Egregio Direttore, nei giorni scorsi la Presidenza della Repubblica ha esteso un necessario appello «alla moderazione del linguaggio e al rispetto dei valori nazionali e dei principi costituzionali».
Considerazioni da apprezzare, non solo alla luce delle circostanze urgenti che le hanno ispirate (le dichiarazioni di Umberto Bossi sul fisco e la questione del “tirar fuori i fucili”), ma soprattutto per i principi che esse rilanciano, in una visione più generale della vita sociale italiana.
Una sempre maggiore attenzione ai linguaggi, e ai trattati che tracciano i valori fondanti della nostra Repubblica o di rilevanza internazionale quali la Convenzione ONU sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità, è una sollecitazione che la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) vorrebbe sottoporre alla sua attenzione, in chiave di veicolo verso una reale inclusione sociale delle persone con disabilità.
La nostra Federazione – e le migliaia di persone con disabilità e le loro famiglie che si riconoscono nelle politiche delle associazioni che vi aderiscono – ha da anni ben chiaro il ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione nell’influenzare l’opinione pubblica.
Non è una visione strettamente negativa del mediasystem, su cui si è già detto e scritto sin troppo: si tratta di una presa di coscienza dell’aiuto che una corretta informazione sulle tematiche della disabilità potrebbe fornire nel combattere stereotipi e nel favorire il passaggio dalla rappresentazione di un modello medico a quella di un modello sociale della disabilità, ovvero “semplicemente” un’immagine della disabilità slegata da malattia, camici bianchi e improduttività, ma caratterizzata dai valori della partecipazione e della cittadinanza attiva.
A livello nazionale – attraverso la collaborazione con il Segretariato Sociale Rai, con il Ministero delle Comunicazioni o con il Gruppo Editoria del Forum del Terzo Settore – e a livello internazionale, con esperienze significative quali la Dichiarazione di Atene su media e disabilità, oltre che partecipando alle sessioni di lavoro che a New York hanno portato proprio alla Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, firmata per l’Italia dal ministro Paolo Ferrero, la FISH ha messo in campo una serie di iniziative significative, pur sapendo bene che per cambiamenti importanti servirà necessariamente del tempo, il tempo di ripensare e di ripensarsi, in una società che non era stata immaginata per/con le persone con disabilità.
La Convenzione, spartiacque appunto per queste tematiche, riporta all’articolo 8: «Gli Stati Parti si impegnano ad adottare misure immediate, efficaci ed appropriate allo scopo di sensibilizzare l’insieme della società, […] per combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose relativi alle persone con disabilità, compresi quelli basati sul sesso e l’età, in tutti i campi».
Ruolo dei governi per arrivare a questo dovrà essere anche quello di «incoraggiare tutti i mezzi di comunicazione a rappresentare le persone con disabilità in modo coerente con gli obiettivi della presente Convenzione [grassetto nostro, N.d.R.]».
Quando dunque l’Italia ratificherà definitivamente questo trattato fondamentale – il primo del nuovo millennio – esso diverrà legge dello Stato e anche uno dei più autorevoli quotidiani europei – come quello da lei diretto – dovrà affrontare seriamente questa materia, perché i ritardi sono evidenti.
Innanzitutto per carenze nel linguaggio: è di pochi giorni fa, ad esempio, un articolo da Courmayeur su un’iniziativa cui partecipava Michela Vittoria Brambilla, presidente dei Circoli della Libertà, dedicata – si intuisce, in quanto cornice dei contenuti veri e propri del pezzo – alle tematiche della disabilità. In questo articolo ricorrevano termini altamente discriminanti quali «handicappati» e locuzioni ambigue come «diversamente abili», non certo in linea con i principi della Convenzione. Il trattato, infatti, riconosce la definizione di «persone con disabilità». Persone.
E anche per carenze nei contenuti: quelli ad esempio dell’interessante e condivisibile editoriale di Edmondo Berselli, sulla già citata questione “Bossi-fucili”, puntuale come sempre, se si escludono le prime stupefacenti righe riferite a Bossi: «C’è di mezzo l’età, la malattia».
Una strizzatina d’occhio, o boutade, dannosa; è noto infatti – e molti quotidiani ne hanno riportato la cronologia – che le dichiarazioni eversive di Umberto Bossi sono state il concime della sua storia politica recente e non; ma questo è colore. Il “danno” è nel messaggio – probabilmente involontario in un’apertura mal calibrata – che porta dritto all’idea che si possano trattare le persone “malate”, reduci da traumi o stati di coma o con disabilità, liberandosene, con una stretta di spalle. Questo purtroppo non è empirismo, ma una pratica effettiva che ha condotto negli scorsi anni dalla reclusione in istituti totalizzanti di persone con disabilità – pre e post Basaglia – all’atteggiamento di professori o datori di lavoro che per atavici pregiudizi o pigrizia hanno escluso tanti giovani da una vita piena, al pari di tutti i cittadini.
Cadute del genere credo che oltre a violare i diritti delle persone con disabilità, o almeno a diffonderne un’immagine negativa, nuocciano maggiormente alla qualità dell’informazione di «Repubblica», e quindi ai lettori che ogni giorno investono il loro euro in un quotidiano che sulla carta dovrebbe essere scevro dai pressapochismi di tanta stampa nazionale.
*Presidente nazionale FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Segnaliamo, per dovere di cronaca, che «la Repubblica» ha pubblicato tale testo nel numero di domenica 2 settembre.
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