Fumetti e cartoons sono diventati “adulti”. Non più solo un medium di intrattenimento per bambini e ragazzi, ma veicoli di storia, cronaca, giornalismo a vignette e strisce: uno strumento capace di raccontare la realtà sociale, porre domande e problemi complessi.
La tendenza è in atto da tempo, ma negli ultimi anni è diventata molto più evidente: basta pensare, ad esempio, al recente successo mondiale di Persepolis, prima un romanzo a fumetti e poi un film, in cui l’autrice iraniana Marjane Satrapi ha narrato sotto forma di cartone animato la storia, le guerre, le lotte per i diritti umani nel suo Paese.
Non deve stupire, allora, se il fumetto è diventato un linguaggio più “adulto” e maturo anche nel raccontare la disabilità. Di solito i modelli di rappresentazione delle persone disabili, nei comics come nella pubblicità e nei nuovi media, oscillano tra due estremi: lo sguardo pietistico-buonista e quello – per reazione – eroico.
O la persona con disabilità è “vittima”, nell’immaginario collettivo, oppure si trasforma in una sorta di Superman, rivelando eccezionali capacità di superare i limiti della sua condizione.
Esempi di quest’ultimo tipo si ritrovano spesso nei fumetti americani di supereroi della casa editrice Marvel Comics che, grazie a diverse trasposizioni in film di cassetta, stanno conoscendo anche in Italia un grande ritorno di popolarità.
Avete fatto caso a quanti “supereroi” partono da una condizione di disabilità? Il professor Xavier, capo degli X-Men, è uno scienziato costretto sulla carrozzina. Ma ha eccezionali poteri mentali di telepate. L’avvocato Matt Murdock, alias l’incredibile Devil, è cieco. Ma grazie all’allenamento, a una sorta di “radar” interno e ad altri sensi iper-sviluppati, combatte con successo la criminalità di New York. E Iron Man, protagonista dell’ultimo film campione di incassi? Nella sua identità segreta è un uomo con gravi problemi cardiaci. Ma grazie alle sue sofisticate conoscenze scientifiche, si è creato l’armatura hi-tech che compensa ogni svantaggio e lo rende invincibile.
«Super-eroi con super-problemi», secondo un fortunato slogan di Stan Lee, lo sceneggiatore americano che è stato lo storico inventore di molti di questi personaggi. È invece più difficile trovare, nei fumetti in genere, la “normalità” e il racconto della vita quotidiana delle persone con disabilità. È un problema di qualità dell’informazione che riguarda, più in generale, tutte le forme di comunicazione. Lo ha sottolineato di recente Vincenzo Russo, responsabile scientifico dell’Osservatorio Comunicazione e Disabilità dell’Università IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione) di Milano, parlando durante un seminario all’interno della fiera internazionale Melting Box su diritti e pari opportunità, realizzata con il contributo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità) [di tale incontro, svoltosi il 22 aprile a Milano, il nostro sito si è occupato nel testo intitolato Cosa sta cambiando nella comunicazione sulla disabilità?, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
«Nonostante la Convenzione ONU e i passi avanti compiuti in questi anni – dice Russo – in Italia, soprattutto negli spot pubblicitari dedicati alla disabilità, prevalgono il modello eroico e quello pietistico. Ma emerge sempre più una richiesta di normalità, di non ghettizzazione».
Nella stessa occasione Giampiero Griffo, del Consiglio Nazionale sulla Disabilità, sottolineava la necessità di comunicare meglio il tema dell'”inclusione” sociale delle persone con disabilità, che è qualcosa di più di “inserimento” e “integrazione”: «Significa – spiega Griffo – essere non solo parte della società, ma avere la possibilità e il diritto di decidere insieme agli altri. Si pensa alla disabilità su un modello di normalità. La diversità umana riguarda tutti: è una ricchezza che ognuno può esprimere all’interno di una comunità».
È difficile, si diceva, ritrovare questa prospettiva di “normalità” nei fumetti. Ma ci sono anche qui buone pratiche ed eccezioni positive.
La più vistosa e interessante è senza dubbio quella dell’albo Gea, una serie semestrale di diciotto numeri, che si è conclusa nel novembre del 2007 dopo ben nove anni di presenza nelle edicole. Pubblicata, per di più, dall’editore Sergio Bonelli: lo stesso di Tex e Dylan Dog, il principale “produttore” di fumetto popolare in Italia.
