Dicono che sopra la terra nera
la cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o di opliti, o di navi,
io dico: quello che s’ama
Saffo (poetessa greca vissuta intorno al 640 a.C.)
Almeno a parole la nostra Costituzione riconosce a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge. Nella realtà invece essere lesbiche, gay, bisessuali o transessuali (LGBT) può costituire ancora motivo di derisione, sarcasmo, discriminazione e violenza. Che nel nostro Paese, poi, per le persone con un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità alcuni diritti civili siano ancora una realtà virtuale, lo dimostra anche (soprattutto) il fallimento delle molteplici iniziative volte a riconoscere e a disciplinare giuridicamente la condizione delle coppie di fatto.
Nel luglio del 2007 veniva pubblicato Abili di cuore. Omo-disabilità: quale rapporto tra omosessualità e disabilità?, un rapporto di ricerca di Priscilla Berardi e Raffaele Lelleri [lo studio è stato promosso da Arcigay, con il sostegno del Centro Bolognese di Terapia della Famiglia (CBTF), del Centro Documentazione Handicap (CDH) di Bologna e dell’Associazione Handygay di Roma. Se ne può leggere, anche nel nostro sito, al testo disponibile cliccando qui, N.d.R.].
L’opera, di grande interesse, espone i risultati di un’indagine di tipo qualitativo volta a esplorare la condizione della persona con disabilità omosessuale. I dati sono stati raccolti attraverso delle interviste rivolte a 25 persone con disabilità omosessuali (22 maschi e 3 femmine), di età eterogenea (tra i 24 e i 60 anni, con una media pari a 38 anni) e titolo di studio medio-alto.
Questi, in modo molto sintetico, alcuni dei tratti riscontrati: «la compresenza di omosessualità e disabilità è raccontata da quasi tutti gli intervistati come un evento che comporta difficoltà nella vita quotidiana, privata, lavorativa e sociale, sia di tipo relazionale che di tipo pratico» (op. cit., p. 27; nel testo originale erano presenti alcune sottolineature che sono state omesse, N.d.C.).
L’autonomia e l’accettazione di sé da parte degli intervistati è fortemente influenzata dal rapporto con i propri familiari e dal loro atteggiamento rispetto alla disabilità e all’omosessualità. Solo in pochissimi casi il coming-out (“venire fuori”: ovvero la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale) è avvenuto esplicitamente in tutti gli ambiti della vita degli intervistati. Spesso, rispetto al coming-out, il gruppo amicale si rivela il contesto di maggiore accoglienza. Alcuni degli intervistati devono affrontare un doppio coming-out: quello relativo all’omosessualità e quello inerente la disabilità (quando questa non è evidente), scontrandosi spesso con un duplice rifiuto. E ancora, la maggioranza degli intervistati ha riscontrato nel mondo omosessuale discriminazione, disinteresse e distacco a causa della propria disabilità. Il rifiuto dell’handicap e la presenza di barriere fisiche e ambientali che limitano l’accesso ai luoghi di incontro e scambio fanno sì che la ricerca di partner affettivi e sessuali sia spesso fonte di delusione e frustrazione. Non mancano tuttavia casi di persone che vivono o hanno vissuto esperienze di coppia, affettive e sessuali soddisfacenti. Infine, sia le associazioni di disabili che quelle di LGBT sono poco frequentate e sottoposte a critica: le prime perché considerate poco sensibili alle tematiche della sessualità e delle identità sessuali, le seconde perché descritte come poco supportive.
Rispetto allo specifico della donna con disabilità lesbica, colpisce il fatto che su 25 intervistati solo 3 siano donne e che tutte e tre riferiscano di «un maggior grado di accoglienza della propria disabilità da parte del mondo femminile» (op. cit., p. 42); nessuna di loro, in sostanza, ha evidenziato atteggiamenti rifiutanti da parte delle altre donne.
Dai risultati, poi, delle ricerche effettuate consultando la banca dati PsycINFO, si rileva che dei 90 articoli e pubblicazioni scientifiche pubblicati in ambito di omosessualità e disabilità tra il 1970 e il 2006, solo due affrontano il tema dell’omosessualità delle donne disabili (op. cit., p. 16). Se ne ricava un dato di poca visibilità della condizione della donna disabile lesbica.
Per conoscere meglio questa realtà abbiamo dunque rivolto qualche domanda a Priscilla Berardi, psicoterapeuta e coordinatrice operativa dell’indagine Abili di cuore, e a Raffaele Lelleri, sociologo, che si è occupato di salute e diversità in riferimento alle minoranze sessuali in Italia (www.lelleri.it). Li ringraziamo moltissimo per la disponibilità.
Perché in Italia c’è tanta difficoltà ad accogliere l’idea che due persone (di sesso uguale o diverso) che si scelgono, si amano e condividono un tratto della loro vita possano essere considerati e trattati come una famiglia?
