Com’è noto, il 27 gennaio si celebra in Italia il Giorno della Memoria, che ricorda l’olocausto di milioni di ebrei e le altre vittime dei campi di sterminio nazisti: rom, sinti, omosessuali, testimoni di Geova, popolazioni dell’Est Europa e oppositori politici. «C’è tuttavia – sottolinea la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di Udine – una pagina di quella barbarie che viene spesso ignorata. Una pagina che, invece, va riportata all’attenzione delle nostre coscienze. È quella che riguarda le almeno 80.000 persone disabili oggetto di una sistematica operazione di sterminio avviata da Adolf Hitler al fine di eliminare i cosiddetti “connazionali improduttivi”».
Il primo passo di questo delirante progetto fu compiuto nel 1939, quando, attraverso un Decreto Ministeriale che imponeva la dichiarazione dei neonati “deformi”, venne avviato un programma di soppressione dei bambini con difetti fisici e mentali. Poco dopo la nascita i neonati venivano tolti con l’inganno o con la forza e l’uso di minacce alla famiglia e trasferiti in “reparti per l’assistenza esperta dei bambini”, che altro non erano se non strutture per l’eutanasia. Il loro destino era segnato, cambiava solo il metodo scelto per la loro “eliminazione”: venivano infatti lasciati morire per inedia o avvelenati con dosi massicce di farmaci quali la morfina, il luminal, il veronal e il bromuro. In questo modo ne vennero uccisi, secondo le stime più prudenti, almeno 5.000.
Successivamente Hitler dette l’avvio anche all’operazione di uccisione su larga scala dei disabili adulti, con il famigerato Progetto “T4” [dal numero 4 di Tiergarten Strasse, ovvero l’indirizzo della villa di Berlino, confiscata ad ebrei, dove risiedeva l’ufficio di tale operazione, N.d.R.]. Quelle dei disabili, per il Führer, erano vite “indegne d’essere vissute”. Alla base del progetto c’era anche un criterio di ordine economico e utilitaristico. Infatti, l’eliminazione di questa fascia di cittadini considerati incapaci di produrre e bisognosi di cure continuative, secondo i calcoli dei funzionari del Reich, avrebbe fatto risparmiare in dieci anni all’erario tedesco quasi 900 milioni di marchi.
Il metodo scelto per lo sterminio, in questo caso, fu quello delle camere a gas che iniziarono a funzionare sostenute dalla spietata ed efficiente macchina organizzativa nazista. Nel 1941, Hitler – a seguito della pressione dell’opinione pubblica e della Chiesa – mise ufficialmente fine al progetto in Germania. L’eliminazione dei disabili tedeschi, però, proseguì nei reparti degli ospedali e all’interno degli istituti con iniezioni letali e barbiturici. Le camere a gas, invece, continuarono a funzionare per i disabili ebrei e per quelli dei Paesi occupati dalla Germania nazista, i quali, tra gli internati dei lager, furono sempre tra i primi ad essere destinati ai forni crematori.
Si calcola dunque che nei due anni del “T4” siano state mandate a morte circa 70.000 persone con disabilità, cui vanno aggiunte le migliaia di vite brutalmente spezzate tra il 1941 e il 1945 e per le quali non esiste alcuna contabilità. «Non sappiamo – conclude nel suo comunicato la UILDM di Udine – quanti, tra i milioni di esseri umani che conclusero la loro esistenza nell’inferno di Auschwitz, Treblinka e degli altri lager nazisti, siano finiti in quei campi a causa di qualche loro limitazione fisica o psichica. Ci sembra tuttavia importante celebrarne la memoria con la stessa attenzione e dignità riservata alle altre vittime di quella tragedia, per questo chiediamo che nelle cerimonie e nelle occasioni di riflessione che si succederanno in questi giorni non ci si dimentichi dei disabili vittime dell’olocausto». (I.C.)
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