Il monitoraggio della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (Convention on the Rights of the Child, d’ora in poi CRC) prevede, agli articoli 42-45, una serie di procedure volte a garantire il rispetto e l’applicazione degli obblighi fissati dal trattato. Tali procedure sono basate sulla redazione di rapporti periodici da parte degli Stati contraenti e sulla previsione di un organo di controllo: il Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
A tal proposito va detto che la CRC è l’unico trattato di questo tipo (e fra poco lo sarà anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità) ad aver previsto un ruolo specifico per le organizzazioni non governative (ONG).
Infatti, l’articolo 45, punto a), nel parlare di «ogni altro organismo competente», si riferisce proprio e anche alle ONG, e nella prassi il Comitato ONU si è dimostrato molto recettivo verso le proposte e i suggerimenti forniti da queste ultime, dedicando particolare attenzione e riprendendo spesso nelle proprie raccomandazioni le istanze avanzate da esse.
Attualmente il lavoro di monitoraggio (governativo e parallelo) aiuta a comprendere i progressi compiuti dagli Stati Parte nell’attuazione dei principi della CRC, evidenziando gli eventuali problemi o lacune ed individuando le misure da adottare.
Ne deriva anche che attraverso questa attività il Comitato ONU è considerato la fonte internazionale più autorevole per quanto concerne l’interpretazione della stessa CRC.
Vale a questo punto la pena di ricordare i quattro princìpi fondamentali su cui si basa l’intera Convenzione sui Diritti dell’Infanzia:
– Non-discriminazione (articolo 2)
– Migliori interessi del bambino (articolo 3)
– Sopravvivenza e sviluppo (articolo 6)
– Partecipazione attiva del fanciullo (articolo 12)
Vorrei poi ricordare, proprio qui, l’importanza di un altro documento emanato dalle Nazioni Unite, vale a dire le Regole Standard per l’Uguaglianza di Opportunità delle Persone con Disabilità, la cui emanazione, nel 1993, ha segnato definitivamente la scelta – a livello internazionale – di un approccio alla disabilità basato sulla promozione dei diritti umani, da considerare di tutti, e con l’obiettivo di garantire alle persone con disabilità almeno l’uguaglianza di opportunità nel godimento di tali diritti, rispetto a quanto accade alla generalità dei cittadini di un determinato Paese.
Da una parte le Regole Standard hanno introdotto, anche senza una precisa consapevolezza, il concetto di approccio bio-psico-sociale – con la disabilità vista come una precisa condizione umana – e dall’altra parte soprattutto il concetto di discriminazione. Idee, queste, che richiedono un’attenzione di tipo sociale volta alla difesa dei diritti e quindi alla lotta contro la discriminazione.
Da quel momento, dunque, sono state proprio le Regole Standard a diventare un punto di riferimento concreto per le politiche attive di promozione dei diritti umani nei confronti delle persone con disabilità, all’interno di ogni strumento internazionale, compresa la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.
Un altro elemento che vorrei portare all’attenzione si riferisce alle opportunità, ma anche – e soprattutto – ai limiti dei rapporti (report) che vengono presentati al Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Le opportunità sono date dal fatto che laddove lo Stato è realmente interessato a migliorare le proprie prassi nella prospettiva del superiore interesse del fanciullo (articolo 3), l’attività di monitoraggio internazionale costituisce un reale vantaggio. Inoltre, la redazione di un rapporto parallelo da parte delle organizzazioni non governative consente, attraverso l’analisi delle attività di una nazione, di guardare al mondo dell’infanzia in modo più completo.
I limiti, invece, sono dati dall’interpretazione restrittiva dell’articolo 23 della CRC – quello dedicato ai bambini con disabilità – e dal modello di rapporto costruito sempre su tale interpretazione.
Partiamo proprio dalla “fonte diretta”, riportando letteralmente il testo del citato articolo 23:
«1. Gli Stati Parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità.
