Per la prima volta un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (HSR-TIGET) e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, entrambi con sede a Milano, in collaborazione con Sangamo BioSciences, ha riscritto una sequenza di DNA in cellule staminali umane, sfruttando dei virus modificati. Questi ultimi, fungendo da “vettori”, hanno veicolato una sorta di “équipe di chirurghi” che ha sostituito i pezzi di DNA difettosi direttamente nelle cellule in vitro.
Il lavoro – cofinanziato dalla Fondazione Telethon, dall’Unione Europea e dalla stessa Sangamo Biosciences – è stato pubblicato in questi giorni dalla prestigiosa rivista scientifica «Nature Biotechnology».
Fino ad oggi, per correggere un difetto genetico, bisognava introdurre dall’esterno una copia artificiale del gene che ripristinasse la funzione difettosa di una cellula, ma questa tecnica poteva solo approssimare il funzionamento di una cellula normale. Infatti il gene artificiale non può ricapitolare tutte le proprietà di quello normale e, non ritrovandosi nella sua sede naturale nel DNA, manca della normale regolazione.
Con questo nuovo approccio sarà invece possibile correggere direttamente il DNA, ripristinando sia la corretta sequenza sia il normale controllo di un gene.
Il gene targeting
Il metodo utilizzato è quello del cosiddetto gene targeting, fondamentale per studiare la funzione dei geni e la loro associazione alle malattie, come riconosciuto al suo scopritore Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia di quest’anno.
Grazie a tale tecnica, infatti, il ricercatore può scegliere come e quali sequenze di DNA del genoma cambiare, ciò che permette di valutare nel dettaglio la funzione di ogni gene durante lo sviluppo embrionale o nelle fasi successive.
Questo avviene attraverso la cosiddetta ricombinazione omologa, quel fenomeno naturale per cui nel caso una copia del DNA venga irreversibilmente danneggiata, la cellula sfrutta l’altra copia per riparare il DNA e ricopiare fedelmente le informazioni andate perdute. Tutte le cellule, infatti, contengono un doppio patrimonio di informazioni genetiche, originato per metà dalla madre e per metà dal padre.
Fino ad ora il gene targeting era stato utilizzato nei topi per creare modelli di malattie da studiare, ma da tempo si era proposto di verificarne l’applicazione alle cellule di un individuo affetto da una malattia genetica, per correggere la mutazione responsabile e ripristinarne la funzione. Purtroppo, però, la frequenza con cui si ottiene gene targeting con le tecniche convenzionali è talmente bassa da impedirne questo utilizzo. Infatti, solo una su 10.000 o 100.000 cellule trattate contiene la modificazione voluta e dev’essere ricercata tra le altre come il tradizionale ago nel pagliaio.
La strategia dei ricercatori
L’ostacolo è stato ora superato grazie allo sforzo congiunto dei citati ricercatori italiani e americani e combinando le tecniche sviluppate dai due gruppi di ricerca, la percentuale di successo di questa tecnologia è aumentata fino al 50% delle cellule trattate.
Da una parte i ricercatori californiani hanno sviluppato una potente tecnologia che ingegnerizza le proteine, indirizzandone l’azione su una specifica sequenza di DNA. Dopo avere identificato una regione “da bersagliare”, essi hanno costruito dei “chirurghi molecolari”, assemblando con un microbisturi le cosiddette “dita di Zinco” (Zinc Finger), moduli proteici ciascuno dei quali si lega ad una particolare tripletta di basi del DNA, vale a dire l’enzima che “taglia” il DNA (nucleasi). E il “taglio” della sequenza di DNA prescelta stimola potentemente la ricombinazione omologa. Lo sfruttamento di questa tecnologia è però stato finora limitato dalla difficoltà di introdurre nelle cellule i componenti necessari.
Dall’altra parte i ricercatori del San Raffaele-TIGET hanno sfruttato la grande esperienza nel disegno e nell’utilizzo di vettori per la terapia genica, per costruire un virus modificato capace di veicolare tutta l’”équipe microchirurgica” nelle cellule. Quest’ultima, una volta introdotta nella cellula, ha potuto svolgere il proprio lavoro e modificarne il DNA.
«I nostri risultati – ha dichiarato Angelo Lombardo, dottorando di ricerca dell’Università Vita-Salute San Raffaele – ampliano le prospettive di impiego delle cellule staminali in terapia. Le cellule staminali sono la riserva naturale dell’organismo per il ricambio e la riparazione dei tessuti. Una volta isolate le cellule staminali del sangue da un paziente affetto da una malattia ereditaria, la possibilità di modificarne con precisione le informazioni genetiche ci consentirà di correggere la mutazione responsabile della malattia stessa e di reinfonderle nell’organismo per generare globuli bianchi e rossi sani».
Si appella per altro alla maggior cautela possibile il coordinatore dello studio Luigi Naldini, condirettore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica: «Il nostro lavoro – afferma – ha fornito un’importante prova di principio, ma per l’applicazione alla terapia dobbiamo ancora aspettare. Infatti, bisognerà prima valutare con attenzione le possibili complicanze della chirurgia molecolare del DNA. Se tutto andrà dunque per il meglio, tra quattro.cinque anni potremo cominciare a sperimentare la “correzione del DNA” proprio in quelle malattie come l’immunodeficienza congenita legata al cromosoma X in cui la terapia genica ha dimostrato la sua potenzialità, ma anche i rischi legati ad un’espressione non controllata del gene terapeutico».
Da ricordare in conclusione che le malattie genetiche ad oggi conosciute – causate appunto da un’alterazione dei geni – sono circa 7.000 e che di queste solo 933 sono diagnosticabili con uno screening genetico. Ancora meno, poi, sono quelle che hanno già una cura efficace.
Tra le più note malattie genetiche segnaliamo ad esempio le già citate immunodeficienze congenite, la distrofia muscolare di Duchenne, la talassemia, l’emofilia o la leucodistrofia metacromatica.
(Gabriele Bertipaglia e Laura Arghittu)
Ufficio Stampa Istituto Scientifico Universitario San Raffaele
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