La saga di Gea, realizzata dall’autore e disegnatore Luca Enoch, è un originale fantasy urbano. La protagonista è una misteriosa ragazzina, che vive sola col gatto Cagliostro, ed è in realtà un “Baluardo”: Gea vigila cioè sulla Terra, con i suoi speciali poteri, per impedire l’intrusione nella nostra sfera di creature provenienti da altre dimensioni. Nella sua doppia vita, in parallelo a questo contesto fantascientifico, è però anche una normalissima adolescente che va al liceo, suona in una rock band e ha tutti gli entusiasmi e le passioni tipiche della sua età.
È qui che spunta Leonardo, detto Leo, il personaggio che ci interessa: amico di Gea, un po’ più grande di età, Leo è un ragazzo paraplegico costretto in carrozzina in seguito a un incidente d’auto. Con lui Enoch introduce nel fumetto la figura di un disabile “normale”, che vive e affronta senza eroismi, ma con caparbietà e ironia, le piccole e grandi difficoltà quotidiane legate alla mobilità e alle barriere architettoniche, alla sessualità e ai rapporti affettivi… alla vita di ogni giorno, insomma, e all’esercizio concreto dei propri diritti.
Leo, tra le altre cose, è un musicista che suona la batteria, opportunamente e ingegnosamente “adattata” alla sua disabilità: una persona che reagisce con forza ad ogni ostacolo che il mondo dei “normo-dotati” gli pone davanti.
«Avevo una vecchia amica simpaticissima e quasi coetanea, Vivì – racconta Luca Enoch – costretta su una sedia a ruote. Non ho mai pensato a lei mentre creavo il personaggio di Leo, ma certe persone e amicizie ti segnano a fondo. Con Leo volevo mostrare, anche attraverso delle gag, le difficoltà che una persona con disabilità deve affrontare per svolgere azioni che per gli altri sono del tutto banali, come transitare sul marciapiede o attraversare la strada».
Leo e Gea sono stati anche protagonisti e “testimonial” di un albo speciale fuori serie, Gea nel paese delle differenze, pubblicato tre anni fa dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, per sensibilizzare e informare gli studenti sui temi della disabilità e sui servizi per l’accessibilità dell’Ateneo.
L’iniziativa è nata da Antonio Tripodi, esperto di fumetti e saggista, all’epoca funzionario responsabile per il Diritto allo Studio dell’Università. «In quel caso – spiega Enoch – Tripodi ha realizzato la sceneggiatura e mi ha contattato come disegnatore».
La breve storia a fumetti si può anche leggere e scaricare on line, cliccando qui. Nell’albo, un’avventura ambientata in una Venezia surreale e magica, si affronta il tema della disabilità come “attributo” delle persone e non come pura “limitazione”. Un salto culturale importante, osserva Enoch, per evitare un approccio solo medico e assistenziale.
«Mi vengono in mente le persone audiolese quando parlano di “orgoglio sordo”, cosa che forse fa sorridere i normo-dotati, ma che è significativa di come una minoranza possa trovare, in una condizione fisica che i più considerano deficitaria, elementi di arricchimento e di aggregazione. O ancora, penso alle isole della Micronesia raccontate da Oliver Sacks nel suo libro L’isola dei senza colore, abitate da una comunità che soffre di cecità cromatica completa ed ereditaria, in una terra che è un tripudio di colori. Gli abitanti hanno imparato a distinguere le fasi di maturazione dei frutti dalle sfumature di grigio e, di notte, la loro ipersensibilità alla luce permette loro di vedere più stelle di quanto sia concesso a un normo-vedente. Anche il fumetto in fondo non è altro che un linguaggio narrativo, come il cinema e la prosa; come tale può prestarsi benissimo a diffondere una diversa consapevolezza della disabilità. Non so se con Gea, e il suo compagno Leo, ci sono riuscito: lo spero, questo sì».
Una diversa consapevolezza, in tema di diritti e pari opportunità, è anche l’obiettivo di una brillante serie di sei cartoni animati realizzati dall’Istituzione inglese per la disabilità Leonard Cheshire, in collaborazione con gli studi Aardman Animations, i geniali autori del cartoon Wallace and Gromit e del film Galline in fuga [a tale serie il nostro sito ha dedicato a suo tempo il testo intitolato Cartoni animati contro la discriminazione, disponibile cliccando qui, N.d.R.]
A partire dallo slogan, Cambia il tuo modo di vedere la disabilità, è stata creata una campagna di informazione sociale veicolata da vari media e trasmessa, nel gennaio di quest’anno, anche dalla televisione nazionale ITV. I cartoons sottolineano, senza moralismi e con molto sense of humour, le difficoltà legate alle piccole-grandi discriminazioni che le persone con disabilità sperimentano ogni giorno.
