Eugenia Roccella, sottosegretario al Ministero del Welfare, non si sottrae alle domande. Assediata da una fila di telefonate, trova il tempo per conversare con calma su disabilità e dintorni, a partire dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Per il momento l’Italia, in buona compagnia peraltro, non ha ancora ratificato la Convenzione e perciò non può esprimere una propria candidatura al Comitato Internazionale chiamato a monitorare la sua attuazione nei vari Paesi del mondo.
Quando riuscirà a portare in Consiglio dei Ministri la proposta di legge di ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità? E quale iter prevede che sarà seguito? Il passaggio del testo dalle Camere, oppure un provvedimento d’urgenza del Governo?
«Siamo a buon punto, dovremmo essere alla resa dei conti. Anche se formalmente manca un assenso da parte di alcuni Ministeri, ritengo però che si possa ragionevolmente arrivare in tempi abbastanza rapidi a portare in Consiglio dei Ministri il testo definitivo e ad approvare dunque un decreto legge, un provvedimento d’urgenza, in modo che sia immediatamente efficace, e poi il Parlamento avrà il tempo per approvarlo definitivamente».
Che cosa ha impedito che la Convenzione venisse ratificata in tempo utile per una candidatura italiana al Comitato di esperti previsto dalla Convenzione, fin dal suo primo insediamento, ad inizio novembre?
«Intanto mi lasci dire che non possiamo parlare di tempi lunghi. Ricordo che la Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo ha impiegato oltre due anni per essere approvata dal nostro Parlamento. In questo caso, se teniamo conto che nel frattempo erano state sciolte le Camere, stiamo facendo davvero presto e questo tema è stato presente sin dai primi giorni di lavoro del Governo e di questo Ministero in particolare. Oltre tutto, aver unificato welfare, lavoro e sanità ha aiutato a concentrare i tempi di valutazione della Convenzione, che è un testo complesso e ricco di implicazioni per molti Ministeri, dagli Esteri, alle Infrastrutture, alla Pubblica Istruzione e così via».
Sì, ma adesso a che punto siamo?
«Buono, le ripeto. Anzi, sono contenta perché abbiamo avuto, proprio adesso, la risposta positiva anche dalla Ragioneria di Stato, che ci aveva chiesto dei chiarimenti».
Perché, ci sono problemi di costi? La Convenzione di per sé non mi sembra che ne preveda…
«Non grandi cifre, ma va prevista la nostra partecipazione agli organismi ONU e dunque un costo va considerato. Ma il problema, le confermo, è superato».
Quale giudizio dà della Convenzione?
«Si tratta di un testo di grande valore, anche simbolico. Non prevede in realtà la definizione di nuovi diritti, quanto piuttosto una sistemazione ordinata dei princìpi. Mi sembra soprattutto una fondamentale carta dei valori, un’indicazione precisa di tutto ciò che è importante garantire a tutte le persone con disabilità. In questo senso è uno strumento importante al quale fare riferimento, ovunque, e può favorire la consapevolezza dei diritti e una migliore partecipazione e inclusione sociale».
Come giudica la situazione attuale delle persone con disabilità e delle loro famiglie? Quali sono a suo parere i provvedimenti più urgenti?
«È chiaro che stiamo vivendo un momento economico particolarmente difficile. E sarebbe semplice lavorare avendo tante risorse a disposizione da spendere in ogni direzione. Ovviamente così non è. Ma proprio per questo sono particolarmente soddisfatta che questo Governo non abbia toccato il Fondo per la Non Autosufficienza, interamente rifinanziato, quando i tagli sono avvenuti un po’ ovunque. Però non è questo il punto più importante…».
Qual è allora?
«Mi ha molto colpito il risultato di una ricerca sul campo, condotta da Matilde Leonardi, per verificare alla luce dell’ICF, la nuova classificazione delle disabilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo stato della situazione dal basso, a partire dalle persone in stato di gravità.