2. Gli Stati Parti riconoscono il diritto dei fanciulli handicappati di beneficiare di cure speciali e incoraggiano e garantiscono, in considerazione delle risorse disponibili, la concessione, dietro richiesta, ai fanciulli handicappati in possesso dei requisiti richiesti, e a coloro i quali ne hanno la custodia, di un aiuto adeguato alle condizioni del fanciullo e alla situazione dei suoi genitori o di coloro ai quali egli è affidato.
3. In considerazione delle particolari esigenze dei minori handicappati, l’aiuto fornito in conformità con il paragrafo 2 del presente articolo è gratuito ogni qualvolta ciò sia possibile, tenendo conto delle risorse finanziarie dei loro genitori o di coloro ai quali il minore è affidato. Tale aiuto è concepito in modo tale che i minori handicappati abbiano effettivamente accesso alla educazione, alla formazione, alle cure sanitarie, alla riabilitazione, alla preparazione al lavoro e alle attività ricreative e possano beneficiare di questi servizi in maniera atta a concretizzare la più completa integrazione sociale e il loro sviluppo personale, anche nell’ambito culturale e spirituale.
4. In uno spirito di cooperazione internazionale, gli Stati Parti favoriscono lo scambio di informazioni pertinenti nel settore delle cure sanitarie preventive e del trattamento medico, psicologico e funzionale dei minori handicappati, anche mediante la divulgazione di informazioni concernenti i metodi di riabilitazione e i servizi di formazione professionale, nonché l’accesso a tali dati, in vista di consentire agli Stati Parti di migliorare le proprie capacità e competenze e di allargare la loro esperienza in tali settori. A tal riguardo, si terrà conto in particolare delle necessità dei Paesi in via di sviluppo».
Avere dedicato un articolo specifico ai bambini con disabilità ha significato identificare anche per loro le condizioni indispensabili alla difesa della dignità di persone e ritenere necessario supportare le differenze, per poter usufruire dei diritti della Convenzione.
Infatti, riconoscendo le difficoltà che questi bambini incontrano nella vita quotidiana a causa della menomazione che ha determinato la loro disabilità – in nome dell’uguaglianza – essi hanno diritto ad avere maggiori aiuti rispetto agli altri bambini.
Sfortunatamente, però, la parola «speciale» (comma 2) è stata interpretata in modo tale che l’articolo 23 ha incoraggiato, se non giustificato:
– La segregazione, potendo incoraggiare la tendenza a “categorizzare” e ad indirizzare i bisogni dei bambini disabili separatamente, come se tutti i loro bisogni fossero speciali e diversi e come se loro non avessero niente in comune con gli altri bambini.
– L’elusione: infatti le parole «in considerazione delle risorse disponibili» (comma 2) forniscono una vera e propria “clausola evasiva” che incoraggia il non adempimento, implicando che i bambini disabili possono avere accesso ai loro diritti solo se ciò non comporta costi troppo alti. Tale formula, inoltre, può indurre a chiedersi se un bambino disabile sia meritevole di risorse quanto un bambino non disabile.
E qui va anche ricordato lo spirito dell’articolo 4 della Convenzione, ove questa ammette in sostanza la propria consapevolezza rispetto al fatto che le risorse non sono infinite, ma che comunque i bambini hanno il diritto di usufruire di tutte quelle che vengono messe a disposizione dai loro governi.
– Un esclusivo approccio ai bisogni individuali: l’articolo 23, infatti, parla di «cure speciali», di «assistenza», di «trattamento medico, psicologico e funzionale» e di «riabilitazione» – tutti ovviamente necessari – insinuando però l’idea che gli unici problemi che i bambini con disabilità devono affrontare sono quelli che hanno a che fare con le loro menomazioni e limitazioni individuali, senza menzionare le difficoltà e gli ostacoli nell’ambiente e nella società che ne impediscono l’accesso e la partecipazione.
