Giovedì 13 novembre 2008 la Corte di Cassazione ha accolto la richiesta di Beppino Englaro, padre di Eluana, donna in stato vegetativo permanente dal 1992 quando, all’età di ventun’anni, era rimasta vittima di un incidente.
Beppino si è rivolto alla Giustizia per chiedere l’autorizzazione ad interrompere l’attività dei macchinari che tengono in vita il corpo in coma irreversibile della figlia, macchinari che da sedici anni le forniscono le sostanze nutrizionali e di idratazione.
La Cassazione conferma così la decisione già espressa dalla Corte d’Appello di Milano lo scorso 9 luglio, giudicando inammissibile il ricorso presentato dalla Procura di Milano e rendendo definitiva la risposta della Giustizia italiana a proposito della vicenda Englaro. Infatti, nel nostro ordinamento, il passaggio al terzo grado di giudizio, e cioè alla Cassazione, rende una sentenza definitiva e non più giuridicamente discutibile negli stessi termini.
Ricordiamo che in Italia ad oggi non esiste una legge che esplicitamente affronti i temi bioetici della fine della vita, dal testamento biologico (con cui un cittadino può indicare quali cure autorizza nel caso in cui non sarà più cosciente), all’accanimento terapeutico (in riferimento agli atti medici che prolungano la vita di un malato terminale senza prospettive di cura o miglioramento), all’eutanasia (interruzione della vita di un malato terminale attraverso un atto che gli procura la morte), al suicidio assisitito (eutanasia che il malato non si procura da sé ma che avviene tramite l’intervento di un’altra persona).
Negli ultimi anni, però, è aumentato il numero di cittadini che si sono rivolti ai politici e ai magistrati per chiedere un pronunciamento su tali questioni e, in Europa, diversi Stati hanno già provveduto a dare delle risposte legislative.
(Barbara Pianca)
– L’ultima sentenza del caso Englaro, disponibile cliccando qui.
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