Dove ognuno si senta davvero a casa sua*

di Luisella Bosisio Fazzi**
Esigenze fisiche, bisogni psicologici e affettivi, bisogni cognitivi e mantenimento delle competenze acquisite, bisogni spirituali e vita quotidiana: sono gli aspetti che devono sempre essere rispettati, protetti e assicurati, per far sì che una persona con disabilità - specie se in situazione di grande dipendenza - possa davvero sentirsi "a casa sua". Un'analisi ampia sul senso stesso dell'"abitare", con una "stella polare" costante, come la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità

Persona in carrozzina sale in casa con un montacarichiNella vita si ha spesso la sensazione, e a volte la certezza, che gli eventi accadano come seguendo un disegno scritto da altri e non come risultato della propria storia. Oggi, per me, è una di quelle occasioni in cui sembra appunto che la mia vita si sia svolta e sviluppata per arrivare proprio qui, un giorno, a parlare di abitare, di casa, di diritti e di casa dei diritti.
L’imponderabile – o forse proprio il “disegno scritto da altri” – mi ha portato infatti a ricoprire da un paio d’anni la carica di presidente di una fondazione che opera affinché le persone con disabilità, ormai diventate adulte, possano, al di fuori della famiglia di origine, vivere una vita piena e serena [si tratta di FONOS, Fondazione Orizzonti Sereni, N.d.R.].
Si può benissimo capire, quindi, come mi senta coinvolta in questo convegno e il mio intervento non potrà non tener conto della mia storia personale, quella di rappresentante del movimento della disabilità e ora di responsabile della suddetta fondazione.

Nel 2006 – e precisamente il 29 novembre – eravamo pure qui, a parlare di diritti, all’interno del seminario Vivere insieme [il nostro sito se ne occupò con il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.] e a discutere sul presente e il futuro dei servizi residenziali per le persone con disabilità. Era stato appena approvato il testo della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e si avvicinava la cerimonia di apertura delle firme della stessa [sarebbe successo il 30 marzo 2007, N.d.R.].
Oggi, a distanza di quasi tre anni, possiamo dire che la Convenzione è abbastanza conosciuta e quindi, a differenza di allora, cercherò di focalizzare la questione dei diritti tentando di inquadrarla concretamente nella tematica di oggi.

Partiamo proprio dal titolo che ho scelto per questa mia relazione, Nella casa dei diritti. Ebbene, nella casa dei diritti, i diritti – umani – appartengono sia a chi ne è consapevole ed è in grado di farli valere, sia a chi non lo è. Essi rispondono ad un’universalità dei diritti: valgono infatti per ciascuno e per tutti. Se non è così, diventano “privilegi”.
Nella casa dei diritti, i diritti non sono separati dal concetto di garanzia (tutela, protezione) e quindi di autorità in funzione di essa.
Sui diritti umani si fonda l’etica dell’agire, nel senso che ogni azione è predeterminata a funzioni di garanzia dei diritti, di soddisfacimento di quei bisogni vitali, materiali e spirituali, che il Legislatore riconosce come diritti fondamentali: astenendosi, cioè, dall’invadere la sfera delle libertà personali (diritti civili e politici) e operando per contribuire a colmare le disuguaglianze economiche e sociali (diritti economici, sociali e culturali).
La casa, inoltre, non è solo il luogo fisico costruito e abitato dagli uomini, ma è anche una rappresentazione simbolica che nel nostro caso va a costituirsi come le fondamenta stesse della vita di un individuo per cui “essere a casa” equivale a “essere integri”, significa possedere le capacità individuali e personali, familiari e coniugali, sociali, economiche, culturali e politiche.
Un’altra funzione importante della casa è quella di fornire una base coerente alla storia delle famiglie, “riunendo” tutti i momenti che gli individui hanno vissuto, da quelli peggiori a quelli migliori. Essere famiglia, vivere in famiglia, fare famiglia è un modo per diventare  presenti, comprensibili e possedere un senso di continuità e di prevedibilità. Entrare nella casa dei diritti significa allora fornire una base coerente alla storia e conferire senso al proprio passato, alla luce del presente, nella prospettiva del futuro. Un passato, un presente e un futuro che per le persone con disabilità ha sempre fatto, fa e farà i conti con i diritti umani.

