La distrofia muscolare di cui sono affetta mi costringe ogni giorno a fare i conti con i miei limiti e le mie capacità. Sono di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, ma per una serie di ragioni personali, vivo a Roma che mi dà, insieme allo stress di una grande città – con traffico, disagio delle distanze, frenesia dei ritmi accelerati, confusione e tanta burocrazia, ovvero tutte cose che ben poco si adattano al passo di una carrozzina – anche una grandiosa possibilità per non soccombere e per cercare percorsi alternativi alla mia esistenza.
Si tratta dell’assistenza indiretta, risultato della nota Legge 162/98, ottenuta dopo tanto penare. C’è stato infatti un movimento di persone con disabilità che ha lottato per farla passare, mobilitandosi poi per spiegarla e seguirla nelle varie fasi di elaborazione e attuazione. Come “paladini” pronti a difenderla per non rischiare di vederla svilire nella sua essenza, abbiamo anche accettato che la norma fosse modificata in qualche parte, pur di farla nascere, cosicché oggi l’assistenza indiretta è una realtà se non altro riconosciuta e condivisa.
Sono una persona disabile, dicevo prima, che per le ragioni sopra esposte e per altre più profonde e poco elencabili, decide oggi di tornare nel suo paese.
La situazione in Puglia è però tutt’altro che allegra e le poche ore di assistenza rasentano davvero il ridicolo, in modo tale che una persona alla quale necessitano servizi vitali rimane ancora e sempre maledettamente “bloccata” e impossibilitata a gestire la propria vita in una sacrosanta autonomia.
Ma tutto questo – al di là della stessa Puglia – non è più accettabile, non si può lasciare che Comuni e Regione continuino a non dare risposte adeguate e urgenti, non si può non denunciare questa ingiustizia e spingere affinché vi si ponga rimedio.
Non può essere che il destino di una persona disabile sia tanto condizionato dal posto in cui vive o in cui pensa di voler vivere, per l’inadempienza e la scarsa volontà delle amministrazioni locali.
Questo appello lo faccio sì per me – in prospettiva di un mio trasferimento – ma lo faccio anche e soprattutto per i miei due fratelli, già residenti ad Acquaviva, che arrancano come possono con l’assistenza, quando è data, coprendo giusto qualche ora settimanale e lasciando che le altre prestazioni indispensabili siano pagate direttamente da loro, con uno sforzo economico insostenibile per le loro reali necessità. E il resto? Un terno al lotto! Una sopravvivenza lontana dall’essere considerata veramente una vita vissuta nel pieno delle sue potenzialità!
Come loro, tanti altri aspettano che vi sia un’equa opportunità dove c’è un’equa sofferenza. Io sono disposta e disponibile a riprendere il filo dell’ingiustizia e a far valere i miei diritti. Mobilitiamoci, dunque, e rendiamo concreta questa speranza!
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