La presenza di quattro milioni di immigrati sul territorio nazionale non può più essere ignorata o sottovalutata dalle autorità sanitarie nazionali e regionali. La circolazione in Italia di un elevato numero di persone provenienti dalla cosiddetta “cintura meningococcica” africana (senegalesi, ivoriani, etiopi, somali) pone il rischio di meningite anche da meningococco A, Y e W135.
Contro i ceppi A, C, W135 ed Y esiste per altro un vaccino – obbligatorio per i militari e i pellegrini a La Mecca – che però conferisce un’immunità di soli tre anni. Contro il solo meningococco C esiste invece un vaccino coniugato che dà immunità per la vita.
Oltre alla meningite, l’impatto della presenza di immigrati sulla salute pubblica riguarda malattie trasmesse per via alimentare, come l’epatite A e la febbre tifoide, in considerazione della presenza di immigrati nelle cucine dei ristoranti; malattie sessualmente trasmesse, come HPV, AIDS, sifilide e gonorrea, legate alla prostituzione; e soprattutto la tubercolosi, considerata debellata, ma che sta conoscendo una significativa ripresa in tutta Europa, anche in forme antibiotico-resistenti.
Il rischio per la salute pubblica deriva in massima parte dagli immigrati clandestini che sfuggono, in quanto tali, ad ogni forma di controllo.
Pur senza alcuna forma di discriminazione e nello spirito della massima solidarietà, le autorità nazionali e regionali devono realizzare senza indugio piani di prevenzione che prevedano controlli sanitari alla popolazione immigrata.
Tale censimento deve riguardare lo stato vaccinale, la presenza di malattie infettive, prime fra tutte la tubercolosi, in considerazione della sua possibilità di trasmissione negli ambienti chiusi e delle difficoltà che potrebbero riscontrarsi nel suo trattamento.
Si tratta di un’iniziativa che non andrebbe a vantaggio solo della salute pubblica della popolazione italiana, ma anche e soprattutto di quella immigrata.
*Direttore del Centro OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) di Medicina del Turismo, Rimini.
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