Nel 1998 esce il film Balla la mia canzone (Dance me to my song), coprodotto da Domenico Procacci e realizzato da Rolf De Heer, autore olandese residente in Australia. La storia è forte e le immagini coraggiose. L’opera descrive infatti il percorso di Julia, disabile gravissima, che esce da un istituto e vive da sola, affrontando con tenacia le umiliazioni inferte dall’assistente, fino a riuscire, in concorrenza con quest’ultima, a sedurre il bello e buon Eddie.
La trama è quella di una favola e tuttavia chi ha visto il film sa che i suoi tratti indimenticabili non hanno nulla di fiabesco e traggono invece forza nell’essere attaccati alla realtà, con un’impertinenza di rado vista in altri film sullo stesso tema.
Per celebrarne il decimo anniversario, vogliamo ricordare l’opera con una piacevole ed emozionante chiacchierata con Rolf De Heer, regista con la vocazione di dar voce a chi non ne ha, autore di film come Bad boy Bubby, sulla disabilità psichica e La stanza di Cloe, sull’introspezione di una bambina in una situazione familiare difficile.
La “parola chiave” di Balla la mia canzone è Heather Rose, sceneggiatrice e attrice protagonista. Morta nel 2002 a 36 anni, Heather era una donna con una gravissima disabilità fisica e una grande passione per il cinema, che ha inventato questa storia caricandola della propria esperienza, emotività e frustrazioni. E così l’assistente sociale impersonifica le peggiori potenzialità di chi ha la possibilità di approfittare di un essere indifeso. Allo stesso modo la figura maschile rappresenta il “principe azzurro”, il premio perfetto per una donna che ha lottato con onestà, caparbietà e ironia.
Sono proprio queste ultime tre parole a descrivere bene non solo il carattere di Julia, ma anche del film che, con giocosità e senza fronzoli, mostra tutto ciò che c’è da mostrare. Una donna deforme e con ridottissima mobilità, che dipende dagli altri per adempiere ai bisogni primari, che comunica attraverso un sintetizzatore vocale e che non nasconde niente: Julia è nuda, in senso reale e figurato. E, cosa sorprendente per chi non affronta questi temi con serietà, la visione di Julia che fa sesso con l’uomo di cui si sta innamorando è erotica e carnale.
Attraverso la mano delicata di Rolf De Heer, Heather Rose ha realizzato un sogno: fare un film sexy e perfino, come diceva lei, «bollente».
Mister De Heer, come ha incontrato Heather Rose per la prima volta?
«Sul set di Bad boy Bubby dovevamo girare una scena con dei bambini, ma lavorare con i minorenni si dimostrò troppo complicato e così una mia collaboratrice che conosceva dei disabili mi suggerì di girare la scena con loro: erano maggiorenni e alcuni di sicuro sarebbero stati interessati. Tra questi c’era Heather, che infatti compare in un piccolo ruolo.
Siamo rimasti in contatto anche dopo le riprese, perché mi aveva chiesto di assistere alla post-produzione audio, che la affascinava».
Come nacque Balla la mia canzone?
«L’idea fu tutta di Heather che scrisse la sceneggiatura insieme a Frederick Stahl il quale soffre di sindrome da affaticamento cronico. Insieme, con lentezza, si misero al lavoro. All’inizio non mi mostrai interessato perché temevo di influenzare il loro processo creativo. Quando però dopo sei mesi mi dissero che stavano ancora continuando, decisi di aiutarli nella stesura. Più tardi mi proposi anche come produttore, ma non pensavo ancora di girare il film. Infine, in un momento in cui cercavo una buona idea, mi resi conto che la migliore che avevo per le mani era quella di Heather, e così la proposi a Domenico Procacci che ne fu entusiasta».
Heather si propose come protagonista?
«No, lo feci io, capendo che non aveva senso far interpretare il ruolo ad un’attrice professionista non disabile. Avrei tradito la storia. Quando glielo proposi si eccitò moltissimo».
Cosa ricorda in particolare di lei?
«Ho conosciuto due Heather diverse. La prima non aveva fiducia in se stessa ed era abituata a sentirsi rinfacciare la sua inutilità. La seconda, dopo il film, aveva guadagnato in stima personale ed era rilassata e serena. Aveva anche un gran senso dell’umorismo, quello fin dall’inizio!».
È stato difficile, per Heather, partecipare alle riprese?
«È stato durissimo. Ogni azione le richiedeva tempi molto lunghi e si stancava in fretta. Siamo riusciti a fare il film solo grazie alla sua tenacia, perché se recitare significa fare “la cosa giusta al momento giusto”, per Heather, con il suo corpo, questo non era quasi mai possibile. Era disperata e ci mise tutta la sua determinazione. Una volta, in particolare, fu davvero “clamorosa”.
L’attrice Rena Owen doveva prenderla in braccio. Continuavamo a rifare la scena e c’era sempre qualcosa che non funzionava, ma non capivo cosa. Chiesi più volte a Heather se preferiva che ci fermassimo, ma lei voleva andare avanti, sapendo che i tempi di produzione erano rigidi. Solo più tardi seppi che la cintura di Rena grattava contro la sua pelle, facendola sanguinare».
Heather ha apprezzato il film, una volta finito?
«L’ha adorato. Lo viveva in modo molto emozionale, tanto che a un’importante proiezione pubblica è dovuta rimanere fuori perché emetteva strani versi di eccitazione che distraevano gli spettatori».
Qual è stato il suo atteggiamento, come regista, rispetto a un film così personale?
«Ho cercato di essere onesto, di mostrare una situazione di disagio senza filtri. Un altro aspetto importante è stato il budget limitato. Per arrivare nelle sale, l’unico mezzo era emozionare fortemente, in modo che gli spettatori si trovassero a pensare “caspita, una cosa così prima non l’avevo mai vista!”».
E noi possiamo dire che Rolf De Heer ci sia davvero riuscito. (Barbara Pianca)
Testo già apparso nel numero 164 di «DM», periodico nazionale della UILDM, e qui ripreso per gentile concessione.
Il film Balla la mia canzone si può acquistare in DVD.