Credo che la domanda presente nel titolo dovrà essere rivolta, in modo sempre più determinato, agli autorevoli rappresentanti del Governo ed è una domanda che nasconde una terribile contraddizione dell’istituzione scolastica, resa evidente dalle centinaia di ordinanze che la Magistratura ha emesso in questi anni.
Appare infatti incredibile come la possibilità di frequentare la scuola per un alunno disabile sia garantita dal ricorso sistematico alla giustizia da parte dei suoi genitori né deve sorprendere il fatto che in questi anni le competenze siano state prima delle Procure, poi dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), sino a giungere dinanzi al Consiglio di Stato e che le decisioni di giudici diversi per uffici e mansioni siano state identiche nel garantire per i bambini disabili la frequenza nella scuola pubblica con gli insegnanti di sostegno.
La scuola dell’integrazione richiede per i bambini disabili tempi adeguati e professionalità, ma la scuola italiana non prevede per i bambini disabili queste condizioni.
Negli ultimi anni le linee guida che hanno visto impegnati i tecnici del Ministero dell’Economia e dell’Istruzione si sono sviluppate intorno all’obiettivo di razionalizzare i costi. Questo sforzo – apprezzabile e condivisibile in un Paese che paga interessi sul debito pubblico pari ad oltre 70 miliardi di euro all’anno – si è concretizzato nella ridefinizione del rapporto alunni-professori, considerato troppo alto per il nostro Paese.
Va detto poi che da più parti si sollevano legittime lamentele sull’efficacia del nostro modello scuola, tirando in ballo anche i dati dell’OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, N.d.R.], per affermare lo stato di profondo disagio degli studenti italiani. E tutti sono concordi, dai sindacati ai partiti politici, nel ritenere la scuola un settore in difficoltà.
La soluzione che però si palesa oggi non appare all’altezza del problema. Se infatti la preoccupazione del governo è quella di rilanciare la crescita delle energie culturali dell’intero Paese, bisognerà partire dal considerare il Mezzogiorno – e la città di Napoli è un esempio paradigmatico, con la più alta percentuale di giovani tra tutte le metropoli italiane – come quella parte del Paese che per motivi demografici e socioeconomici ha il maggiore bisogno di “credere” nella scuola.
Il rischio, invece, è quello di creare in modo strisciante un modello scolastico che viaggia, per usare una metafora automobilistica, su un prototipo di Formula Uno nel Centro-Nord e su una piccola utilitaria usata al Sud.
Infatti, il rischio – nel passaggio da un modello statale puro e improduttivo ad una riforma federalista dettata dagli umori della Lega Nord di Bossi – è quello di ritrovarsi in pochi anni con strutture scolastiche che mostrino disomogeneità profonde lungo la penisola.
In questo contesto socioeconomico e culturale, la disabilità diviene sempre più un elemento di “disturbo”, un’esperienza da liquidare lentamente con mirati accorgimenti legislativi. Fissare un tetto massimo di insegnanti di sostegno indipendente dal numero degli alunni – come fece il Governo Prodi nella sua ultima Finanziaria – è stato un esempio illuminante: come se i bambini disabili potessero autoregolamentare le proprie nascite!
Continuare poi a non prevedere per gli insegnanti curricolari “obbligatoriamente” corsi di formazione è un’altra di quelle scelte che pesano come macigni sul futuro della scuola dell’integrazione.
Anche questo – ma diremmo soprattutto questo – è il campo sul quale vince o soccombe l’idea della scuola con i disabili: la formazione e l’aggiornamento dei principali attori dell’integrazione, gli insegnanti, dovrebbe rappresentare lo spartiacque tra le politiche del passato e una scuola che considera la disabilità come una risorsa da valorizzare e non come un costo da contenere.
Se i bambini disabili andranno ancora a scuola: ritorna dunque, con efficacia ancor maggiore, l’interrogativo del titolo. Non è interessante replicare al “delirio razziale” di chi considera gli insegnanti meridionali una “piaga da evitare”, sarebbe invece illuminante, forse, conoscere il suo pensiero sugli alunni disabili! Ci interessa infatti confrontarci con il governo sui problemi concreti, incalzare il ministro di interrogativi sull’organizzazione del tempo scuola per i disabili, in vista del prossimo anno scolastico.
Sappiamo altresì quanto sia faticosa l’esperienza della scuola per un bambino disabile che vede crescere il numero di alunni nella sua classe, ridurre le ore di sostegno specializzato, interagire con insegnanti demotivati soprattutto perché non qualificati.
Da tempo si invoca la presenza dei volontari a fianco dei disabili nelle scuole, ciò che è discutibile sotto diversi profili, il più eclatante dei quali quello rappresentato dal rispetto del PEI (Piano Educativo Individualizzato) dei bambini disabili che devono essere accompagnati da operatori qualificati e non da volonterosi “intrusi”.
Quello che ci sgomenta è lo scadimento del livello offerto da alcuni membri dell’attuale maggioranza di governo: la scuola avrebbe bisogno di consigli e attenzioni molto più serie che quelle della ricerca della carta d’identità degli insegnanti. Parimenti, ciò di cui avrebbe senza dubbio bisogno un governo autorevole è di ministri e leader qualificati, intelligenti ed educati.
Con tutta evidenza ci sembra che queste qualità siano appannaggio solo di casi sporadici nel Governo Berlusconi e questo è un vero peccato per tutti i cittadini italiani.
A parer nostro, dunque, l’alternativa che si profila all’orizzonte per gli alunni disabili è con tutta evidenza il ripristino delle classi differenziali, ciò che garantirebbe da subito un risparmio nella spesa corrente del Ministero dell’Istruzione di almeno 600 milioni di euro all’anno, risparmio ovviamente incrementabile negli anni successivi, con la progressiva formazione di classi composte da almeno dieci alunni disabili che richiederebbero risorse economiche enormemente inferiori a quelle attuali.
Il ritorno delle classi differenziali ci sembra quindi lo scenario che si sta delineando, se non si leveranno dai partiti di opposizione, dai sindacati, dalla società civile e della Chiesa voci profondamente dissonanti.
Speriamo che questo accada nell’interesse non solo dei nostri figli disabili. ma per tutti i bambini della scuola italiana che hanno tanto bisogno di crescere con i loro fratelli più deboli.
*Associazione Tutti a Scuola. Testo già pubblicato sulle pagine di Napoli del quotidiano «la Repubblica» e qui riproposto per gentile concessione.
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