Lelleri: Come purtroppo succede nel nostro Paese, la classe politica è molto in ritardo rispetto alla società. I sondaggi lo dimostrano: l’opinione pubblica è pronta e chiede un cambiamento. Del resto, molte persone e molte famiglie già vivono in situazioni non previste dalla legge, senza tutela. Ma il Governo non se ne cura perché, invece che dialogare e rispondere alla propria base, pare privilegiare il contatto con élite e centri di potere, spesso non democraticamente costituiti. Questa è una situazione che reputo molto preoccupante, ché spinge ulteriormente i nostri rappresentanti fuori dal mondo reale, quello delle aspirazioni e delle richieste dei cittadini e delle cittadine.
A ciò si aggiungono, inoltre, due nodi irrisolti tipicamente italiani: la doppia morale di molti protagonisti della scena pubblica (proclamo una cosa, ma ne faccio un’altra), da un lato, e il carattere fortemente ideologico della discussione su questi temi, che dà spazio più alle rituali dichiarazioni di fedeltà assoluta a una certa verità piuttosto che al dialogo, alla comprensione e alla proposta di soluzioni in riferimento ai problemi della vita quotidiana.
Secondo me, infine, vi è una grande falsità di fondo: che l’istituto della famiglia italiana si regga grazie al privilegio secondo cui in molti non vi possono accedere. Al contrario, io credo che più persone sono felici di realizzarsi pienamente, al di là delle caste, migliore è il benessere nazionale, di tutti.
Negli ultimi anni si è registrata una maggiore attenzione rispetto al tema dell’omodisabilità. In genere sia gli omosessuali sia i disabili sono “portatori” di svantaggio, bersaglio di pregiudizi e atteggiamenti emarginanti. Ci sono altri elementi in comune tra questi due gruppi?
Berardi: Credo che, a parte la percezione di sentirsi discriminati che queste due identità hanno in comune, il tipo di pregiudizio e di emarginazione abbia una connotazione diversa nei due gruppi: etichette morali sull’omosessualità, etichette estetiche e funzionali sulla disabilità.
La disabilità è giuridicamente e istituzionalmente più tutelata dell’omosessualità, anche quando la tutela presenta delle falle. Per le persone portatrici di disabilità non evidenti – che devono essere dichiarate per essere conosciute – esiste la necessità di un coming-out che talvolta può essere evitato o difficile tanto quanto quello dell’omosessualità, perché fatto nel timore di un rifiuto. Ma, anche così, il rifiuto ha comunque un’accezione diversa nei due casi.
Esistono delle differenze tra gli uomini e le donne nei percorsi di autoaccettazione della propria omosessualità?
Lelleri: Certamente, anche perché, sebbene omo-bisessuali, i gay e le lesbiche rimangono maschi e femmine e quindi sono socializzati al ruolo di genere al pari delle persone eterosessuali.
Due aspetti vanno inoltre considerati: la strutturazione identitaria e il significato sociale delle etichette disponibili per definirsi. In merito al primo aspetto, la ricerca psicologica dimostra come quella femminile è al giorno d’oggi un’identità più “fluida” e onnicomprensiva di quella maschile, ovvero che si sviluppa meno attraverso barriere interne e contrapposizioni con altri gruppi sociali. Anche per questo motivo, le donne paiono meno omofobiche e più prossime alla bisessualità – non necessariamente praticata – degli uomini.
In merito al secondo aspetto, l’indagine sociologica evidenzia come, diversamente dal termine gay, che in Italia è stato sostanzialmente sdoganato nella percezione collettiva, il termine lesbica è tuttora fortemente svalutato e connotato negativamente. Anche per questa ragione, specie tra i più giovani, meno donne con comportamenti omosessuali si definiscono lesbiche rispetto alla loro controparte maschile (si veda a tal proposito la ricerca Modi Di, in www.salutegay.it/modidi).
Nella nostra società sono state riscontrate reazioni differenziate nei confronti delle lesbiche e degli uomini omosessuali?
Lelleri: Non è facile trarre conclusioni al riguardo, visto che non abbiamo un sistema di rilevazione consolidato. La maggior parte delle discriminazioni, infatti, rimane sconosciuta. In ogni caso, pare che le reazioni siano piuttosto diverse.
Innanzitutto, le lesbiche sono rappresentate come desiderabili sessualmente dagli uomini eterosessuali molto più che i gay da parte delle donne eterosessuali. In alcune situazioni ciò ha comportato, purtroppo, casi di molestia e persino di stupro.
Più in generale, le donne omosessuali vivono più spesso in un contesto sociale di invisibilità. La loro identità e la loro vita sono ignote ai più. E se da un lato questa minore riconoscibilità le può proteggere di fatto da atti di violenza mirata, dall’altro lato le relega in una condizione di maggiore solitudine nello sviluppo della propria identità (modelli di riferimento, cultura).