Come già accennato, poi, anche il modello di report redatto dal Comitato relega il bambino con disabilità nel solo ambito della salute e noi sappiamo bene che ciò costituisce una soluzione del tutto parziale ai vari problemi: la maggior parte dei bisogni di un bambino con disabilità sono infatti gli stessi di qualsiasi altro coetaneo, vale a dire nutrirsi, godere di protezione, dell’amore della famiglia, di assistenza sanitaria, di amici con cui giocare e dell’opportunità di crescere e imparare.
Il Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND) ha iniziato a lavorare all’interno del Gruppo di Lavoro per il Monitoraggio della CRC [al quale qui di seguito dedichiamo una scheda specifica, N.d.R.] dapprima attraverso alcune associazioni affiliate e dal 2004 con una partecipazione diretta.
Dal canto suo il Governo Italiano dovrà presentare il suo prossimo rapporto ufficiale verso la fine del 2008, mentre il rapporto supplementare delle organizzazioni non governative dovrà essere presentato e discusso entro il mese di ottobre del prossimo anno.
Grazie a questo rapporto supplementare il Comitato ONU annoterà i rilievi e le osservazioni proposte al nostro Governo e chiederà a quest’ultimo risposte scritte sui vari quesiti e problemi fatti emergere.
Dopo tale fase interlocutoria avverrà l’incontro con la delegazione governativa, che darà seguito ad una serie di Raccomandazioni.
Possiamo dunque dire a questo punto che la partecipazione del Consiglio Nazionale sulla Disabilità a tale lavoro ha avuto un duplice effetto:
– Aumentare la visibilità del bambino con disabilità all’interno della programmazione delle organizzazioni non governative che si occupano di infanzia e di adolescenza.
– Scardinare il modello medico di report costruito dal Comitato ONU, rendendo trasversale la condizione del bambino con disabilità nelle attività di monitoraggio.
Fare uscire infatti la disabilità dallo spazio esclusivo delle attività a difesa della salute può certamente aiutare a veicolare un’idea più inclusiva, dal momento che tutto quanto riguarda le tematiche relative al bambino con disabilità dev’essere elaborato in modo ampio e coinvolgendo ogni aspetto della sua vita. Ciò consente tra l’altro di costruire strumenti di lettura della sua realtà alla luce di un approccio basato sui diritti anche ad organizzazioni che non hanno come mission primaria la disabilità e questo è un ulteriore pregio dell’intera procedura.
*Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità). Testo presentato in occasione del Convegno di Venezia del 25 e 26 ottobre 2007, organizzato per la presentazione ufficiale in Italia dell’ICF-CY, la Classificazione del Funzionamento, della Disabilità e della Salute da applicare a bambini e adolescenti. A tale incontro il nostro sito ha dedicato un’ampia presentazione.
e il Gruppo di Lavoro per la CRC
La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. L’Italia l’ha ratificata il 27 maggio 1991 con la Legge 176/1991.
Per verificare che i principi sanciti dall’importante documento siano effettivamente rispettati, le Nazioni Unite chiedono ad ogni Stato di redigere e presentare ogni cinque anni un rapporto. Inoltre, per dare voce anche al punto di vista della società civile, le Organizzazioni Non Governative e del Terzo Settore hanno la possibilità di elaborarne uno supplementare.
Per questa ragione nel 2000 nasce in Italia il Gruppo di Lavoro per la CRC che l’anno successivo redige un rapporto sulla condizione dell’infanzia in Italia supplementare a quello che il Governo Italiano aveva precedentemente presentato alle Nazioni Unite.
Successivamente il Gruppo di Lavoro ha deciso di proseguire nella sua opera di monitoraggio, redigendo annualmente un rapporto di aggiornamento che verifica lo stato di applicazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese.
Il Gruppo di Lavoro predisporrà nuovamente nel 2008 un rapporto supplementare a quello che il Governo Italiano è tenuto a presentare al Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Sono oggi ben sessantadue le associazioni e organizzazioni non profit a far parte del Gruppo di Lavoro per la CRC e che hanno sottoscritto il rapporto del 2007. A coordinarle è Save the Children Italia e tra esse vi è anche il CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).
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