Servono chiari protocolli d’intervento

Genitori Federazione Italiana ABC*
«Riteniamo profondamente sbagliato che un singolo medico - o una singola équipe - e la famiglia siano lasciati sostanzialmente soli di fronte a decisioni che riguardano la vita di una persona. Occorre infatti definire chiaramente, sulla base di inequivocabili riscontri oggettivi, quando un trattamento sia da ritenere accanimento terapeutico e occorre stabilire chiari protocolli d'intervento». Lo affermano centinaia di famiglie, molte delle quali con figli di disabili gravissimi

Particolare di volto pensieroso di uomo con gli occhialiCi spiace esprimere un’opinione “fuori dal coro” rispetto alla grande maggioranza degli interventi apparsi in queste settimane a seguito della rivelazione della sospensione del trattamento terapeutico in un neonato con gravissima disabilità [se ne è resa protagonista la dottoressa Nadia Battajon, patologa neonatale dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, nel corso di un convegno a Padova, ove ha dichiarato di avere attuato tale intervento, con l’approvazione dei genitori, in un neonato di cinque giorni con gravissime malformazioni, N.d.R.].
Ci sembra però che la maggioranza delle opinioni espresse in merito sia dettata più da posizioni ideologiche e da paure, sia da una parte che dall’altra, piuttosto che dalla razionalità e dall’esperienza, come dovrebbe accadere in situazioni tanto drammatiche e complesse.
Per questo desideriamo portare alla discussione in corso il contributo dell’esperienza personale di centinaia di famiglie, molte delle quali con figli disabili gravissimi.

Bene ha fatto il medico dell’Ospedale di Treviso a dichiarare che in certe situazioni i professionisti si trovano nella condizione di dovere “staccare la spina”. Apprezziamo in lei il coraggio che le ha permesso di abbattere il “muro dell’omertà” e la sua correttezza professionale.
Riteniamo però profondamente sbagliato che un singolo medico – o una singola équipe – e la famiglia siano lasciati sostanzialmente soli di fronte a decisioni che riguardano la vita di una persona. Occorre infatti definire chiaramente, sulla base di inequivocabili riscontri oggettivi, quando un trattamento sia da ritenere accanimento terapeutico e occorre stabilire chiari protocolli di intervento.
Non possiamo infatti dimenticare come a molti dei nostri figli sia stata prognosticata una vita probabilmente breve e sicuramente piena soprattutto di sofferenze: una vita cioè che non “vale la pena vivere”. Ora, invece, siamo sicuri che l’avere ignorato il consiglio dei medici è stata la scelta giusta. Contrariamente a quanto prognosticato, la qualità di vita dei nostri figli può infatti essere considerata migliore di quella di molti loro coetanei “sani”, anche se ottenuta a prezzo di grandi rinunce e sacrifici; noi invece abbiamo avuto l’opportunità di apprendere il senso più vero e più profondo della vita umana.

*Associazione Bambini Cerebrolesi.

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