentale – che oggi manca nella Convenzione – chiediamo che l’Italia si avvalga anche, in sede di ratifica, dell’articolo 47, comma 1, inserendo un proprio emendamento da sottoporre al segretario generale delle Nazioni Unite, nel prossimo erigendo «Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità» (articolo 34).

In un Paese come il nostro, dove soltanto il 3% della spesa sociale è destinato alle politiche familiari – a fronte di una media europea che può contare su una percentuale almeno del doppio – dove il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 presenta chiare carenze di programmi di sostegno alle famiglie con handicappati mentali, dove il sistema sanitario è troppo lento nel sostenere le persone affette da gravi forme di malattie mentali, crediamo quindi sia giunta l’ora che le Istituzioni adottino finalmente leggi appropriate, riconoscendo i diritti e le necessità degli handicappati mentali per la tutela della loro salute, per le loro famiglie e per garantire la sicurezza di tutti i cittadini.

*Presidente dell’Associazione Cristiani per servire.

Share the Post: