«La bozza della Direttiva sulla non discriminazione al di fuori dell’ambito lavorativo diffusa dalla Commissione Europea fallisce nel suo intento di proteggere le persone con disabilità».
Come anticipato qualche tempo fa sul nostro stesso sito (si legga a tal proposito il testo intitolato Una Direttiva che non tutela, disponibile cliccando qui), questo era stato il duro giudizio espresso da Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF (European Disability Forum), a seguito dell’adozione da parte della Commissione Europea di un testo provvisorio sulla non discriminazione che aveva del tutto disatteso le aspettative delle organizzazioni di persone con disabilità europee.
Per cercare di capire più nel dettaglio, però, sia i motivi alla base di questa delusione sia in quale contesto si inserisca il confronto, abbiamo intervistato il direttore dello stesso European Disability Forum, Carlotta Besozzi, che da molti anni si occupa della tutela e della difesa dei diritti delle persone con disabilità.
L’EDF, nei mesi scorsi, per dare un contributo concreto alla stesura di una Direttiva specifica sulla non discriminazione sulla base della disabilità, aveva studiato e proposto alle istituzioni europee una propria bozza. Potrebbe illustrarcela a grandi linee, confrontandola con quella diffusa a luglio dalla Commissione Europea, che tra le altre cose è diventata generale e non più specifica sulla disabilità, come invece era stato annunciato da Barroso, presidente della Commissione Europea, nel maggio scorso?
«La bozza di Direttiva da noi proposta riprendeva alcuni elementi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, sempre nell’ambito delle competenze che derivano dall’articolo 13 del Trattato di Amsterdam, quindi sulla non discriminazione. Si trattava di un testo che entrava nel dettaglio di tutti i vari campi di applicazione che possono essere coperti da questo articolo, da quello dei Prodotti e servizi, che veniva introdotto e ben definito, fino ai vari ambiti sociali.
Ad esempio, in essa si citava la non discriminazione nell’educazione e nell’istruzione, non solo in ambito scolastico, ma anche in termini di formazione nel corso della vita. Si definivano i concetti di sostegno e accessibilità e trovava spazio anche il tema della scelta – da parte dell’individuo e/o dei genitori – del tipo di percorso educativo da compiere. Era incluso, poi, tutto ciò che è già previsto a livello europeo in ambito di sanità e di protezione sociale e si parlava dell’importanza dell’accesso alle elezioni, come previsto anche dalla Convenzione ONU. E ancora, c’era spazio per le tecnologie, per l’informazione e la comunicazione, i media, i trasporti e per tutto ciò che riguarda l’ambiente costruito nella sua globalità, non solo gli edifici.
Nella nostra proposta, inoltre, facevamo riferimento agli standard e alle norme di accessibilità, per provare a dare un contenuto a questo concetto e a come esso si può realizzare. Il tutto utilizzando quello che era già previsto dalle leggi esistenti, nazionali ed europee.
Avevamo poi previsto un allegato nel quale si distingueva tra ciò che doveva essere introdotto ex novo – e si illustrava così il concetto di design universale – e ciò che invece poteva essere solo integrato, magari anche a partire da una certa data, poiché siamo consapevoli che ci sono degli sviluppi nelle tecnologie – come in ambito di telecomunicazioni o di ferrovie – dove ci sono dei tempi da aspettare e da rispettare. Inoltre, relativamente al concetto di accessibilità, si facevano esempi di ristrutturazioni importanti, di stazioni o altri edifici, di interventi correttivi e così via.
Nella bozza della Commissione, invece, il primo problema è che tutti questi dettagli cui ho appena accennato sono andati perduti e tutto quello che è rimasto in tema di disabilità è un solo articolo del provvedimento, chiaramente piuttosto limitato, in cui si è cercato di condensare tutto, in alcuni casi con non pochi problemi.
Dal mio punto di vista, credo si sia voluto evitare che questa Direttiva potesse essere applicata in modo troppo “ambizioso” e così si è preferito non dare un accesso illimitato ai vari prodotti e servizi che caratterizzano la nostra società e la nostra vita quotidiana, rispetto ai quali, al contrario, sono state inserite delle restrizioni che vanno veramente troppo in là. Nel senso che in alcune legislazioni nazionali – come ad esempio in quella italiana – non ci sono tutti questi limiti e ritengo che sia molto pericoloso che una legge nazionale vada già oggi più in là di quello che dovrebbe essere l’obiettivo finale di una Direttiva come quella in questione».
