I diritti non sono più da rivendicare, ora dobbiamo applicarli!

a cura di Giuliano Giovinazzo
Lo si è detto a Roma, all'interno della manifestazione Forum PA, nel corso di un convegno organizzato dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) e interamente dedicato alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per la cui ratifica la Federazione sta attuando una forte attività di sensibilizzazione nei confronti di tutte le forze politiche

Con il convegno organizzato il 14 marzo a Roma, nell’ambito delle iniziative promosse all’interno della diciannovesima edizione del Forum PA [ne abbiamo riferito in sede di presentazione con il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.], la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), a pochi giorni dall’entrata in vigore della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, è tornata a ribadire come questo trattato rappresenti il baluardo delle politiche che la Federazione sta sviluppando a livello nazionale e internazionale.
Il presidente della FISH Pietro Barbieri all'ONU, durante i lavori preparatori della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità«La nostra strategia in questo momento è chiara – ha dichiarato in tal senso il presidente della FISH Pietro Barbieri – e punta alla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione, ciò su cui è in atto una forte attività di sensibilizzazione nei confronti di tutte le forze politiche».

La Convenzione ha creato – come spesso si è ricordato sulle pagine di Superando.it – un cambiamento sostanziale per 650 milioni di persone con disabilità i quali hanno oggi a disposizione un trattato che rappresenta il massimo riconoscimento dei diritti a livello internazionale.
«In questo quadro, che ha visto una modificazione tanto sostanziale – ha sottolineato Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) – dobbiamo pensare che i diritti non sono più da rivendicare, ma che dobbiamo applicarli». Serve dunque un cambiamento di approccio che dovrà necessariamente tenere conto della rapidità del processo che ha portato all’approvazione di questo storico testo.
«Dal 1971 ad oggi – ha aggiunto Griffo – vale a dire in circa trentacinque anni, siamo riusciti a cambiare il quadro di riferimento internazionale e dobbiamo far sì che questa rapidità ci sia anche a livello nazionale e che le nuove impostazioni legate alla disabilità diventino un patrimonio delle nostre istituzioni, sia a livello centrale che territoriale».

Evidente, a questo punto, che quando si parla di analisi del “quadro dei diritti umani”, ciò significa ragionare sui cosiddetti “trattamenti differenti senza giustificazione”. Su questo la Convenzione ha identificato due aree di attività: quella della parificazione, cioè della parità di trattamento e quella della rimozione delle discriminazioni.
Giampiero Griffo ha fatto parte della Delegazione Italiana all'ONU che ha contribuito alla definizione della Convenzione«Se andiamo a valutare queste due aree rispetto alla situazione italiana – ha sottolineato ancora Griffo – è chiaro che esse debbano essere ben rimeditate». E innanzitutto il primo problema è quello di far capire in particolare agli operatori, alle istituzioni, a coloro che agiscono nei vari settori che ogni trattamento differente senza giustificazione è una violazione dei diritti umani.
«Per le persone con disabilità – secondo Griffo – si tratta di una condizione quasi ordinaria; la nuova impostazione dovrà dunque avere al centro i due elementi di aiuto che la Convenzione può dare: il principio di discriminazione sulla base della disabilità (che ha un ambito vastissimo) e l’affermazione che un rifiuto di accomodamento ragionevole equivale ugualmente a una discriminazione».

Altro elemento di grande interesse del contributo portato da Griffo durante il convegno ha riguardato il rapporto tra la povertà e la disabilità.
«La disabilità – ha spiegato – è causa ed effetto di povertà. Causa per una ragione evidente, se si pensa alle economie povere, ma nello stesso tempo siamo anche soggetti all’impoverimento sociale e la Convenzione coglie questo aspetto. Se mettiamo insieme povertà economica e povertà derivata dall’impoverimento sociale (ovvero il mancato accesso ai diritti, ai beni e ai servizi), scopriamo che questo conduce all’esclusione sociale. La consapevolezza fondamentale è che la povertà non è solo nostra, ma è della società, e quest’ultima, non occupandosi di noi, si è impoverita, riducendo le proprie competenze e anche le soluzioni».
Pensando ad esempio ai quattro principi della Vita Indipendenteautonomia, autodeterminazione, indipendenza e interindipendenza – essi dovranno coniugarsi all’interno di un concetto nuovo, che è quello di empowerment (letteralmente “rafforzamento”) e anche in questo senso la Convenzione è molto chiara: le persone impoverite e la società impoverita devono essere rafforzate nelle proprie capacità.

