Oltre che per i workshop e per le discussioni assembleari, la seconda e la terza giornata dell’Assemblea Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) a Seul, in Corea del Sud, si sono contraddistinte per due importanti summit globali: quello sulle donne con disabilità e quello sulla vita indipendente.
Donne con disabilità: un movimento che cresce
Nel Summit Globale delle Donne è stato presentato un bilancio del lavoro di DPI nell’ambito dei diritti delle donne con disabilità, soggette a multidiscriminazioni. Dinah Radtke, vicepresidente uscente e responsabile del Comitato di DPI in tale ambito, ha ricordato la condizione «di povertà, limitazione nell’accesso ai diritti e ai servizi e di esclusione sociale che le donne con disabilità vivono in tutto il mondo». Alla condizione di disabilità, infatti, si combina quella di genere: in molte parti del mondo, per ragioni culturali, religiose, sociali, le donne sono discriminate e non godono degli stessi diritti degli uomini. In tal senso il successo del gruppo di donne che ha premuto per includere nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità sia un articolo specifico (l’articolo 6), sia riferimenti in vari altri (articoli 3, 16, 25, 28 e 34), è un risultato importante che apre una nuova prospettiva di lavoro in molti Paesi.
«La consapevolezza della condizione delle donne con disabilità – ha dichiarato Radtke – cresce nel mondo e in vari continenti stanno nascendo coordinamenti regionali: in Africa, ad esempio, già esiste una rete di donne con disabilità in alcune subregioni e si sta lavorando per realizzare un’associazione che rappresenti l’intero continente. In Sudamerica, poi, si lavora per lo stesso obiettivo, e si spera per l’anno prossimo di riuscire a promuovere un convegno sull’argomento. E ancora, se in Europa già si sono mobilitate associazioni di vari Paesi per costituire un’associazione continentale, va ricordato che nel 2006 si è tenuta a Il Cairo la Conferenza delle Donne Arabe con Disabilità. In Asia e nei Paesi del Pacifico, infine, stanno crescendo molte donne leader di movimenti».
Radtke ha sottolineato infine che DPI è «l’unica organizzazione mondiale che prevede nello statuto un’attenzione particolare all’eguaglianza di genere nella definizione di responsabilità e incarichi e nelle stesse cariche sociali».
Il summit dedicato alle donne ha alternato momenti di discussione e approfondimento ad azioni teatrali e di danza: vi è stata ad esempio una sfilata nei costumi storici tradizionali legati alle diverse dinastie di re che si sono succedute nei secoli passati in Corea e una danza di donne vestite con le tradizionali vesti multicolori, oltre alla distribuzione di un libro di foto di donne con disabilità che lavorano, immagini che erano anche al centro di un’esposizione presente negli eventi culturali collaterali all’Assemblea.
Tutto è cominciato a Berkeley, in California
Per quanto poi riguarda il Summit Globale sulla Vita Indipendente, esso si è articolato su due distinte tavole rotonde, la prima delle quali tra i leader del Movimento per la Vita Indipendente nei vari continenti, l’altra per testimoniare i progressi in questo settore fatti registrare in Asia e nei Paesi del Pacifico.
Nel primo di questi appuntamenti, John Lancaster, direttore esecutivo del Consiglio Nazionale Americano dei Centri per la Vita Indipendente (NCIL), ha ricordato che il primo Centro per la Vita Indipendente è nato nel 1972 a Berkeley, in California, e che ora negli Stati Uniti sono attivi ben 454 Centri.
Essi si basano sulle azioni chiave utili a garantire la vita indipendente alle persone con disabilità: consulenza alla pari, prima di tutto, per offrire un percorso di empowerment (“rafforzamento”) alle tante persone con disabilità escluse e discriminate; formazione alla vita indipendente, per far crescere le competenze e le capacità di ognuno; advocacy (tutela legale), sia individuale che di comunità, per collegare la vita indipendente delle singole persone alle politiche generali.
Lancaster ha ricordato inoltre le numerose battaglie civili nel campo dell’accessibilità, dell’educazione, dell’impiego (un punto, questo, ancora dolente, in quanto solo il 30% delle persone con disabilità lavora), degli ausili, dell’accesso alla casa – con un servizio di informazione sulle case senza barriere – dei trasporti, dove grazie alla Legge ADA (The American with Disabilities Act) il sistema americano risulta largamente accessibile (si parla dell’oltre 85% di tutti i servizi) e dell’accesso a tutti i servizi pubblici e privati.
Dal Canada al Giappone
Successivamente Traci Walters, direttore esecutivo dell’Associazione Canadese dei Centri per la Vita Indipendente (CAILC), ha sottolineato che mentre negli Stati Uniti la tutela legale (advocacy) viene offerta anche da servizi privati, in Canada è l’Associazione COHOP, formata dalle associazioni di promozione e di tutela, che mantiene l’esclusiva della rappresentanza dei bisogni e dei diritti delle persone con disabilità.