Ma quale potrebbe essere il motivo per voler imporre simili limitazioni, in contraddizione con un’apertura ben diversa manifestata solo qualche mese fa dalla Commissione e dai suoi rappresentanti?
«È vero, nel maggio scorso la Commissione aveva fatto una valutazione diversa e aveva pensato di proporre una “misura disabilità”, anche alla luce della Convenzione ONU da poco in vigore e della sua affermazione e diffusione, oltre che di un ampio consenso tra i vari Stati Membri a lavorare su questo tema.
Il fatto è che è stata un’iniziativa presentata in modo poco chiaro e non molto positivo, diventando non più un “provvedimento sulla disabilità”, ma “solo sulla disabilità”, scatenando così una serie di pesanti reazioni, soprattutto a livello europeo, più che nazionale. All’interno delle istituzioni europee, infatti, si è iniziato a dire: “Ma come, e gli altri… ma perché?”, e così è nata una vera e propria “battaglia” in Parlamento – soprattutto attraverso il voto liberale sostenuto dal gruppo socialista – con la quale si sosteneva la necessità e il valore di una “Direttiva per tutti”, senza però riflettere veramente su cosa si dovesse inserire in questo provvedimento e su quali potessero essere, o diventare, a quel punto i suoi limiti.
In particolare quello della lunghezza del testo, che era sempre stata la nostra preoccupazione maggiore rispetto al fatto di realizzare uno strumento legislativo unico e alla luce della quale abbiamo sempre sostenuto la necessità di un provvedimento specifico per ciascuna realtà. Posto che le persone con disabilità non sono più discriminate di quelle su base religiosa o per l’orientamento sessuale, come European Disability Forum riteniamo che si tratti di tipi di discriminazione assolutamente diversi e che per quanto riguarda le persone con disabilità tutto diventa più complicato, poiché non si tratta solo di una discriminazione fondata su pregiudizi o atteggiamenti, dal momento che essa deriva principalmente da un fatto oggettivo: cioè la disabilità da un lato e il modo in cui è organizzata la società dall’altro. Situazione, quindi, che implica la necessità di misure più strutturali, che hanno la necessità di essere spiegate nella legislazione.
E d’altro canto, mettendo tutti i tipi di discriminazione assieme, c’erano anche delle resistenze da parte di alcuni Stati Membri, che non accettavano di vedere alcune cose incluse nella legislazione. Ad esempio, rispetto all’ambito religioso, si voleva evitare di produrre una legislazione che avrebbe potuto creare dei problemi ad alcuni Paesi che non volevano “aprire troppe porte”.
Per quanto riguarda poi la questione dell’orientamento sessuale, c’era il problema di quegli Stati che per problemi costituzionali e politici non vogliono ancora riconoscere, ad esempio, unioni, matrimoni o forme di convivenza tra persone dello stesso sesso, come anche le adozioni da parte di queste ultime.
Comunque, come ho accennato prima, sarebbe stato meglio proporre qualcosa di più ambizioso e vedere poi se qualche Stato avrebbe proposto degli emendamenti. Invece – e pensiamo al problema dei servizi finanziari e delle assicurazioni – ci sono ancora molte discriminazioni sia in base all’età, sia in base alla disabilità, poiché rispetto a questo alla fine è stato realizzato un testo che dà via libera alle banche e alle assicurazioni di fare letteralmente quello che vogliono, invece di introdurre l’importante principio per il quale ci devono essere dei prodotti finanziari e dei mutui “di base”, rispetto ai quali non possono esistere discriminazioni. Cosa, questa, scritta chiaramente anche nella Convenzione ONU.
Tornando all’accessibilità, chi ha redatto il testo deve aver voluto veramente condensare all’inverosimile questo articolo, tanto che sono state prese clausole e parti da testi legislativi già esistenti in singoli Paesi, le quali hanno sicuramente un senso in un determinato contesto, mentre se non sono spiegate e contestualizzate, diventano assolutamente troppo restrittive e inefficaci.