Protagonisti sono sei animaletti disabili, dal cane bull terrier sulla sedia a ruote alla tartaruga che cammina con le stampelle, fino all’insetto stecco che si appoggia al bastone. Ciascun personaggio – e qui sta la vera novità – è doppiato da reali persone con disabilità, che commentano in modo ironico e pacato i problemi che ognuno deve affrontare, spesso dovuti all'”ignoranza” della società circostante. Così la tartaruga Tim ha la voce di Ian Wilding, persona con sclerosi multipla che vive a Cardiff e descrive la sua frustrazione quando, per esempio, vorrebbe semplicemente entrare in un negozio di abbigliamento e si trova davanti barriere come gradini o scaffali troppo alti.
Anche la lumaca Spud ha la voce di John Marrows, un uomo con sclerosi multipla che racconta con ironia di essere diventato un assiduo frequentatore di bagni per signore, data la cronica carenza di servizi accessibili ai disabili nei locali pubblici.
Tutto molto efficace, garbato e incisivo: cartoons e testimonianze “dietro le quinte” si possono vedere anche nel sito web specificamente dedicato. Da maggio, inoltre, è stato aperto un blog dove si possono inserire commenti e suggerimenti per la realizzazione di futuri nuovi cartoons.
«Nel ventunesimo secolo – commenta Bryan Dutton, direttore dell’Istituzione Leonard Cheshire – è inaccettabile che sopravvivano atteggiamenti negativi nei confronti delle disabilità. Questa campagna punta a convincere ciascuno a fare la sua parte, per creare un mondo nel quale le persone con disabilità siano incluse in ogni aspetto della vita. Una riflessione molto seria, fatta con un pizzico di umorismo».
Una pionieristica esperienza del genere è stata realizzata anche in Italia, con la campagna di comunicazione Muscoli di cartone, promossa nel 2001 dalla UILDM, l’Unione Italiana per la Lotta alla Distrofia Muscolare: si trattava di tre mini-spot sulla disabilità, che parlavano di accessibilità al trasporto pubblico, di sport e di servizi di assistenza, con personaggi animati e le voci di Claudio Bisio e Fabrizio Frizzi.
Un’ulteriore conferma: le battaglie per una vita indipendente e per le pari opportunità possono viaggiare anche… sulle nuvole. Le “nuvolette parlanti” di un fumetto o di un cartoon.
Una “Lucciola” accesa per essere protagonisti
A Forlì cinque ragazzi con disabilità hanno acceso una “lucciola”. Si chiama infatti «La Lòzla» (lucciola, appunto, in dialetto locale) il giornalino a fumetti interamente realizzato al computer nel laboratorio dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) della città romagnola, ad opera di una redazione coordinata dall’operatore volontario Lieto Zambelli.
Un’esperienza interessante, perché i giovani con disabilità non sono “oggetto” del racconto a fumetti, ma protagonisti e autori di comics che rendono un servizio utile alla comunità. «La Lòzla» pubblica infatti fumetti didattici sulla storia di Forlì, che vengono poi distribuiti ed effettivamente usati dalle maestre nelle scuole elementari del territorio: per insegnare ai bambini, ad esempio, com’era la vita contadina un secolo fa, oppure chi fu il grande pittore romagnolo quattrocentesco Marco Palmezzano.
Su temi come questi, grazie all’uso del PC con ausilii personalizzati, i giovani fumettisti in erba fanno ricerche storiche su Internet, si documentano e discutono i testi da inserire nelle vignette, fino alla realizzazione completa del giornalino.
La storia della «Lòzla» è un modello di come si può essere “diversamente abili con il computer”. E all’Università di Bologna è diventata anche oggetto della tesi di laurea di una studentessa forlivese, Carlotta Petti. Che osserva: «L’informatica applicata al fumetto è diventata uno strumento per dare alle persone con disabilità un ruolo realmente attivo e utile alla società: al mondo della scuola, in questo caso. Si rovescia la prospettiva: non più la “cultura per l’handicap”, istruire la società sui problemi dei disabili, ma “l’handicap per la cultura”, cioè diventare soggetti attivi nella società contribuendo alla sua crescita».
*Testo pubblicato nel n. 4/2008 di «SM Italia», periodico bimestrale dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e qui riprodotto per gentile concessione.
– La disabilità in giallo: riflessioni sui Simpson
disponibile cliccando qui.
– Cartoni animati contro la discriminazione
disponibile cliccando qui.
– Cosa sta cambiando nella comunicazione sulla disabilità?
disponibile cliccando qui.
– Con le parole e con i disegni la Convenzione ONU «sbarca» a Milano
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