«Per un’adeguata applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità sono necessarie politiche “continuative” che richiedono coordinamento tra i vari attori, cambiamento nella mentalità e nell’applicazione, creazione di competenze, gestione delle conoscenze e il coinvolgimento delle persone con disabilità e delle organizzazioni che le rappresentano».
Lo ha dichiarato Ombretta Fortunati, consigliera delegata alla Partecipazione e alla Tutela dei Diritti delle Persone con Disabilità della Provincia di Milano, nel corso della seduta provinciale straordinaria da lei stessa voluta, per parlare appunto della Convenzione ONU.
«Il primo passo – ha aggiunto Fortunati – dovrà essere la verifica della congruenza delle leggi nazionali con il dettato della Convenzione e la modifica delle norme nazionali che si rivelassero incongruenti. Altro aspetto fondamentale è rappresentato dalla raccolta dei dati: al momento, infatti, i dati pubblici sulla disabilità sono disomogenei e con poche informazioni; spesso, in sostanza, i numeri indicati corrispondono a stime, in quanto nel nostro Paese non esistono modalità oggettive di rilevazione del fenomeno. Sarebbe invece opportuno raccogliere i dati inerenti non solo al peso economico sul bilancio pubblico, ma anche quelli relativi alle condizioni di discriminazione, alla mancanza di pari opportunità, alla qualità della vita, alla libertà di scelta, per definire poi le politiche di inclusione sociale. Il monitoraggio è del resto la modalità sistematica e periodica di controllare il livello di applicazione e implementazione da parte delle varie nazioni che hanno ratificato la Convenzione e anche questo processo dovrà essere effettuato in maniera partecipata, cioè attraverso il coinvolgimento della società civile, delle persone con disabilità e delle associazioni che le rappresentano, sia a livello nazionale che locale».
«Per la Provincia di Milano – ha concluso Fortunati – l’Expo del 2015 potrà certamente rappresentare un’ulteriore occasione e sfida. Per le persone con disabilità non si auspicano infatti progetti ad hoc, ma la possibilità di attuare uno sviluppo sostenibile basato sull’idea di fare le “cose giuste” fin dall’inizio (cradle to cradle), anziché correggere in seguito gli errori passati. Il tutto in un’ottica definita di universal design. Questo significa pensare a dei progetti inclusivi già in sede di progettazione, coinvolgendo nelle varie fasi le associazioni rappresentative delle persone con disablità». (A.P.)
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