Inoltre, sono stati introdotti elementi potenzialmente pericolosi, come la durata “di vita” di determinati servizi o prodotti, che per noi è una cosa molto problematica poiché ci sono parecchi prodotti o servizi che hanno una durata limitata nel tempo per natura – come un avvenimento culturale o delle promozioni in ambito di prodotti informatici – e non ha alcun senso escludere sistematicamente le persone con disabilità da tutto questo.
Sono stati poi introdotti anche dei concetti un po’ “strani”, come quando si dice che una determinata cosa è un «beneficio per le persone con disabilità», ad esempio nel caso dei cosiddetti “vantaggi dell’accessibilità”. Ma chi li misura, e come, questi vantaggi? Non potrebbe essere lo stesso imprenditore, o gestore di un servizio, che sostiene di avere svolto un’indagine di mercato e di aver riscontrato che ci sono poche persone con disabilità che utilizzano e sfruttano i suoi prodotti, in modo da giustificare il fatto che egli non intende prendere dei provvedimenti affinché anch’esse possano utilizzarli, benché tali provvedimenti non siano né eccessivamente onerosi, né problematici, e potrebbero anzi essere molto utili per altri, potenzialmente per tutti?
Tutti questi elementi – uniti al fatto che non vi è chiarezza nei criteri che definiscono l’importanza di un intervento, di un’indicazione o di una raccomandazione ad agire e in quelli che spiegano determinate valutazioni e decisioni – rendono tutto veramente molto problematico. Per questo, adesso, rispetto a quella che è una Direttiva già povera – paragonata a quella che volevamo noi – se non si riscrivono completamente alcune parti del testo, riteniamo che da un simile provvedimento possano derivare più problemi che vantaggi».
Si corre dunque il rischio di fare dei danni molto seri, difficili poi da riparare…
«Esatto. Come accennavo prima, in Italia, ad esempio, su alcune questioni vi sono leggi ben consolidate e nessuno certamente andrà a metterle in dubbio a causa di questa Direttiva. Il problema riguarda invece i Paesi dove non vi è ancora una legislazione e dove, quindi, si parte molto, molto male.
Inoltre, non possiamo sottovalutare il fatto che si tratti di un precedente negativo: che senso ha e che esempio è una legislazione che non porta vantaggi e che diventa invece per tutti di difficile interpretazione? Potra infatti succedere poi che ci si dovrà affidare in parte ai giudici i quali potranno interpretare il provvedimento in modo molto progressista o molto conservatore e limitativo. E anche questa è una nostra preoccupazione».
Le risulta che queste preoccupazioni siano condivise dalle associazioni che rappresentano gli altri gruppi interessati dalla Direttiva?
«Per alcune cose sicuramente sì. Infatti, le organizzazioni che rappresentano le persone anziane o i giovani sono molto preoccupate da quanto stabilito in ambito di assicurazioni e di servizi finanziari e ci sono anche alcune limitazioni in base all’età per quanto riguarda i prodotti e i servizi, mentre essi vorrebbero il riconoscimento di “cose positive”, come l’accesso gratuito ai trasporti o altri sconti, per incoraggiarli e sostenerli, ma se questo non viene ben chiarito nella Direttiva, possono esserci diversi problemi. Oppure, ci sono anche persone anziane che si vedono limitare o impedire la frequenza di corsi o cose simili a causa dell’età.
Per l’ambito religioso la questione è più complicata, poiché non vi sono associazioni che rappresentano le discriminazioni religiose, bensì sono le organizzazioni che si occupano di discriminazione razziale o etnica a svolgere questo ruolo e a intervenire di fronte a discriminazioni verso minoranze religiose.
Tali organizzazioni, comunque, sono preoccupate soprattutto per l’articolo sull’educazione, perché nella Direttiva sulla discriminazione razziale o etnica non vi era alcuna limitazione in questo senso, come invece succede in questa, ed esse ritengono che ciò potrà avere delle conseguenze negative sulla Direttiva precedente, perché comunque ogni giudice interpreterà sempre in base a tutti gli strumenti che sono stati previsti per uno stesso ambito e dovrà tenere in considerazione tutte le indicazioni e le raccomandazioni esistenti.
