Sono manifestazioni non violente quelle dei monaci buddisti che dal 13 marzo scorso hanno dato vita insieme agli altri cittadini tibetani a dimostrazioni di protesta contro l’occupazione cinese. Dal canto suo, il Governo della Repubblica Popolare Cinese, che occupa militarmente l’altopiano del Tibet da quasi sessant’anni, ha risposto con la repressione violenta, sostenendo che i disordini siano stati volutamente provocati dal Governo tibetano in esilio in India – capeggiato dal Dalai Lama – con l’intento di boicottare le Olimpiadi che si svolgeranno, com’è noto, a Pechino nel prossimo mese di agosto, screditando così l’immagine della Cina agli occhi del mondo.
In questi giorni numerosi monaci sono stati arrestati. Le fonti tibetane denunciano un centinaio di morti, mentre quelle cinesi ne hanno dichiarati poco più di una decina. Non è del resto possibile disporre di notizie dirette perché – come già accaduto per i sanguinosi fatti di Myanmar (l’ex Birmania), alla fine di settembre del 2007, sui quali gli organi d’informazione occidentali da tempo non ci aggiornano più – la dittatura ha espulso la stampa estera e i turisti stranieri. Gli stessi cittadini cinesi non possono informarsi liberamente, anche perché il loro accesso a internet è fortemente censurato (in questi giorni, ad esempio, il governo cinese ha oscurato anche il database di condivisione video youtube).
Il 17 marzo scorso, poi, è scaduto l’ultimatum dato dalla dittatura cinese ai manifestanti, con la richiesta di costituirsi. Secondo le fonti cinesi, a consegnarsi sarebbero stati un centinaio. Con l’acuirsi della crisi, dall’India il Dalai Lama ha annunciato di volersi dimettere nel caso in cui la situazione si inasprisca ulteriormente.
Anche la redazione di Superando.it sostiene la lotta non violenta dei monaci tibetani e chiede all’Europa, e prima di tutto al Governo italiano, di adoperarsi per accelerare il processo di democratizzazione della Repubblica Popolare Cinese, temuto colosso economico, e per il rispetto dei diritti civili fondamentali in Cina e in Tibet. (B.P.)
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