Sono stati recentemente diffusi i risultati di un’interessante ricerca coordinata da Arcigay, in occasione del 2007, Anno Europeo delle Pari Opportunità per Tutti, con la collaborazione del Centro Bolognese di Terapia della Famiglia e del Centro Documentazione Handicap (CDH) del capoluogo emiliano.
L’indagine, intitolata Abili di cuore. Omo-disabilità: quale rapporto tra omosessualità e disabilità?, ha raccolto la storia di vita di venticinque persone gay e lesbiche con disabilità in undici regioni italiane e ha evidenziato con chiarezza alcuni dati.
Innanzitutto il fatto che la compresenza di omosessualità e disabilità impone difficoltà pratiche e relazionali in tutti gli ambiti della vita quotidiana. In particolare, il rapporto con la famiglia rispetto alla disabilità e il grado di conoscenza e accettazione dell’omosessualità sembrano fortemente influenzare l’autonomia e l’accettazione di sé da parte degli intervistati.
Questi ultimi, per la maggior parte, hanno lamentato poi discriminazione, disinteresse e distacco a causa della propria disabilità da parte dello stesso mondo omosessuale, percepito come in perenne ricerca della perfezione estetica.
In pochissimi casi, inoltre, il coming-out (“uscire allo scoperto”) è avvenuto in modo esplicito in tutti gli ambiti della propria vita. Spesso infatti le sofferenze già provate dalla famiglia a causa della disabilità e la dipendenza fisica ed economica dagli altri frenano dal dichiararsi. Alcuni intervistati devono del resto affrontare un doppio coming-out: quello dell’omosessualità e quello della disabilità quando questa non è evidente, e si devono spesso scontrare con un duplice atteggiamento rifiutante.
E ancora, la ricerca di partner sia affettivi che sessuali è spesso fonte di delusione e frustrazione a causa del rifiuto nei confronti della disabilità. Lo stesso accesso a locali di incontro e scambio è frequentemente precluso a causa di barriere fisiche e ambientali. A fronte di difficoltà oggettive e soggettive nello sperimentare la propria sessualità e nel formare una coppia, vi sono tuttavia casi in cui l’intervistato vive o ha vissuto esperienze di coppia, affettive e sessuali, soddisfacenti. Dal canto loro le donne sembrano essere meno invalidate dalla disabilità nella ricerca di una partner.
Per quanto poi riguarda le associazioni – sia quelle omosessuali che quelle che si occupano di disabilità – esse vengono poco frequentate e anzi per lo più sottoposte a critiche: le prime vengono descritte come «poco supportive» e solo raramente come soddisfacenti luoghi di condivisione, mentre le seconde vengono prevalentemente utilizzate come fonte di informazione sulla propria patologia o per il disbrigo di iter burocratici, in quanto ritenute poco sensibili nei confronti delle tematiche relative alla sessualità.
Sono dunque in genere le risorse personali, il largo utilizzo di internet, delle chat o dei media, per divulgare messaggi di sensibilizzazione, oltre all’appoggio di amici e familiari, ad aver consentito di superare ostacoli e rendere la propria vita la migliore possibile ad un certo numero di intervistati.
Secondo Laura Girasole, responsabile per le politiche sociali di Arcigay, «da questa ricerca emerge quanto sia difficile per le persone omosessuali con disabilità poter amare liberamente. Esse vivono una doppia discriminazione e soffrono di un doppio silenzio. Farle sentire parte integrante della nostra comunità è un nostro obiettivo prioritario. Per questo motivo stiamo lavorando per realizzare in autunno una grande campagna di comunicazione. Il primo appuntamento sarà la presentazione dei risultati della ricerca durante due conferenze pubbliche, con il supporto delle persone che l’hanno condotta e di alcuni esperti e rappresentanti di associazioni, fatte in contemporanea nelle città di Bologna e Firenze».
«Le testimonianze che abbiamo raccolto – dichiara poi Raffaele Lelleri, consulente per la salute e la diversità di Arcigay e supervisore scientifico della ricerca – dimostrano quanto sia sbagliato considerare la società in “compartimenti stagni”, quasi fosse possibile scindere, ad esempio, la comunità omosessuale da quella disabile, da quella immigrata, da quella anziana. I nostri intervistati ci hanno chiesto a più riprese: “Ma io a chi devo rivolgermi: ad un’associazione per omosessuali o ad una per disabili?”. Nella realtà quotidiana, spesso le persone hanno infatti “appartenenze plurime”: vi sono gay anziani, lesbiche disabili, omosessuali immigrati. Appare legittimo, quindi, che associazioni diverse sviluppino competenze specifiche, ma allo stesso tempo è necessario superare gli steccati e mettersi in ascolto della globalità delle esperienze personali, per essere davvero al servizio di tutti e di tutte».
«Voglio innanzitutto ringraziare tutte le persone che hanno partecipato alla ricerca – annota in conclusione Aurelio Mancuso, presidente nazionale di Arcigay – perché la loro disponibilità a condividere aspetti di sé anche molto personali, talvolta difficili, sarà certamente di aiuto a tanti per iniziare un percorso che è appena stato tracciato. Arcigay vuole diventare un’associazione sempre più aperta e sensibile alle differenze, anche attraverso un impegno concreto di tutte le nostre articolazioni territoriali e circoli ricreativi. Chiedo alle associazioni che si occupano di temi sociali un confronto e un impegno comune affinché i temi dell’orientamento sessuale e dell’omofobia entrino appieno nelle strategie di ogni realtà».
(S.B.)
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