Donna con disabilità in cucina, insieme a un'assistenteA questo punto diventa certamente utile rileggere alcuni passaggi della Convenzione ONU, come l’articolo 1 (Scopo) che parla testualmente di «promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità».
Questo sta a significare in sostanza che gli Stati devono:
– rispettare: astenendosi da azioni che potrebbero violare i diritti umani;
– proteggere: assicurando che tutti gli altri attori – diversi dallo Stato – rispettino i diritti umani;
– assicurare: assumendo tutte quelle misure legislative, finanziarie, politiche, sociali, educative ecc. per migliorare il godimento dei diritti umani.
Oppure l’articolo 3, quello dei Principi generali, nel quale questi ultimi vengono enumerati nel seguente modo:
«(a) Il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone;
(b) La non-discriminazione;
(c) La piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società;
(d) Il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa;
(e) La parità di opportunità;
(f) L’accessibilità;
(g) La parità tra uomini e donne;
(h) Il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità».

Ci sono due concetti che abbiamo voluto evidenziare in grassetto: innanzitutto quello di partecipazione e inclusione, entrambi elementi cruciali nello sviluppo degli approcci basati sui diritti. Partecipazione e inclusione da intendersi non semplicemente come fini a se stessi, ma come idee importanti nei processi decisionali e nelle programmazioni. Attraverso la partecipazione e l’inclusione, diventano infatti più comprensibili le necessità e le preoccupazioni delle persone con disabilità coinvolte e le stesse hanno l’opportunità di far conoscere le loro opinioni in merito alle decisioni. In tal modo diventano anche più visibili all’interno della società, ciò che può permettere il cambiamento di percezione e delle attitudini nei loro confronti.
Come detto, dunque, nella Convenzione questo concetto è un principio generale (articolo 3), ma anche un obbligo generale (articolo 4) e un articolo a sé stante (il 29: Partecipazione alla vita politica e pubblica), oltre ad essere inserito pure nell’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport).
E ancora, il principio di inclusione è riferito anche al diritto all’educazione (articolo 24), al diritto a vivere nella propria comunità (articolo 19) e all’abilitazione e riabilitazione (articolo 26).

Donna in carrozzina entra in casaL’altro concetto evidenziato è quello dell’accessibilità, da intendere come elemento essenziale per consentire alle persone con disabilità di vivere indipendentemente e di partecipare pienamente alla vita. Si tratta in sostanza della base fondamentale per poter godere di tutti gli altri diritti:
– Accesso alla giustizia (articolo 13)
– Vita indipendente ed inclusione nella società (articolo 19)
– Libertà di espressione e opinione e accesso all’informazione (articolo 21)
– Educazione (articolo 24)
– Salute (articolo 25)
– Abilitazione e Riabilitazione (articolo 26)
– Lavoro e occupazione (articolo 27)
– Adeguati livelli di vita e protezione sociale (articolo 28)
– Partecipazione alla vita politica e pubblica (articolo 29)
– Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport (articolo 30).

Dopo tutte queste premesse diventano forse più chiari i tre punti di riflessione che vorrei qui proporre, basati su altrettanti quesiti:
– Cosa si intende con le parole “a casa mia”? Cosa significa abitare per le persone con disabilità? Cosa significa abitare per le persone con disabilità che non possono rappresentarsi da sole?
Ebbene, abitare significa vivere in un ambiente strutturato dove le relazioni interpersonali e comunitarie consentano la manifestazione di comportamenti differenziati, autonomi e ancorati a motivazioni personali o di gruppo. Un ambiente, un luogo dove si possano sviluppare progetti articolati e realistici per ogni suo “abitante”.
Abitare significa inoltre la capacità di rispondere non solo ai bisogni di alloggio, vitto, tutela e assistenza, ma anche di assicurare la continuità della storia di ciascun “abitante”, gli stretti legami con l’ambiente circostante, per mantenere e sviluppare vecchi e nuovi rapporti stabili.
Si tratta di un abitare dove il  benessere psicofisico di ciascuno è l’obiettivo primario di  chi  gestirà la casa il quale dovrà sempre ricercare con serietà, competenza e spirito di servizio le risposte più adeguate ai bisogni, materiali, psicologici, spirituali di tutti, fornendo prestazioni integrate e personalizzate, rispettose delle peculiarità soggettive.
Un abitare, infine, dove ognuno “si senta a casa sua”, in un ambiente che sa di famiglia, in cui tutto sia improntato sul rispetto delle persone e delle cose, sulla stima reciproca e in cui si possa crescere nell’autonomia personale e nella ricchezza delle  relazioni interpersonali.
E  allora non possiamo fare a meno di tener conto di quegli aspetti che forse per noi “addetti ai lavori” sono automatici, ma che per le persone con disabilità – specialmente in situazione di grande dipendenza – devono essere sempre rispettati, protetti e assicurati. Parliamo, in sostanza di:
– esigenze fisiche;
– bisogni psicologici e affettivi;
bisogni cognitivi e mantenimento delle competenze acquisite;
– bisogni spirituali;
– vita quotidiana.

