Sta facendo discutere l’autorizzazione al matrimonio religioso negata nei giorni scorsi ad un giovane paraplegico, da parte del vescovo di Viterbo Lorenzo Chiarinelli, per «impotenza copulativa», definita come «incapacità a procreare», causata dalle gravi lesioni riportate in un incidente stradale.
Le nozze sono state quindi celebrate con rito civile all’interno del CTO di Roma, dove la persona è tuttora ricoverata, alla presenza anche del parroco della chiesa in cui avrebbe dovuto tenersi la cerimonia.
«I termini della questione – secondo una nota ufficiale diffusa dalla Curia di Viterbo – non sono quelli raccontati in questi giorni dagli organi d’informazione: a chi di dovere, infatti, sono state offerte tutte le motivazioni di una realtà che non dipende né dalla discrezionalità né dall’intenzionalità dei soggetti. Tutto, quindi, è stato fatto nella condivisione sincera della situazione e con ogni attenzione umana e cristiana, dal momento che per noi il precetto d’amore di Cristo è sempre norma di vita, nell’ordinario e nello straordinario».
Il diniego, come si può leggere ancora nella nota della Curia viterbese, non è dunque «soggetto a discrezionalità o intenzionalità», ma «imposto dal diritto canonico».
Il vescovo Lorenzo Chiarinelli ha confermato dal canto suo che «non avrebbe potuto comportarsi in modo diverso da quanto ha fatto», sottolineando anche «la propria amarezza per il modo inadeguato e pretestuoso in cui è stata presentata la vicenda, ciò che non fa che aumentare la solidarietà affettuosa per chi è in sofferenza e ricordare che “la verità vi farà liberi”».
Ben lungi da noi la volontà di presentare a nostra volta i fatti «in modo inadeguato e pretestuoso», apriamo sin d’ora le nostre pagine ad ogni motivata opinione sulla vicenda che riceveremo, dovendo per altro ricordare come da alcune parti sia già stata espressa l’obiezione che l’affermata «impotenza copulativa», o in parole più semplici l’incapacità di avere rapporti sessuali, non necessariamente coinciderebbe con l’impossibilità di procreare.
Per incominciare abbiamo scelto di dare spazio – come primo spunto di riflessione – ad una voce critica sulla decisione di monsignor Chiarinelli, rivolta direttamente a quest’ultimo da Marina Cometto, presidente dell’Associazione x disabili gravissimi “Claudia Bottigelli”. (S.B.).
«Sono la mamma di una persona con disabilità e ho appreso dai giornali la triste vicenda relativa al Suo rifiuto di celebrare il matrimonio tra un ragazzo divenuto paraplegico dopo un incidente e la fidanzata determinata a far fede alla promessa d’amore fatta precedentemente all’evento che ha sconvolto la loro vita.
Ho letto anche il comunicato della Curia di Viterbo, in cui si spiega che i fatti non si sono svolti come raccontati dai media. Ciò non toglie, però, che – anche se comprese nel Codice del Diritto Canonico – certe regole siano inique, vessatorie e umanamente sorpassate e incomprensibili.
Certe rigidità sarebbero comprensibili se il comportamento dei singoli portasse a conseguenze negative per altri, ma in questo caso mi sembra che nessuno potesse essere danneggiato. Credo infatti che l’amore di due giovani che ha resistito alla difficoltà e alla tragedia abbia il diritto di essere ufficializzato anche davanti a Dio, se questo era un loro desiderio, e non credo siano le “leggi degli uomini” (perché il diritto canonico è stato stilato da uomini) a poter decidere questo. Il Codice di Diritto Canonico si può infatti cambiare, se ne vengono considerati attentamente i limiti, ed è un limite non considerare la possibilità che la malattia possa impedire ciò che la Chiesa ritiene invece di privilegiare, ovvero la procreazione.
In tal modo, quindi, si sono puniti due giovani per qualcosa di cui non hanno né colpe né responsabilità.
La Chiesa, Monsignor Chiarinelli, perdona gli assassini, gli stupratori, i pedofili, i dittatori, tutti, insomma, ma di fronte al dolore umano incolpevole, penalizza e “alza un muro”, niente più compassione, diritti, comprensione e ammirazione per una decisione coraggiosa.
Ci sono coppie credenti che decidono fin dal matrimonio di non avere figli, ma questo “non si vede” esteriormente e perciò il matrimonio religioso è loro permesso; ci sono poi coppie che decidono di non consumare il matrimonio e come sopra nessuno ha nulla da ridire. Invece, nel caso in questione, non si poteva nascondere un limite alla procreazione (che per altro, secondo alcuni, resta tutto da verificare) e allora già sei distrutto per quanto successo e chi dovrebbe sostenerti almeno moralmente ti affossa ancora di più…
All’unione di questo ragazzo che ancora dovrà subire molte difficoltà per la sua nuova condizione di vita, a questa ragazza che ha deciso comunque di dividere la vita con l’uomo che il Signore le ha posto accanto, è stata negata la benedizione; poco importa se loro hanno capito e hanno subìto la decisione, un’ingiustizia è stata fatta.
Mi dispiace molto, Monsignore, per i due ragazzi, ma molto di più per dover constatare ancora una volta che la misericordia è sempre disattesa proprio da chi dovrebbe farne la propria bandiera e non solo a parole».
Quel matrimonio religioso negato
Fa discutere la vicenda dei giorni scorsi riguardante il matrimonio religioso negato dal vescovo di Viterbo ad un giovane paraplegico, a causa della sua “incapacità a procreare”, provocata dalle gravi lesioni riportate in un recente incidente stradale. Un tema quanto mai complesso e delicato sul quale riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata allo stesso vescovo dalla madre di una persona con grave disabilità, aprendo le nostre pagine ad ogni altra opinione motivata sulla questione