Nati in Canada nel 1987, i Centri Risorse per la Vita Indipendente sono attualmente 28 e anch’essi lavorano con servizi essenziali: una rete di informazioni, ricerche e sviluppo della comunità, peer support (“sostegno alla pari”) e attività di supporto all’autonomia (assistenza personale, trasporto ecc.).
La rete canadese lavora a progetti innovativi e di sviluppo: sono stati illustrati ad esempio la ricerca sull’impatto della vita indipendente sulla qualità della vita delle persone e sulle altre politiche, il sistema di raccolta dati sull’insieme delle risorse disponibili per la vita indipendente, la regolamentazione obbligatoria di alcuni servizi, come quello dei trasporti, il sostegno alla crescita del supporto tra pari, l’unificazione della definizione di persona con disabilità all’interno delle singole province.
Particolarmente interessante anche l’intervento di Shoji Nakanishi, giapponese, presidente di DPI Asia Pacifico, il quale ha ricordato che nel suo Paese il Consiglio Nazionale per la Vita Indipendente è nato nel 1991 e conta 121 centri. Il budget di questi ultimi è coperto per il 25% da finanziamenti pubblici, il resto da autorità locali e sponsor. Recentemente, però, in seguito alla volontà del governo di tagliare parte di questi fondi, sono scese in piazza più di 15.000 persone con disabilità per difendere i propri diritti.
In Giappone è presente un Registro Nazionale dei Centri per la Vita Indipendente cui si possono accreditare solo le strutture che garantiscono uno standard minimo di servizi (assistenza personale, consulenza alla pari, formazione all’autonomia, sostegno alla ricerca alla casa ecc.).
Il sistema di promozione dei Centri è basato su moduli formativi che possono essere richiesti al Consiglio Nazionale e che hanno permesso una rapida crescita in tutto il Giappone, sino all’isola di Okinawa nel Pacifico. Da 1.200.000 yen del 2001 (circa 75.000 euro), il budget è oggi quasi triplicato, con 3.200.000 yen nel 2006 (circa 200.000 euro).
Tra i vari impegni vi è anche quello di sostenere la diffusione della vita indipendente in altri Paesi asiatici, attraverso progetti di cooperazione allo sviluppo.
Ritorno in Europa
In conclusione della prima tavola rotonda, Dinah Radtke ha illustrato la situazione in Germania, dove esistono 27 Centri in rete, organizzati con servizi analoghi a quelli americani.
La relatrice ha ricordato poi il positivo lavoro di ENIL (European Network on Independent Living), organizzazione nata nel 1989 su iniziativa di DPI Europa e ha sottolineato anche la necessità di rafforzare l’iniziativa europea sul Community Living, fino ad arrivare ad una direttiva europea sulla vita indipendente.
La rete dell’Asia Pacifico
La seconda tavola rotonda, come detto, è stata organizzata per illustrare i progressi realizzati nel settore della vita indipendente in Paesi come la Thailandia, la Malaysia, il Pakistan e le Filippine, grazie ad una serie di progetti di cooperazione allo sviluppo avviati dal Consiglio Nazionale Giapponese.
Si è costituita quindi una rete dell’Asia Pacifico per la vita indipendente (APNIL), che riunisce sette Paesi (Corea del Sud, Filippine, Giappone, Malaysia, Nepal, Pakistan e Thailandia) e si sta lavorando per inserire all’interno delle Commissioni Nazionali contro la Povertà una subcommissione sulla Vita indipendente.
Tutti dibattiti molto significativi che fanno comprendere come la questione della vita indipendente sia ampia e includa un ventaglio di iniziative e attività che non si riducono semplicemente alla cosiddetta “assistenza indiretta”, ma attivano strumenti di empowerment, creano Centri per la Vita Indipendente, aprono confronti e realizzano iniziative nel campo dell’accessibilità, della formazione, del lavoro, dell’insieme dei diritti umani.
L’auspicio è che l’ormai imminente Conferenza Italiana sulla Vita Indipendente – dal 4 al 6 ottobre prossimi a Roma – e l’intero dibattito nel nostro Paese ne tengano conto.
*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).
– Wilfredo Guzmán (Peru), presidente
– George Daniel (Trinidad & Tobago), vicepresidente incaricato dei diritti umani
– Rachel Kachaje (Malawi), vicepresidente incaricato dello sviluppo e dei gruppi sottorappresentati
– Abdus Sattar Dulal (Bangladesh), segretario
– Shoji Nakanishi (Giappone), tesoriere
– Giampiero Griffo (Italia), consigliere incaricato dell’informazione
Il rinnovamento è ampio, anche in senso generazionale (si tratta di persone tutte sui quarant’anni, ad esclusione di Nakanishi e Griffo) e tutti i continenti sono rappresentati.
«Novità – dichiara lo stesso Griffo – che certamente pagheranno, anche se è emersa qualche preoccupazione per l’inesperienza del nuovo presidente in ambito di discussioni a livello internazionale».
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