Peripezie e difficoltà sino alla fine per la realizzazione dell’ormai famoso quarto ponte sul Canal Grande di Venezia, il cosiddetto “ponte di Calatrava” che prende il nome dall’architetto spagnolo che lo ha progettato.
Più volte il nostro sito si è occupato delle vicende legate alla sua costruzione perché, come ci ha dichiarato l’assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Venezia Mara Rumiz – al di là delle numerose difficoltà tecniche incontrate in corso d’opera che hanno moltiplicato i costi previsti – esso è nato con un «peccato originale», quello cioè «di non essere stato concepito privo di barriere architettoniche».
Un “difetto”, questo, alquanto grave e imperdonabile nel XXI secolo, dopo le battaglie per i diritti umani e l’integrazione sociale delle persone con disabilità – basti pensare all’approvazione nel 2006 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – e dopo l’emanazione di normative che impongono l’accessibilità delle nuove opere. Ma tant’è. Il «ponte maledetto», come lo ha definito la stessa Rumiz, è nato e cresciuto in questo modo e ognuno ha dato la colpa a qualcun altro: colpa dell’architetto spagnolo, colpa di chi ha sviluppato il suo progetto, colpa dell’amministrazione precedente o di quella successiva…
Ora, però, il punto centrale ruota attorno a un dato di fatto: da metà settembre l’opera verrà aperta ai cittadini e sarà inagibile a quelli con difficoltà motorie. Infatti, la cosiddetta ovovia che dovrebbe percorrerne il dorso – trasportando carrozzine e persone con ridotta mobilità – non è ancora stata installata e passerà del tempo prima del suo funzionamento.
L’assessore Rumiz non nasconde la testa sotto alla sabbia: «Abbiamo perso un’occasione importantissima, quella di mostrare ai cittadini e a chiunque arriva a Venezia che il primo ponte, al suo ingresso, è un’opera di inclusione sociale. Invece, ora, il ponte sta lì a testimoniare il contrario».
Rumiz si difende poi ricordando come in tanti altri aspetti il Comune abbia mostrato sensibilità e abbia lavorato per l’accessibilità. In questo caso, però, la situazione è decisamente sfuggita di mano a tutti.
Si impongono infatti, a questo punto, una serie di problemi pratici: poiché i lavori del ponte sono quasi conclusi, bisogna smantellare il cantiere che lo ha messo in piedi. «Se non altro per tutti i ritardi accumulati e per una serie di condizioni tecniche – c’è ad esempio un problema di responsabilità di cantiere e una vigilanza da pagare che presidia l’opera in modo che nessuno la attraversi – abbiamo deciso di aprire al più presto il ponte ai cittadini»: così ci spiega la Rumiz, con rammarico.
E così, per evitare le moltissime polemiche che rimbalzano sui giornali e che non riguardano solo l’inaccessibilità, l’Amministrazione ha scelto di rinunciare alla cerimonia di inaugurazione ufficiale alla presenza del presidente della Repubblica Napolitano, come inizialmente stabilito. Ma il ponte verrà aperto lo stesso. Solo che, non essendoci più una scadenza precisa, la sua apertura avverrà “in sordina”, non appena gli ultimi ritocchi saranno ultimati.
Il rammarico di Rumiz riguarda la completezza dell’opera: «Per me – afferma – l’opera sarà completa solo con l’ovovia installata, che è per altro una soluzione-prototipo e quindi senza possibilità di alcun riferimento concreto».
I problemi dell’inaccessibilità del ponte, purtroppo, non si esauriscono in quelli che coinvolgono l’ovovia. Al “peccato originale”, infatti, se ne affianca almeno un altro, questa volta però non originario, non insormontabile e non, almeno apparentemente, altrettanto “maledetto”.
Lo ha ricordato di recente, e non per la prima volta, Giulio Nardone, presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi): «Il ponte di Calatrava è inaccessibile anche ai non vedenti e agli ipovedenti perché privo dell’apposita segnaletica obbligatoria per legge (vedi articolo 1.2.c. del DPCR 503/96)».
Dicevamo che il problema, questa volta, non sembrerebbe insormontabile. Infatti, sempre secondo Nardone, come riportato nei giorni scorsi anche dal quotidiano «La Nuova Venezia», «basterebbero poche migliaia di euro per migliorare l’illuminazione e installare poche decine di metri di segnali tattili incollati prima dell’inizio delle rampe di discesa, come imposto dalla legge: se l’estetica deve prevalere sulla sicurezza, allora il ponte sia chiuso al transito e venga lasciato alla sola contemplazione ammirata dei turisti».
Rispetto a tali questioni l’assessore Rumiz informa che vi sono discussioni in corso per affrontarle al meglio, ciò su cui speriamo di poter fornire prossimamente ulteriori dettagli e anche la notizia di concrete realizzazioni.
Entro breve contiamo anche di presentare un’intervista con chi ha progettato la più volte citata ovovia. (Barbara Pianca)