Il dato che emerge è che il più importante facilitatore dei diritti è la famiglia, mentre i servizi sociali vengono spesso percepiti come un ostacolo, un freno. Dunque non c’è solo un problema di spesa, ma anche, forse prima, di semplificazione burocratica, di ascolto, di prossimità ai bisogni reali delle persone e delle famiglie, difficili da individuare e da quantificare».
Che cosa bisogna fare per raggiungere questo obiettivo?
«Secondo me noi italiani, anche giustamente, abbiamo tenuto sempre il pedale schiacciato sull’acceleratore dei diritti, ma forse non ci rendiamo conto che ci sono intere fasce di persone con disabilità – penso ai gravi e ai gravissimi, alla disabilità mentale – che non accedono neppure lontanamente ai diritti, sono completamente tagliate fuori. Dobbiamo recuperare questa consapevolezza, e qui non è solo una questione di soldi e di risorse, ma anche di impegno».
In questo senso che giudizio delle associazioni di tutela delle persone con disabilità e come intende valorizzarne il lavoro svolto?
«Le associazioni sono importanti, vanno considerate e ascoltate. Già lo stiamo facendo, abbiamo avuto alcuni incontri con un gruppo di associazioni, poi alcuni incontri bilaterali, ci saranno altre consultazioni…».
…però?
«Però non vorrei che vivessero il proprio ruolo come se fossero dei sindacati, sarebbe un errore. Prima di tutto perché c’è un problema di rappresentanza oggettiva, difficilmente valutabile. E poi perché le associazioni sono uno strumento di partecipazione, non qualcosa di diverso».
Ci sarà in futuro una nuova Conferenza Nazionale sulle Politiche per la Disabilità, come prevede la legge?
«Guardi, quando sono arrivata al Ministero, ho trovato un lungo elenco di conferenze nazionali che aspettano di essere organizzate… arriverà anche il turno della Conferenza sulla Disabilità».
Insomma, non è esattamente una priorità… E i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)? Il governo precedente, sia pure in extremis, li aveva approvati…
«Ma non erano arrivati alla fine del percorso. Non avevano avuto l’autorizzazione alla spesa. E le cose sono finite quando tutto il percorso è completo, non prima. Perciò adesso che siamo entrati in una fase delicata e decisiva, quella della riforma federalista, possiamo rivedere la questione dei LEA alla luce del loro significato di bilanciamento dei trattamenti nei diversi territori. Dev’essere però chiaro che non esiste un modo facile e certo di quantificare i servizi sociosanitari essenziali, è più semplice nel campo strettamente sanitario. Come possiamo essere sicuri che i fondi vadano esattamente a intercettare i bisogni reali? Questa è una competenza che sempre più appartiene al livello regionale, mentre al Governo spetta il compito di garantire parità di trattamento alle persone indipendentemente dalla Regione di residenza».
Che cosa intende quando dice che bisogna «rivedere la questione dei LEA»?
«Che dobbiamo lavorare all’interno del Governo per chiarirci bene su questo punto».
E nel frattempo che succede? Nulla?
«No, le ripeto: stiamo lavorando bene, muovendoci sul terreno delle cose che si possono fare meglio. Le faccio un esempio: stiamo costruendo un percorso importante con l’associazione dei familiari delle persone in stato vegetativo, a partire dai loro bisogni reali, dalla loro esperienza concreta. Partiamo dalle situazioni di maggiore gravità, come è giusto».
Un’ultima parola per Eluana Englaro…
«Ha dimostrato che è viva, che è una persona con disabilità gravissima. Ma la sua vicenda adesso dovrebbe essere trattata con la massima discrezione ed è importante che si stia arrivando a una risposta politica, parlamentare. La Commissione Sanità sta lavorando positivamente».
(Franco Bomprezzi)
*Intervista rilasciata al settimanale «Vita» e qui ripresa per gentile concessione.
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