Una piccola vicenda di vita quotidiana come cartina di tornasole sull’effettiva percezione sociale delle persone con disabilità. Le idee implicite, infatti, determinano i comportamenti sociali, molto più di quello che si tenta di comunicare in qualche trito discorso politicamente corretto, cosicché gli apprendimenti più duraturi e più tenaci sono quelli che derivano da tante piccole allusioni di vita quotidiana.
Avendo dunque deciso di trascorrere un periodo della mia vita “da riccia”, ho acquistato un comune asciugacapelli con diffusore. All’interno della confezione, tra gli accessori, nell’opuscolo delle istruzioni d’uso, ho trovato queste strabilianti parole: «Quest’apparecchio non deve essere usato da persone (compresi i bambini) le cui capacità fisiche, sensoriali o mentali sono ridotte, o da persone prive di esperienza o di conoscenza, tranne se hanno potuto beneficiare, tramite una persona responsabile della loro sicurezza, di una sorveglianza o di istruzioni preliminari relative all’uso dell’apparecchio».
Certamente le persone con disabilità non vengono danneggiate direttamente da queste avvertenze, anche un po’ ridicole, giacché si tratta di un apparecchio di comune commercio, per il cui possesso e relativo utilizzo esse non subiscono alcuna restrizione concreta. Infatti, chi ha scritto quelle istruzioni (la nota azienda di elettrodomestici Rowenta) non ha facoltà di stabilire cosa possano o non possano acquistare e utilizzare le persone con disabilità.
E nonostante ciò, si tratta senz’altro di un altro mattoncino sul muro della discriminazione, perché l’immagine sociale contribuisce sempre al significato delle cose.
Non le persone con disabilità, infatti, o chi le conosce bene, ma tutti gli altri, leggendo quelle righe, quale altro suggestivo tassello di disinformazione possono aggiungere? In uno scenario nel quale si intravede persino che le persone con disabilità hanno un “responsabile della loro sicurezza”, come se non fossero liberamente e pienamente responsabili…
Ancor più grave, poi, credo sia la commistione che si compie fra la condizione di bambino – potenzialmente bisognoso di tutela e sorveglianza e del quale esiste sempre un adulto ad occuparsene e a rispondere per lui – e quella di persona con ridotte capacità fisiche o sensoriali.
L’infantilizzazione della persona con disabilità, infatti, rappresenta per me il contraltare della “magnificazione eroica”, in questa oscillante e continua deformazione nell’immaginario collettivo: la percezione sociale sembra sempre alternarsi irrealisticamentte tra il disabile superuomo e quel poveretto da tutelare…
Penso quindi che indirettamente quelle righe creino un danno alle persone con disabilità, sia per l’incultura che rappresentano, sia perché, perdonatemi, non vorrei mai fare l’abitudine a leggere queste cose. Anzi, che ne dite se per i miei capelli ricomincio ad usare la piastra?
*Psicologa, psicoterapeuta.
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