Per quanto riguarda ancora l’orientamento sessuale, qui le cose sono ancora più complicate. Infatti, le associazioni di riferimento delle persone discriminate per questi motivi sono preoccupate per alcune cose, tra cui l’educazione e la restrizione per il riconoscimento delle coppie, ma allo stesso tempo riscontrano diversi elementi che li soddisfano anche perché – siccome per loro non ci sono restrizioni nell’accesso ai prodotti e ai servizi – si può dire che questa Direttiva contribuisca almeno a proteggerli contro le discriminazioni in questo senso, che esistono in certi Paesi; quindi per loro questo può essere considerato un passo avanti, mentre per noi questo passo avanti – a causa delle citate restrizioni – certamente non c’è.
Per questo stiamo lavorando tutti assieme per sviluppare una posizione comune e mettere in evidenza ciò che per ogni gruppo risulta più problematico – oltre agli elementi rispetto ai quali la preoccupazione è comune – per avanzare una proposta alternativa a questa bozza che sia il più possibile condivisa».
Possiamo dire – senza il timore di dare un’indicazione esagerata o di parte – che questa bozza di Direttiva rappresenta un passo indietro nel processo di inclusione sociale, integrazione, rispetto dei diritti e riconoscimento delle pari opportunità per tutti?
«Per quanto riguarda la disabilità, per diversi aspetti essa fa certamente un passo indietro. Poi per altri ci sono anche buone idee le quali però sono così mal definite che – come detto – c’è il grosso rischio che alla fine i diritti che esse menzionano e difendono non possano neanche essere rivendicati e che quindi, come provvedimento, la Direttiva si riveli totalmente inefficace nell’applicazione. Che occasione persa, sarebbe, e quanti sforzi inutili!».
Sembrava che la collaborazione tra le Istituzioni Europee, l’EDF e le altre organizzazioni fosse consolidata e che le prime – oramai – fossero consapevoli di certi concetti, principi e valori. Come possiamo interpretare e spiegarci quanto successo in questo caso, in cui non siete stati coinvolti nella stesura del testo? Chi ha ritenuto di avere sufficienti conoscenze per definire un provvedimento così importante, senza chiedere la collaborazione di chi rappresenta i gruppi interessati dal provvedimento stesso?
«Questa bozza è stata redatta soprattutto all’interno della Direzione Generale della Commissione Europea che si occupa di Occupazione e Affari Sociali. Mentre solitamente una prassi consolidata prevede che di fronte a una bozza di Direttiva ci sia un processo di consultazione interno alla Commissione che in particolare in questo caso poteva essere utile poiché il provvedimento copre campi che vanno ben al di là delle questioni sociali. Ebbene, noi sappiamo per certo che in questo caso tale processo non ha avuto luogo.
Il documento è stato dunque discusso all’interno di questa Direzione, dove tra l’altro vi è stato anche un momento di disorientamento nel momento in cui effettivamente ci si è chiesti se fosse il caso di fare una direttiva solo sulla Disabilità o di aprirla anche ad altri ambiti. Il fatto poi che la scelta sia caduta sulla seconda possibilità ha sicuramente limitato, da quel momento in poi, le possibilità di dialogo che noi invece abbiamo chiesto più volte.
Successivamente, la versione finale della bozza è stata discussa in modo più intensivo solo nell’ultima settimana prima dell’adozione e solo dai gabinetti dei vari Commissari, non all’interno delle Direzioni Generali. Inoltre, essa è stata discussa insieme a un pacchetto sociale molto ampio, che comprendeva quindi diversi testi dibattuti in contemporanea.
Dal canto nostro, abbiamo avuto degli incontri con almeno la metà dei gabinetti dei Commissari, che hanno ascoltato le nostre preoccupazioni e ci hanno anche consentito di fare commenti molto precisi e puntuali, ma i tempi così brevi non hanno certo aiutato, impedendo anzi qualsiasi intervento.
