Le distrofie miotoniche sono malattie genetiche multisistemiche che colpiscono prevalentemente il muscolo scheletrico e, in varia misura secondo le forme, quello cardiaco (difetti di conduzione, aritmie, cardiomiopatia dilatativa), il corpo vitreo dell’occhio (cataratta), le ghiandole sessuali (atrofia delle gonadi, sterilità), il sistema endocrino (ipotiroidismo, diabete), il muscolo liscio (disturbi gastrici, stitichezza) e il sistema nervoso centrale (ritardo intellettivo, alterazioni comportamentali).
Finora sono state caratterizzate due forme di distrofia miotonica: la prima, relativamente frequente, con un’incidenza di 1 caso su 10.000 nati vivi, è definita DM1 o distrofia di Steinert ed è causata dal difetto del gene della miotonina proteina kinasi (DMPK), sito sul cromosoma 19q13.3.
La seconda, più rara, è la DM2 o PROMM (PROximal Myotonic Myopathy, miopatia miotonica prossimale), secondaria al difetto del gene della Zinc Finger Protein 9 (ZNF9), codificata dal cromosoma 3q21.
Esiste ancora una terza forma (DM3), che tuttavia non ha ancora una precisa caratterizzazione genetico-molecolare.
Entrambe le forme note sono caratterizzate da un’eccessiva ripetizione (“balbettio”) di una sequenza di nucleotidi (tripletta o quadripletta) che nei soggetti normali si ripete per un limitato numero di volte. In chi manifesta la malattia, queste sequenze di basi (CTG per la DM1 e CCTG per la DM2) possono ripetersi da alcune decine fino a migliaia di volte, compromettendo la funzione del gene.
In genere tanto maggiore è l’espansione di nucleotidi, tanto più grave è l’espressione clinica della malattia. L’espansione può variare nei diversi tessuti di uno stesso individuo e ciò spiega le diverse manifestazioni della patologia.
Distretti muscolari coinvolti
Nella distrofia miotonica di Steinert il coinvolgimento della muscolatura è evidente soprattutto nei distretti distali (avambraccio, mano, gamba e piede) e nei muscoli mimici del volto, con riduzione dei movimenti dell’espressione del viso e abbassamento delle palpebre (ptosi).
Tutta la muscolatura scheletrica è comunque interessata, con debolezza generalizzata e facile affaticabilità.
Nella PROMM, invece, l’interessamento muscolare prevale nei distretti prossimali degli arti (spalle, braccia, bacino e coscia).
Entrambe le forme sono caratterizzate dal cosiddetto fenomeno miotonico.
Il fenomeno miotonico
Con il termine di miotonia o fenomeno miotonico clinico si definisce una contrazione muscolare che persiste anche dopo la cessazione dello stimolo volontario. In altre parole, i muscoli, oltre ad essere più deboli, si rilasciano con difficoltà dopo la contrazione e il paziente fatica a lasciare la presa dopo avere stretto con forza un oggetto.
Tale difficoltà è più evidente “a freddo” e si riduce col ripetersi delle contrazioni. In sostanza è come se il muscolo “non capisse” che il segnale nervoso di attivazione è terminato e che è ora di rilasciarsi.
Il difetto è causato dall’alterazione della permeabilità della membrana allo ione cloro, correlata alla mutazione genetica. Il fenomeno miotonico elettrico è evidenziato dall’esame elettromiografico: all’infissione dell’agoelettrodo nel muscolo, compare una scarica di potenziali d’azione involontari causati dall’ipereccitabilità della membrana.
Ereditarietà e manifestazione
Le distrofie miotoniche sono malattie ereditarie che si trasmettono con meccanismo autosomico dominante: vengono cioè colpiti indistintamente maschi e femmine e ogni figlio di una persona affetta ha un rischio del 50% di essere a sua volta colpito dalla malattia.
L’età di esordio e le manifestazioni cliniche sono molto variabili, a seconda del tipo di alterazione genetica, ma si osservano marcate differenze anche nei singoli individui e nei vari membri di una stessa famiglia.
Per la DM1 esistono forme congenite gravissime, forme infantili gravi e forme dell’adolescenza e dell’adulto, che sono le più comuni. In un nucleo familiare possono anche coesistere forme senza sintomi evidenti (subcliniche).
La DM2, più rara e non ancora completamente definita, ha in genere esordio giovanile o adulto.
Caratteristica delle malattie da espansione è il cosiddetto fenomeno dell’anticipazione: i figli dei soggetti affetti tendono a manifestare la malattia più precocemente e in forma più grave rispetto ai genitori.
I sintomi
Nella DM1 l’esordio della malattia è variabile e può coinvolgere diversi sistemi. Nei casi neonatali il bambino ha gravi problemi motori e respiratori, difficoltà ad alimentarsi e spesso necessita dell’aiuto di un respiratore. Se supera i primi mesi critici, lo sviluppo cognitivo e motorio è comunque significativamente compromesso.
Nei casi infantili vi è un ritardo dell’acquisizione delle capacità motorie (in genere con inizio della deambulazione oltre i due anni) e psichiche (ritardo della parola, alterazioni comportamentali).
