Coppie di fatto e persone con disabilità

di Salvatore Nocera*
Una norma che introduca dei diritti a favore della parte più debole di una coppia di fatto non dovrebbe essere osteggiata nemmeno dalla Conferenza Episcopale Italiana, guardando soprattutto al valore della dignità delle persone, riconosciuto dalla Costituzione. Lo sostiene una voce autorevole, appartenente proprio al mondo cattolico, come quella di Salvatore Nocera

Il senatore Cesare Salvi ha presentato la proposta di legge sui CUS (Contratti di Unione Solidale)La regolamentazione giuridica delle coppie di fatto è un problema che interessa molte persone con disabilità, non solo come cittadini sensibili ai diritti delle minoranze, ma anche in prima persona.
Infatti, anche fra le persone con disabilità il numero delle coppie di fatto va crescendo, sia per scelte della coppia, sia per difficoltà di carattere economico, come la precarietà del lavoro comune a moltissimi giovani, sia per aspetti sanitari o legali collegati alle condizioni personali di uno dei partner. Per questo sembra opportuno parlarne anche qui.

Il Governo, nel rispetto di una corretta visione di uno Stato laico, ha dato udienza a forti richieste che venivano da molti ambienti e ha presentato la proposta di legge sui DICO (Diritti e Doveri dei Conviventi), anche se poi, dietro le dure contestazioni della Conferenza Episcopale Italiana e di alcuni politici cattolici che se ne sono fatti portavoce, ha affidato al Parlamento il percorso legislativo, praticamente disinteressandosene.
Ora il senatore Cesare Salvi torna alla carica con i CUS (Contratti di Unione Solidale) che, manco a dirlo, sono stati immediatamente “infilzati” anch’essi dall’«Avvenire», giornale della Conferenza Episcopale Italiana.

Ma perché la Conferenza Episcopale Italiana non ammette che alcuna norma parlamentare possa affrontare il tema delle coppie di fatto? In termini teologici la risposta è semplice: per la Chiesa Cattolica l’unico matrimonio lecito è quello canonico il quale ha effetti civili in forza del Concordato. Tutte le altre unioni, compresi i matrimoni civili – regolati dal Codice Civile – sono “concubinato”.
Dunque qualunque norma che possa regolare delle unioni avvicinando gli accordi che le regolano al matrimonio è considerata “peccaminosa” e, con un salto di carreggiata, “illegale”, se non addirittura incostituzionale.

Sotto questo profilo i CUS sono più facilmente attaccabili rispetto ai DICO. Infatti, essi sono degli accordi dai quali la nuova proposta di legge fa derivare diritti e doveri fra le parti, che li avvicina, per certi versi, a quelli nascenti dal matrimonio.
I DICO invece derivano non da accordi, ma da una situazione di fatto:  la convivenza. Non è, nei DICO, la volontà delle parti che fa nascere diritti e doveri fra le parti stesse, ma la situazione di fatto.
Dal canto suo la Conferenza Episcopale Italiana consentirebbe solo accordi di diritto privato fra le parti, senza alcun intervento del Legislatore. E tuttavia i soli accordi fra le parti non possono regolare materie “legalmente indisponibili” senza l’intervento di un Legislatore, quali il diritto agli alimenti, quello alla successione legale o alla reversibilità della pensione.

A questo punto ad un “osservatore esterno” (giacché sposato col matrimonio concordatario) e cattolico come io sono viene da chiedersi se questo rifiuto fondato sui princìpi, condivisibile per chi crede in essi, possa essere esteso anche a chi in tali princìpi non crede.
Inoltre, a parte la questione della laicità dello Stato, che da noi cattolici non può essere ignorata, sempre come cattolico mi chiedo se sia corretto imporre per legge ai non credenti valori che noi cattolici dobbiamo essere capaci di testimoniare con la nostra vita, più che imporre con la forza della legge.
Non è chi non vede come questa posizione della Conferenza Episcopale Italiana venga recepita da molti, anche cattolici, più che come una difesa di princìpi cattolici, come un sostegno politico a quei partiti che difendono formalmente quei valori, nonostante che molti dei loro leader, pur essendo sposati, vivano in coppie di fatto.

Credo dunque che qualche norma utile ad introdurre dei diritti a favore della parte più debole della coppia di fatto per quando questa verrà meno, non dovrebbe essere così osteggiata, se si guardasse al valore della dignità delle persone che la Costituzione riconosce senza differenza di condizioni personali e sociali.
Anche in questo caso, quindi, ritengo che da cattolici si debba tener conto della massima di Gesù, secondo la quale la Legge del Sabato è fatta a vantaggio dell’uomo e non viceversa. Purtroppo, però, mi sembra che in questa vicenda si stia verificando proprio il contrario.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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