Inoltre c’era anche stata in precedenza la decisione assoluta di adottare velocemente il testo: le elezioni europee si avvicinano, infatti, e c’era una forte pressione da parte del Gruppo Socialista-Liberale affinché questo documento riguardasse ogni forma di discriminazione, per poter risultare più “progressista”. Il che poteva anche andarci bene, se però ne fosse stato preparato uno di più lungo e completo, insomma decisamente migliore. Invece il forte desiderio di presentare qualcosa in fretta, che non portasse quindi i lavori troppo avanti rispetto a scadenze come l’elezione del Parlamento e della nuova Commissione – entrambe previste per il 2009 – ha portato a questa sorta di “vortice” che ha danneggiato fortemente gli oltre 50 milioni di persone con disabilità che noi e altre organizzazioni rappresentiamo. Questa è la mia lettura.
Ora dobbiamo solo cercare di capire come lavorare, anche con gli Stati Membri, per fare in modo che questa proposta migliori. Senza dubbio dobbiamo evitare che vi sia un’adozione troppo precipitosa di questo testo, perché mai come in questo caso più si vuole andare veloci e più il contenuto ne risentirà e sarà peggiore».
Ma quali margini ci sono, realisticamente parlando, di riuscire a bloccare la proposta fino a quando non sarà stata veramente migliorata? Qual è l’iter che di solito viene seguito? Ci sono delle scadenze, dei termini che dovranno essere rispettati?
«In questo momento tutte le possibilità sono aperte. Infatti, il Consiglio degli Stati Membri dell’Unione dovrà decidere all’unanimità e ciò rappresenta già un limite poiché se alcuni Paesi hanno dei problemi con determinate parti della Direttiva, possono cercare di “trascinare il testo verso il basso”, perché di fatto c’è diritto di veto.
Poi dovrà essere consultato il Parlamento e quindi dipenderà anche dai tempi di quest’ultimo che di fatto non ha una grossa influenza, ma fornisce semplicemente una propria opinione, presentando qualche proposta di emendamento. Anche il Parlamento, però, potrebbe dire semplicemente «approvate velocemente» oppure metterci del tempo e fino a quando esso non si sarà pronunciato, il Consiglio non potrà adottare definitivamente il provvedimento.
Nelle scorse settimane c’è stata la prima discussione del Consiglio, ma si è trattato solo di una presentazione del testo. Noi eravamo già pronti con un’analisi dettagliata in cui abbiamo spiegato cosa si dovesse rivedere e ora stiamo appunto lavorando su una serie di proposte di modifica del testo e per una strategia definita.
Una delle maggiori difficoltà che incontriamo è legata al fatto che la Commissione non vede proprio nel testo i problemi che noi riscontriamo. Per loro la bozza è molto buona e poiché la Commissione ha una forte influenza sulle decisioni dei singoli Stati, questo potrebbe essere un serio ostacolo. Infatti, anche se alcuni Stati ci daranno una mano perché le loro legislazioni sono più avanzate e quindi sicuramente proporranno dei cambiamenti, se la Commissione dirà “no, così non va bene”, alla fine la spunterà certamente».
Ma di chi si è avvalsa secondo lei la Commissione, per redigere il testo in ambito di disabilità?
«Come ho già detto, si è lavorato molto all’interno della Direzione Occupazione e Affari Sociali, nella quale non penso ci si sia affidati ad esperti esterni. Parte della nostra strategia, quindi, sarà proprio di richiedere l’aiuto e l’opinione di esperti provenienti da realtà diverse, perché forniscano una propria opinione autorevole, sottolineando ed evidenziando i problemi.
Ribadisco che la discussione è sul contenuto del testo e purtroppo la Commissione continua a sostenere che tale testo “è pressoché perfetto”, mentre sarebbero le Associazioni come la nostra a “non arrivare a capirne il valore”!».
Cambiamo argomento. Oltre a questo, su cosa state lavorando come EDF?
«Stiamo lavorando molto anche sulla consultazione che è stata aperta nell’ambito dello stesso pacchetto sociale dalla Commissione sull’accessibilità dei siti web.
Noi veramente speravamo in una consultazione più ampia, che riguardasse tutto quello che è accessibilità di servizi e prodotti di informazione e comunicazione e quindi, anche in questo caso, stiamo preparando un testo che insista su un’azione più ampia e che avanzi proposte abbastanza concrete anche in ambito di siti web.
