Lo chiamano «basket sperimentale per ragazzi disabili». Dietro l’etichetta un po’ burocratica, c’è un metodo unico e all’avanguardia. Comincia tutto dal palleggio. La mano lascia e riprende la palla. Parte un rumore sordo, ritmico. Come la musica di un tamburo. Lo spazio prende forma, il campo si disegna tutt’attorno. Poi, lentamente, lo sguardo si alza, alla ricerca di un compagno a cui passare la palla. La scintilla si accende, il gioco comincia. Obbliga alla relazione. Solo alla fine, arriva il tiro a canestro. Come una sfida finalmente possibile.
Un piccolo miracolo per i bambini autistici, psicotici, spastici e con sindrome di Down che tentano l’avventura. Disabili psichici, per la letteratura clinica. Marco Calamai li chiama semplicemente «i miei ragazzi speciali». Senza inciampare nella retorica, però. I baffi grandi, i capelli folti, che cadono sugli occhi: è lui l’inventore di questa ricetta a metà tra lo sport, la terapia e il gioco.
Cinquantotto anni, fiorentino, una laurea in filosofia, Calamai entra nel mondo del basket dal portone principale. Oltre dieci anni da allenatore. Un oro mondiale, nel 1990, con la Nazionale Militare. E il Campionato Nazionale. Un anno in B, a Ferrara. Poi la A, con un percorso che sembra già segnato: Pavia, Venezia, Firenze, Bologna. Ultima tappa: Livorno.
Ci arriva a metà campionato, con la squadra ultima in classifica. Ricompone lo spogliatoio e scopre un talento, che oggi è un amico: si chiama Gianmarco Pozzecco, il mitico “Poz”. Acchiappa la salvezza, ma la società si sfascia. E anche in lui si rompe qualcosa.
«Il basket è uno sport che ha delle valenze uniche. Ma è anche un mondo che si sta deteriorando. Vinci, ti affermi, guadagni. Ma a un certo punto ti manca qualcosa».
Così Calamai lascia l’agonismo. E nell’estate del 1995 incontra l’Associazione La Lucciola di Modena, che si occupa di un gruppo di pazienti tra gli 8 e i 12 anni con handicap psichici. «Ho visto questi ragazzi, alle prese con situazioni gravi. Ma anche sereni, autonomi, seguiti con terapie all’avanguardia, non convenzionali: giardinaggio, cucina, musica, teatro. Facevano due sport: nuoto ed equitazione. Discipline bellissime, ma individuali. Allora ho pensato che bisognava tentare con uno sport di gruppo. Nel basket c’è una palla: se la butto e l’altro non la prende, il gioco non c’è».
Una mattina di luglio, Marco torna ad allenare. Una ventina di bambini: autistici, Down, psicotici, spastici. Tutti rigorosamente integrati a un gruppo di atleti normodotati. «Bisogna far uscire dal ghetto gli atleti disabili. Le mie squadre sono sempre miste: due disabili e tre normodotati. In questo modo, la bravura dei normodotati riesce a valorizzare le abilità dei portatori di handicap».
Marco ci crede. Crea un gruppo di lavoro anche a Bologna: altri 110 ragazzi che grazie al suo basket sperimentale riescono ad aprirsi, a rompere l’armatura di rabbia, silenzio e dolore che spesso la malattia ti cuce addosso.
«In quattordici anni ho visto risultati incredibili: bambini autistici che hanno pronunciato sul campo di basket la loro prima parola, o psicotici che finalmente hanno trovato uno strumento per contenere l’aggressività e la paura».
Si spinge oltre: cerca uno sponsor (la Emil Banca), una società (la Fortitudo), un sostegno in Federazione e Lega. E nel 2006 mette insieme una squadra, la Over Limits Fortitudo, che iscrive al Campionato Nazionale ANSPI, il circuito degli oratori. Per due anni consecutivi è vicecampione d’Italia. Due settimane fa, in amichevole, con Pozzecco in formazione, batte i campioni d’Italia del Don Orione.
Nel frattempo, insieme alla moglie Angela, Marco scrive un libro (Uno sguardo verso l’alto, Franco Angeli Editore [se ne legga, nel nostro sito, al testo disponibile cliccando qui, N.d.R.]) e lancia sedici Centri in tutta Italia che lavorano con il suo metodo, con oltre 450 ragazzi coinvolti.
«Cosa serve per allenare i ragazzi speciali? La curiosità. È l’unico strumento per non fermarsi di fronte alla paura, la tua e la loro. O al rifiuto. La curiosità ti fa insistere, andare avanti. Cambiare le cose. Provarci, almeno».
*Articolo pubblicato dal quotidiano «l’Unità» del 16 gennaio 2009, con il titolo Disabili senza limiti. L’«Altro Pallone» al laboratorio-basket di Marco Calamai e qui ripreso per gentile concessione.
– In alternativa al pallone d’oro e contro il pallone duro, disponibile cliccando qui
– La gioia di realizzare insieme qualcosa di importante, disponibile cliccando qui.
Informiamo altresì che in You Tube (all’indirizzo che si raggiunge cliccando qui) è visionabile La voglia di osare, sintesi del video allegato al libro Uno sguardo verso l’alto di Marco Calamai. Ringraziamo per la segnalazione la nostra lettrice Lucrezia Argentiero che di tale video ha curato la regia.
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