Nei casi adulti, il primo segno è in genere la miotonia, evidente soprattutto alle mani: dopo aver afferrato un oggetto, la persona non riesce a lasciare immediatamente la presa. Inoltre possono essere presenti difficoltà a correre, con cadute improvvise e facile stancabilità. In rari casi l’esordio è caratterizzato da disturbi cardiaci e respiratori, soprattutto quando la miotonia è lieve e sottovalutata.
Nella DM2 il fenomeno miotonico può essere solo elettrico e pertanto prevale la debolezza dei muscoli prossimali.
Il decorso
Nella DM1 congenita il neonato – spesso prematuro – è gravemente ipotonico, con importanti difficoltà di suzione e deglutizione, problemi respiratori e talora anche deformità scheletriche (piede equino e varo).
La grave compromissione delle condizioni generali è spesso fatale, in particolare per le complicanze respiratorie. Se si supera questa fase, generalmente l’ipotonia muscolare diminuisce nel tempo e i bambini acquisiscono, seppure in ritardo, le tappe motorie, mentre rimane grave il deficit intellettivo. Quasi sempre la forma congenita è trasmessa dalla madre.
Nella forma infantile i sintomi sono ipotonia, debolezza della muscolatura mimica facciale e deficit cognitivo, mentre il decorso è simile a quello delle forme adolescenziali e adulte. In queste ultime gli aspetti salienti sono il coinvolgimento multisistemico, il lento progredire del coinvolgimento muscolare scheletrico e la variabile compromissione delle capacità cognitive.
Molto importanti sono le complicazioni cardiache: generalmente, infatti, il decesso avviene per arresto cardiaco improvviso o per scompenso cardiaco grave.
Gli esami necessari
Per una corretta diagnosi di distrofia mitonica sono importanti un’accurata valutazione clinica neurologica, con la raccolta dei dati della storia familiare e l’esame obiettivo; quindi si procede all’esame elettromiografico e all’indagine genetica sul DNA estratto dai linfociti del sangue.
La biopsia muscolare è utile nella PROMM, mentre per la distrofia miotonica di Steinert non è di per sé necessaria per la diagnosi.
Per quanto poi riguarda la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale, essa è possibile quando uno dei genitori è affetto dalla malattia. In tal caso si effettua un prelievo di villi coriali (frammenti di tessuto destinato a diventare placenta) alla decima-undicesima settimana di gravidanza.
Tale indagine evidenzia la presenza dell’anomala espansione di nucleotidi nel feto, con risultati affidabili che permettono di dire se il bimbo sarà affetto o no. Valutando poi l’entità dell’espansione, si possono avere anche indicazioni generali sulla gravità clinica. E tuttavia, poiché l’espansione è diversa nei vari tessuti, si tratta di un dato che non permette previsioni certe in questo senso.
Trattamenti
Ad oggi non esiste una terapia risolutiva per queste malattie. E tuttavia si può intervenire in vario modo – con terapie cardiologiche, endocrinologiche, respiratorie, ortopediche, fisiatriche, foniatriche e dietologiche – al fine di controllare e prevenire i singoli problemi.
Il fenomeno miotonico, quando significativamente invalidante, può migliorare con l’uso di farmaci come il chinino, la difenilidantoina oppure antiaritmici come la procainamide e la mexiletina; e tuttavia, poiché questi farmaci possono produrre effetti collaterali, l’opportunità di impiego va valutata caso per caso in relazione all’effettiva gravità del fenomeno miotonico.
A livello cardiologico, si utilizzano farmaci antiaritmici, inotropi, antipertensivi e diuretici; la cataratta può essere rimossa con un semplice intervento chirurgico.
L’alimentazione va curata al fine di evitare sovraccarichi ponderali; non è controindicata una regolare attività fisica, ma non dev’essere affaticante. Infine è indicata la terapia ventilatoria di supporto, quando compaiono aumenti dell’anidride carbonica e ipossia diurne e/o notturne per ridotta forza dei muscoli respiratori.
Come seguire i pazienti nel tempo
Chi è colpito da distrofia miotonica e non ha complicazioni significative deve sottoporsi a controlli annuali neurologici e cardiologici, con visita specialistica, elettrocardiogramma, ECG Holter ed ecocardiogramma.
Per chi ha disturbi del ritmo cardiaco o della conduzione, è indicato il posizionamento di un pace-maker o di un defibrillatore intracardiaco.
Indispensabili sono i controlli della funzionalità respiratoria in veglia (spirometria, meccanica respiratoria) e durante il sonno (saturimetria notturna, poligrafia). Nel sonno, infatti, possono verificarsi apnee tali da richiedere l’impiego di ventilazione meccanica notturna.
Sono inoltre necessarie la valutazione oculistica ed endocrinologica, con un periodico profilo glicemico e controllo degli ormoni tiroidei. In molti casi è utile un supporto psicologico, anche per la famiglia.
In conclusione è opportuno sottolineare che se in famiglia sono stati diagnosticati casi di distrofia miotonica (sia DM1 che DM2), anche se non si ha alcun disturbo, è importante eseguire una visita neurologica presso un centro specializzato.
Il neurologo deciderà nei singoli casi se eseguire o meno test più approfonditi (EMG, analisi del DNA). In ogni caso è importante effettuare questo controllo prima di iniziare una gravidanza, sia per le donne che per gli uomini.
*Centro Malattie Neuromuscolari “Paolo Peirolo”, Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino. Presidente della Commissione Medico-Scientifica Nazionale UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).