Finalmente – e mi riferisco ai recenti interventi di Mario Caldora e Giorgio Genta, pubblicati da questo sito [rispettivamente Discutere ancora, per SUPERARE e Una sintesi (im)possibile, disponibili cliccando qui e qui, N.d.R.] – qualcuno prova a marcare quelle differenze che probabilmente sono state finora sottovalutate perfino da noi, disabili, all’interno del mondo della disabilità!
Sono il padre di Antonio, da due anni in coma vigile per un incidente stradale. La nostra cronaca, sempre molto solerte nel fornire la più ampia e documentata informazione possibile riguardo a incidenti, errori di malasanità e tutti quegli sciagurati accidenti che possono provocare gravissime disabilità, ancora non riesce a mettere bene in evidenza gli esiti e le difficoltà che seguono a questi drammatici eventi.
Antonio (e la nostra famiglia con lui), oltre al malaugurato incidente, ha avuto anche la sventura di essere nato in una regione [la Campania, N.d.R.] in cui il riconoscimento dei diritti più elementari dev’essere sempre conquistato attraverso il rituale “incatenamento”, le battaglie legali o – peggio ancora – il baratto di favoritismi e raccomandazioni.
Personalmente credo che sia di fondamentale importanza delineare correttamente i confini della disabilità gravissima perché è il primo passo per un’analisi che deve portare poi all’elaborazione dei veri bisogni e degli interventi da mettere in campo per sostenere il disabile e la famiglia di appartenenza (quando c’è).
Le nostre istanze per l’ottenimento del più elementare bisogno, un servizio di assistenza domiciliare socio-sanitaria all’altezza di quella che – proprio con un eufemismo – possiamo definire una situazione gravissima, sono rimaste al momento ancora inevase (se non addirittura ignorate).
Quando sono riuscito per la prima volta a raccontare la vicenda di Antonio, la criticità della sua esistenza, le difficoltà del quotidiano e lo stravolgimento della nostra famiglia, ad un pubblico di disabili e non, ho suscitato sgomento e una silenziosa attenzione, ma soprattutto si è materializzata la sincera comprensione dei disabili gravi (quelli in carrozzina, per capirci).
In quel momento ho pensato che sarei stato un padre felice potendo vedere il mio Antonio su una carrozzina, impegnato a lottare per la realizzazione del sogno di una vita indipendente.
Il nostro dovere di tutori, ancorché genitori, di una persona che non può più scegliere, decidere ed esprimersi ci obbliga prioritariamente ad esplorare e a percorrere tutte le strade possibili per sostenere il suo diritto ad un’esistenza dignitosa che non gli precluda – anche attraverso la piena attivazione delle terapie più evolute – la più fievole possibilità di pervenire ad un risveglio.
La nostra – come tante altre – è una di quelle situazioni che sicuramente marcano “una certa differenza” tra disabilità gravissima e disabilità grave.
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