Continuiamo inoltre con il nostro impegno nel settore dei trasporti, dove la Commissione aveva annunciato delle proposte legislative.
Da qualche mese il Commissario è cambiato e stiamo reimpostando il lavoro proprio con lui, per essere sicuri che gli impegni presi con il precedente vengano portati avanti. Impegni che erano stati annunciati anche nel programma di lavoro della Commissione: un regolamento specifico per le persone con disabilità nel trasporto marittimo – fondamentale dove questo rappresenti l’unico mezzo di trasporto disponibile o esistente – e qualcosa di più generale sui diritti dei passeggeri nel trasporto su strada internazionale, con un capitolo dedicato alle persone con disabilità. È molto importante per noi che queste proposte procedano entro la fine del 2008.
A livello ferroviario, poi, è stata adottata una Direttiva che rappresenta un passo in avanti, ma che riguarda il servizio ferroviario in sé e non copre l’accessibilità, ad esempio, delle stazioni, anche se prevede l’obbligo delle rampe di accesso e di un certo servizio a bordo. Pertanto il problema dell’accessibilità delle infrastrutture permane, mentre noi speravamo che con una Direttiva più generale lo si potesse affrontare efficacemente.
È chiaro, ormai, che oggi sono altri i campi e i settori da cui possono aprirsi strade per l’integrazione e le pari opportunità delle persone con disabilità. Dovremo cominciare, quindi, a puntare ad esempio a una legislazione sulle basi legali del mercato interno, o altro, ma non più partendo dall’articolo 13 del Trattato Europeo di Amsterdam, rispetto al quale l’approccio della Commissione continua a rimanere piuttosto chiuso».
Da quasi due mesi è entrato in vigore nella sua totalità il Regolamento Europeo CE 1107/06 sui Diritti delle Persone con Mobilità Ridotta nei Viaggi Aerei. Dal vostro punto di vista qual è la situazione degli aeroporti e delle compagnie aeree in Europa? Hanno avuto molto tempo per adeguarsi a quanto previsto dal Regolamento, ma oggi sono in regola? Da poco avete anche lanciato con la Commissione uno spot per promuovere la conoscenza del nuovo Regolamento…
«Confermo che l’EDF e la Commissione Europea hanno collaborato a stretto contatto per questo spot; va detto però che al progetto hanno dato un contributo anche alcune compagne aeree e aeroporti e devo dire che siamo abbastanza soddisfatti del risultato, che riteniamo sicuramente molto utile. Adesso gli aeroporti si sono impegnati a diffonderne almeno la versione breve.
Ritengo comunque che ci sia ancora molto da fare in questo settore: la maggior parte degli aeroporti, infatti, non sono “pronti” e ci sono tuttora grossi problemi con le linee aeree per quanto riguarda la fase di accettazione dei passeggeri.
La cosa più importante, quindi, è che i passeggeri conoscano bene quali sono i loro reali diritti, perché più essi ne saranno coscienti e consapevoli, più potranno aumentare le denunce e i ricorsi e maggiore sarà la possibilità che il Regolamento venga applicato, rivelando la sua enorme utilità e il suo valore.
Anche senza arrivare, poi, a denunce e ricorsi, per una linea aerea avere di fronte passeggeri che non sono sprovveduti, ma che sanno benissimo quali sono i loro diritti, farà in modo che certe situazioni non si verifichino più, preventivamente. Per questo, oggi l’informazione è importantissima.
Quel che attualmente ci preoccupa di più, in ambito di trasporto aereo, è senza dubbio l’interpretazione delle norme di sicurezza, tema su cui stiamo conducendo ancora una dura battaglia della quale vedremo gli esiti nei prossimi mesi. Infatti, l’Agenzia Europea sulla Sicurezza Aerea intende purtroppo produrre delle norme in questo senso e finora abbiamo visto che il loro approccio è veramente molto negativo rispetto all’integrazione delle persone con disabilità».
C’è anche il rischio che l’Agenzia, con nuovi provvedimenti, possa limitare l’applicazione del Regolamento?
