Se chiudo gli occhi vedo ancora la skyline di New York giù in basso, grattacieli di Lego se osservati da qui, piano 106 delle Torri Gemelle, prima di Ground Zero. O sento il calore del sole, mentre in sottofondo il “salsa” mi dondola sulla barca che mi sta depositando a Serena City, piccola baia delle Bahamas, durante una crociera. Oppure mi trovo ancora immerso nei colori degli impressionisti, alla Gare d’Orsay, in una Parigi sempre nuova e accogliente.
Frammenti di ricordi e di emozioni di un viaggiatore a rotelle come me, 55 anni di onorata presenza su una carrozzina, senza che “lei” mi abbia trattenuto, mi abbia scoraggiato.
Avete capito subito che viaggiare, per una persona con disabilità, è molto più che “muoversi”: è sfidare il tempo e lo spazio, è riprendersi la vita, è mettersi in gioco, è divertirsi, è scoprire il mondo senza rinunciare alla propria dimensione, a quel punto di osservazione a un metro di altezza che rende tutto speciale, ironico, leggero. Se si vuole, si può.
Eppure da qualche tempo viaggio assai meno. Perché? Semplice. Molti servizi, invece di migliorare, sono peggiorati. Salire e scendere da un aereo, ad esempio. L’assistenza negli aeroporti è peggiore di vent’anni fa, le regole sulla sicurezza fanno sì che alle persone disabili vengano assegnati posti scomodi, fra mille peripezie, in mano a operatori spesso maldestri, non per colpa loro, ma perché male informati e per niente formati.
Trovare notizie attendibili sulle destinazioni è un terno al lotto. La “caccia al cliente in più” ha fatto sì che quasi tutti gli alberghi, i villaggi, i luoghi di divertimento, gli impianti balneari, si dichiarino “accessibili”. Ma la realtà, troppo spesso, è un’altra, insisidiosa e densa di barriere grandi e piccole (avete mai pensato a quale ostacolo per una sedia a rotelle, ma anche per un passeggino, sia la ghiaia di un parcheggio o il pavé di una strada?).
Dopo tanti anni durante i quali le associazioni delle persone disabili si sono date da fare, collaborando a iniziative di raccolta di informazioni, promuovendo gratuitamente una cultura dell’accessibilità, creando sportelli, pubblicando piccole guide, realizzando siti internet faticosi da mantenere e da aggiornare, nulla di tutto questo è diventato “sistema”. Nessun governo ha mai cercato veramente di valorizzare questa grande risorsa che è l’industria turistica, puntando non solo ad una generica offerta, ma scegliendo con convinzione l’accoglienza per tutti come un valore irrinunciabile.
Mi sembra assurdo che questo non sia “un paese per vecchi”. Possibile che la miopia industriale sia tale da non vedere come nei prossimi anni almeno il 30 per cento del potenziale flusso turistico sarà rappresentato dagli “over 70”? Tutte persone dinamiche e attive, certo, ma piene di acciacchi, dalla camminata lenta, dalla pancia a volte debordante, dalla vista appannata, dall’udito ridotto? Non necessariamente in sedia a rotelle, ma magari persone che si muoverebbero più volentieri se trovassero sul lungomare uno scooter elettrico, nell’albergo un ascensore degno di questo nome e nel bagno spazio per girarsi senza trattenere il fiato…
E così, deluso e irritato, mi dedico ai viaggi virtuali, mi sdraio sulla fibra ottica, prendo il sole con le lampade. Sono diventato un disabile “cyber viaggiatore”. Costa anche meno. Ma è una sconfitta. E non mi diverto più.
*Direttore responsabile di Superando.it. Testo già apparso sul «Corriere della Sera» del 13 luglio 2008 e qui ripreso per gentile concessione.
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