In conclusione vorrei riportare ancora una volta l’attenzione sulla questione della ratifica della Convenzione ONU, da parte del nostro Paese, l’unico atto giuridicamente valido che potrà modificare, attraverso la sua applicazione, la cultura e gli atteggiamenti verso le persone con disabilità.
Con la sua applicazione fedele e quindi con il rispetto dei diritti umani, si cambierà la cultura stessa della qualità della vita.
Da quanto è successo nei giorni scorsi [il riferimento è alla vicenda di Eluana Englaro, N.d.R.], possiamo trovare un esempio concreto di questa mia affermazione. Su quella donna e sulla sua famiglia si sono accaniti i vari schieramenti e come “branchi di cani inferociti” giravano quasi impazziti attorno al cerchio di fuoco in cui era.
Per un po’ si sono riempiti la bocca sventolando la Convenzione, ma qualcuno ha ricordato loro che la Convenzione stessa, una volta ratificata,  non avrebbe solo contemplato il diritto alla vita, ma, secondo il principio di universalità, li avrebbe anche obbligati a rispettarne tutti gli articoli dal primo all’ultimo.
E quindi non solo l’articolo 10 (Diritto alla vita), ma anche il 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge), il 14 (Libertà e sicurezza della persona), il 15 (Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti), il 16 (Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti), il 17 (Protezione dell’integrità della persona), il 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società), il 22 (Rispetto della vita privata), il 23 (Rispetto del domicilio e della famiglia), il 28 (Adeguati livelli di vita e protezione sociale) e per finire l’articolo 25, Diritto alla salute, che al punto f) recita: «Prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e fluidi sulla base della disabilità».

Bastava dunque ratificare e trasformare in Legge dello Stato quel Trattato Internazionale e ci saremmo risparmiati uno spettacolo indegno, dove il corpo e la vita di una donna e della sua famiglia sono stati usati come “campo di battaglia” ove scorrazzare a piacimento, confondendo la battaglia stessa con la protezione dei diritti umani di quella donna e della sua famiglia.

*Adattamento della relazione presentata al Convegno di Milano dell’11 febbraio 2009, intitolato A CASA MIA. L’abitare per le persone con disabilità (presentato dal nostro sito al testo disponibile cliccando qui).
**Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità); presidente di FONOS (Fondazione Orizzonti Sereni).

La Convenzione sulla Disabilità nel mondo:
chi ha ratificato e chi non lo ha fatto

Ad oggi, 18 febbraio 2009, sono esattamente 48 i Paesi che hanno ratificato la Convenzione. Questo il loro elenco (in ordine cronologico di ratifica):
– Giamaica (30 marzo 2007) – Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Cuba (6 settembre 2007) – Gabon (1° ottobre 2007) – India (1° ottobre 2007) – Bangladesh (30 novembre 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – Nicaragua (7 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Giordania (31 marzo 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Egitto (14 aprile 2008) – Honduras (14 aprile 2008) – Filippine (15 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Qatar (13 maggio 2008) – Kenya (19 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Australia (17 luglio 2008) – Thailandia (29 luglio 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Cina (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Turkmenistan (4 settembre 2008) – Nuova Zelanda (25 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Lesotho (2 dicembre 2008) – Corea del Sud (11 dicembre 2008) – Ruanda (15 dicembre 2008) – Svezia (15 dicembre 2008) – Oman (6 gennaio 2009) – Azerbaijan (28 gennaio 2009) – Uruguay (11 febbraio 2009).

Per quanto riguarda invece il Protocollo Opzionale alla Convenzione (testo che consentirà al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta), a ratficarlo sono stati finora i seguenti 28 Paesi:
– Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Bangladesh (12 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Ruanda (15 dicembre 2008) –  Svezia (15 dicembre 2008) – Azerbaijan (28 gennaio 2009).

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