Successivamente Valentina Della Fina, ricercatrice dell’Istituto di Studi Giuridici Internazionali del CNR, ha introdotto un progetto dell’ex Ministero della Solidarietà Sociale, riguardante le modifiche legislative che il nostro Paese dovrebbe adottare in seguito alla ratifica della Convenzione e del Protocollo Opzionale ad essa allegato.
Un'immagine del convegno di Roma, promosso dalla FISH il 14 maggioTale studio si occupa delle ricadute sul sistema nazionale – sia a livello centrale che territoriale – derivanti appunto dalla ratifica, coinvolgendo ricercatori del CNR dell’Università La Sapienza di Roma. I lavori sono iniziati alcuni mesi mesi fa e porteranno ad un rapporto finale in cui verrà elaborato un modello di attuazione della Convenzione nel nostro ordinamento, indicando quindi le lacune presenti nel sistema normativo italiano e le modifiche necessarie a livello interno per dare attuazione al trattato.

«L’assunto da cui bisogna partire – ha dichiarato Della Fina – è che le Convenzioni Internazionali sono dei trattati che devono essere recepiti sul piano interno e una volta ratificati, comportano ovviamente per lo Stato che ha compiuto questo passo una serie di obblighi di esecuzione e di adattamenti a livello interno. Normalmente, soprattutto per i trattati sui diritti umani, gli Stati hanno l’obbligo di porre in essere un’attività legislativa di modifica dell’ordinamento esistente, proprio per dare attuazione sul piano interno agli obblighi internazionali. Talvolta ci sono degli obblighi di risultato e anche questi devono essere garantiti sul piano interno».
Va detto che per quanto riguarda l’Italia, a differenza di altri Paesi, non c’è una norma generale che consenta di recepire i trattati internazionali; abbiamo infatti l’articolo 10, primo comma della Costituzione, secondo il quale «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», ma esso non si occupa specificamente dei trattati internazionali.
«L’adattamento dell’ordinamento italiano ai trattati internazionali – ha speigato Della Fina – avviene secondo due sistemi: o il procedimento ordinario o il procedimento speciale dell’ordine di esecuzione. Il primo comporta una riformulazione delle norme del trattato internazionale da parte del Legislatore, mentre il secondo, che è quello normalmente adottato, è praticamente una legge ordinaria che contiene la formula denominata Piena e intera esecuzione, cui segue il testo del trattato. In tal modo, non vi è alcuna riformulazione delle norme internazionali da parte del Legislatore, ma si rinvia direttamente al testo del trattato stesso».

Nell’ambito di questo studio, ciascun ricercatore sta esaminando un gruppo di disposizioni che sono state suddivise su vari temi, quali Diritti civili e politici, Diritti sociali e culturali, Gruppi svantaggiati come donne e bambini con disabilità e così via. «Degli articoli – ha continuato Della Fina – si valuta la portata della norma dal punto di vista giuridico, si individuano i princìpi generali, ma anche gli obblighi specifici dello Stato che la ratificherà e tutto ciò avviene con l’ausilio degli stessi lavori preparatori della Convenzione, oltre che della legislazione di riferimento, internazionale ed europea».

La produzione dei risultati finali del lavoro è prevista intorno al prossimo mese di settembre, dopo che saranno stati individuati i vari punti, sia sul piano nazionale che su quello regionale.
«Da questo esame abbastanza complesso – ha concluso Della Fina – dovrà dunque valutarsi se l’ordine di esecuzione sarà uno strumento sufficiente per realizzare il pieno adattamento della Convenzione o se esso dovrà invece essere accompagnato da un adattamento tramite procedimento ordinario».
In realtà, al momento, la conclusione più probabile è che il citato ordine di esecuzione non basterà da solo a consentire la piena integrazione nel nostro ordinamento e che si dovrà quindi valutare la necessità di una normativa integrativa.

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