Tra il mese di settembre del 2005 e il marzo del 2008 il gruppo di ricerca Violence Against Women dell’Università di Bristol e il Centre for the Study of Safety and Well-being dell’Università di Warwick hanno condotto in Inghilterra una ricerca sulla violenza domestica nei confronti delle donne con disabilità.
Per il loro lavoro hanno fatto riferimento all’organizzazione non profit Women’s Aid. Il finanziamento è stato offerto dalla Big Lottery Fund, incaricata di gestire i fondi della lotteria nazionale inglese destinati alle cause sociali.
Lo studio, in particolare, si è interrogato non solo sull’esistenza della violenza domestica nei confronti delle donne con disabilità fisica o sensoriale, ma ha anche indagato i bisogni di chi ha subìto abusi, verificando la qualità delle risposte normative e sociali già esistenti.
Nella seconda parte, poi, vengono messi a fuoco alcuni esempi di buone prassi ed esposte delle raccomandazioni per lo sviluppo di politiche sociali dedicate e di servizi sociali in grado di affrontare la complessità del problema.
Lo studio è fondato sul modello sociale di disabilità secondo cui quest’ultima esiste in quanto creata socialmente, così come le barriere esistono a causa dell’incapacità della società di considerare i bisogni delle persone con disabilità: è tale incapacità, in altre parole, a provocare la disabilità e non la menomazione fisica in sé.
Riferendosi dunque a ricerche precedenti e sottolineando, per inciso, che si tratta di un numero esiguo di contributi, gli studiosi indicano un primo dato: le donne con disabilità risultano più esposte alla violenza domestica di quelle che non lo sono e in particolare all’abuso sessuale.
Non solo. La condizione di disabilità viene spesso utilizzata da chi commette abusi per rafforzare il proprio “potere” e per accentuare lo stato di vulnerabilità e di isolamento della donna, anche attraverso meccanismi di umiliazione. Molti, infatti, rafforzano deliberatamente la dipendenza della donna, in modo tale da affermare e mantenere il controllo su di lei. Per quest’ultima, inoltre, la disabilità è anche causa di una maggiore gravità della violenza subìta perché limita (in misura diversa a seconda dei casi) la capacità di difendersi, scappare od opporsi in altro modo.
Le risposte delle donne intervistate descrivono una realtà in cui l’abuso viene spesso ripetuto in modo continuativo ad opera dei loro partner o di altri familiari, oppure da parte degli assistenti personali, di coloro cioè che hanno l’incarico di prendersi cura di loro e che – trovandosi di prassi a maneggiarne il denaro – compiono anche reati di tipo finanziario.
Nonostante poi solo una minoranza delle donne appartenenti al campione studiato accusi i propri assistenti, risulta invece che questo fenomeno esista, sia consistente e, soprattutto, molte volte non venga riconosciuto. Quando le donne confidano di averlo subìto, infatti, spesso non vengono credute, oppure vengono fatte sentire colpevoli, ingrate, incapaci di mantenere una relazione.
L’abuso, infine, sembra diventare particolarmente acuto se il partner che lo attua è anche colui che si prende cura della donna.
Per quanto poi riguarda le risposte normative e sociali a questi fenomeni, secondo la ricerca inglese esse risultano in generale inadeguate. Le donne intervistate raccontano di avere sperimentato stati di depressione, perdita di autostima, disturbi del sonno e dell’alimentazione e di avere sviluppato un’incapacità di fidarsi degli altri. Dalll’indagine risulta inoltre – come in parte già anticipato – che per le donne è difficile chiedere aiuto. C’è infatti una tendenza a non riconoscere di subire l’abuso e a biasimare se stesse. Spesso la reticenza è anche legata all’attaccamento all’abitazione, specie quando adattata ad esigenze particolari, con il timore di “essere istituzionalizzate” o spostate in un altro alloggio non adattato. Talvolta, poi, la paura è quella di essere allontanate dai figli.
Più in generale, manca la fiducia nelle agenzie preposte e gli stessi operatori sembrano evitare l’argomento o comunque non indagare a sufficienza con domande dirette, senza dimenticare che a volte le agenzie stesse sono irraggiungibili, in quanto collocate in edifici con barriere architettoniche.
Un’ultimo dato che qui segnaliamo – rimandando gli interessati alla lettura completa dello studio, non ancora tradotto in italiano – è che su tutte le donne più riluttanti a denunciare l’abuso risultano essere quelle di colore, di origine asiatica, lesbiche, o prive di un’assistenza economica statale.
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