Di certo, i gay sono più presenti nell’arena pubblica e mass-mediatica. Secondo alcuni osservatori, ciò è un esempio di doppia discriminazione: in quanto donne e in quanto omosessuali.
Dal rapporto di ricerca del 2007 Abili di cuore, si evince che solo 3 delle 25 persone omodisabili intervistate erano donne. Come interpretare questo dato?
Berardi: Possiamo ipotizzare che, per ragioni da esplorare, solo le donne che hanno storie positive abbiano risposto alla richiesta di raccontarsi nell’indagine, oppure che il campione femminile sia esiguo perché non siamo riusciti a trovare il canale giusto per informare il mondo femminile e convincere più donne a farsi intervistare.
Tutte e tre le donne omo-disabili intervistate in occasione della ricerca Abili di cuore testimoniano una maggiore disponibilità all’accoglienza della propria disabilità da parte del genere femminile. Risultano altri riscontri in tal senso o in senso contrario?
Berardi: I dati sono scarni e andrebbero condotte indagini su ampia scala per poterne dare un’interpretazione. Con le conoscenze in nostro possesso possiamo fare solo ipotesi, che andrebbero verificate con indagini adeguate.
Possiamo pensare che le donne siano maggiormente educate, sin da piccole, all’accoglienza, all’accudimento, e quindi all’accettazione delle differenze, e che questo si manifesti sia nelle relazioni omo che etero-sessuali. Ma non esistono studi completi neppure sulle donne eterosessuali e i loro partner con disabilità. Ci vorrebbe uno studio serio e ampio sulle coppie omo ed etero in cui uno dei due partner ha una disabilità.
Oggi cosa si sa dell’omo-disabilità al femminile?
Berardi: Non ci sono studi specifici sull’argomento, sarebbe interessante poter approfondire il tema con una nuova indagine ad hoc.
Nel panorama delle diverse iniziative intraprese nel nostro Paese per far conoscere e migliorare la condizione delle persone omo-disabili, sono previsti accorgimenti che prendano in considerazione la specificità femminile?
Berardi: Non ne sono a conoscenza. Non sono a conoscenza neppure di interventi per migliorare la condizione delle persone omosessuali con disabilità, in generale.
*Componente del Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Testo realizzato per il sito di tale Gruppo e qui ripreso per gentile concessione.
– Esiste un forum sull’argomento, chiamato “17 giugno” (cliccare qui) in cui si incontrano virtualmente persone omo/etero-sessuali, disabili e non, per discutere su queste tematiche e talvolta organizzare attività e iniziative. Per proposte, richieste, offerte di collaborazione è possibile rivolgersi all’Associazione Arcigay.
– Non esiste invece una vera e propria associazione che riunisca le persone omosessuali con disabilità fisiche: infatti, nonostante le numerose proposte giunte alla mail aperta per l’indagine Abili di cuore, creare un’associazione nazionale impone numerose difficoltà pratiche ed economiche.
– Esiste un’associazione di gay non udenti legata aall’Arcigay di Milano, chiamata “Triangolo Silenzioso” (cliccare qui) e e un sito di gay non vedenti (cliccare qui). www.gaynonvedenti.it.
– Per quanto poi riguarda il report della ricerca Abili di cuore, su cui basa questo servizio, esso può essere scaricato dal sito di Raffaele Lelleri, cliccando qui.
– Per leggere infine l’intervento tenuto all’Istruttoria Pubblica sulle Politiche per il Superamento dell’Handicap del Comune di Bologna nel gennaio del 2008, cliccare qui.
È certamente una delle esperienze oggi più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – quella avviata nel 1998 dal Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), costituitosi allora, in modo informale, in occasione delle Manifestazioni Nazionali di Palermo dell’Associazione.
I suoi obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Anna Petrone, Gaia Valmarin e Marina Voudouri) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Il risultato di questi sforzi è raccolto nella sezione Altri documenti d’interesse, comprendente interessanti dossier su temi quali la gravidanza, l’invecchiamento, le donne e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, la discriminazione in ambito sanitario e altri ancora.
Particolarmente significativa anche la sezione Donne e disabilità nel cinema, ove, come spiega Annalisa Benedetti, «sono elencati quei film che, secondo noi, attraverso storie vere piuttosto che puramente inventate, hanno messo “in movimento” pensiero e anima di donne speciali, suddivisi nelle seguenti aree tematiche: disabilità fisica, disabilità sensoriale, disagio psichico».
Da ricordare, infine, un altro dei principali canali attraverso i quali si è incentrata in questi anni l’attività del Gruppo Donne UILDM, vale a dire la promozione di eventi seminariali i quali hanno dato vita ad altrettante pubblicazioni, tenute insieme nella collana denominata Donne e disabilità.
Tutti i testi prodotti dal Gruppo Donne UILDM (compresi quelli appartenenti alla collana Donne e disabilità) sono disponibili all’interno del sito www.uildm.org ed esattamente nella sezione che si raggiunge cliccando qui.