«Certamente, ma non solo. C’è anche il rischio che essa imponga delle norme di sicurezza che oggi non sono previste nemmeno per i bambini non accompagnati. All’Agenzia, infatti, hanno questa ipotetica idea del “passeggero atletico”, che non vive mai una situazione di panico, praticamente “perfetto”. Invece, tenendo conto anche del fatto che ci sono Paesi, come gli Stati Uniti, che non impongono assolutamente alcuna restrizione relativamente alla disabilità – né per quanto riguarda il numero di persone con disabilità che possono salire contemporaneamente sull’aereo, né altre – dobbiamo proprio darci da fare.
La nostra posizione in merito è che comprendiamo bene che si possano verificare degli incidenti in volo nel corso dei quali ci sono determinate modalità di evacuazione e tempi molto limitati e che quindi sia necessario assumersi dei rischi, ma allo stesso tempo riteniamo che il diritto a viaggiare sia prioritario rispetto a tutto e che la cosa più importante sia essere consapevoli e coscienti di questi rischi.
Sappiamo che in situazioni in cui c’è la necessità di un’evacuazione molto rapida non si può pretendere che le persone con disabilità siano necessariamente evacuate per prime, perché comprendiamo che la priorità sia quella di evacuare il maggior numero di persone possibili e che ci possano essere dei limiti sui posti dove le persone possono sedersi, proprio perché bisogna garantire la migliore e più rapida possibilità di soccorso per tutti. Allo stesso tempo, però, non possiamo neanche dire “allora evitiamo di far salire persone con disabilità”. Sappiamo infatti che le persone non vedenti hanno una capacità di orientamento ben maggiore rispetto agli altri e che quindi sarebbero le prime a essere in grado di uscire dall’aereo, mentre le compagnie ritengono ancora che queste persone siano un “rischio”. Pensiamo poi alle persone sorde, anch’esse ritenute un rischio dalle compagnie perché non sentono gli annunci e le indicazioni. Ma che dire allora di tutte quelle persone che non capiscono la lingua in cui si esprime l’equipaggio? In fin dei conti queste sono esattamente nella stessa situazione di una persona sorda!
C’è quindi, senza dubbio, il modo di trovare una soluzione utile per tutti. Per non parlare poi del fatto che tutti noi, per qualsiasi motivo, possiamo essere vittime di un attacco di panico, manifestando comportamenti simili al disagio mentale, mentre invece la disabilità non c’entra nulla.
Si tratta dunque di una battaglia che ci vede impegnati costantemente e che riguarda innanzitutto le compagnie aeree. Resta comunque indubbio che il Regolamento sia un grosso passo avanti ed è presumibile che esso porterà anche a un atteggiamento molto più cooperativo da parte del mondo industriale».
Ci potrebbe aggiornare in merito al processo di ratifica della Convenzione ONU da parte dell’Unione Europea? State svolgendo un ruolo in questo?
«La ratifica dovrebbe avvenire durante la presidenza francese in corso. Infatti, il testo prodotto dalla Commissione è pronto e in tal senso, il 29 agosto scorso, il Collegio dei Commissari ha presentato una proposta di ratifica sia della Convenzione che del Protocollo Opzionale.
Anche in merito a tale testo, purtroppo, non siamo per niente soddisfatti perché su di esso non vi è stata alcuna consultazione, anche se ancora una volta l’avevamo richiesta a più riprese.
Il punto più importante e delicato sarà la definizione delle competenze che spetteranno alla Comunità Europea e quelle invece che andranno agli Stati Membri. Al momento non abbiamo visto il documento, ma diciamo che sicuramente è una buona notizia che si discuta di questo e il nostro auspicio è che si vada verso una ratifica rapida, che potrà aiutarci anche in altri ambiti».
Più in generale, rispetto alla presidenza francese in corso, avete delle aspettative particolari?
«Ad essere onesti qualche aspettativa l’abbiamo, anche perché per la Francia la disabilità è una questione prioritaria a livello nazionale. Al momento ci sono già varie iniziative in cantiere – tra cui una Conferenza sull’Educazione e l’Istruzione e un Summit sulle Pari Opportunità – nelle quali siamo stati coinvolti. L’impressione, per ora, è piuttosto positiva. Siamo fiduciosi che possa essere confermata dai fatti». (Crizia Narduzzo)
*Direttore dell’EDF (European Disability Forum).
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