Matteo ha quattordici anni ed è un ragazzo con disabilità gravissima, un giovane studente il cui Piano Educativo Individualizzato [PEI, N.d.R.] prevede l’integrazione nella seconda media dell’Istituto Oscar Levi di Chieri (Torino).
Matteo, però, vive da mesi in una situazione precaria, nella quale la continuità del progetto educativo è minata dalle continue assenze del suo insegnante di sostegno, che ha richiesto al direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale – e ottenuto – 150 ore di permesso-studio per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento della musica strumentale nelle medie.
Ma non solo. Il docente ha diritto anche a permessi ordinari, che ovviamente sfrutta, così come ai permessi per malattia e per le esigenze di una figlia in giovane età. Risultato: negli orari assegnati all’altro insegnante di sostegno Matteo è seguito nello studio, tutelato nei suoi bisogni, aiutato nelle sue crisi, ma il resto è un’incognita totale. I permessi per studio (180 moduli equivalenti a 150 ore piene) possono essere presi, per norma, semplicemente comunicando l’assenza al dirigente scolastico il quale, però, si trova a dover fare letteralmente i “salti mortali” per tappare le falle, chiedendo sacrifici agli altri insegnanti – il cui ruolo non è quello del sostegno – oppure occupandosi di Matteo in prima persona. Per due mesi circa, poi, il dirigente ha anche assunto un supplente cui però la scuola non ha poi potuto rinnovare il contratto per carenza di fondi.
Eppure la normativa è chiara e lampante: il docente di sostegno esercita solo diritti contrattuali, innegabili. Evidentemente, il diritto all’integrazione scolastica per il ragazzo e alla serenità per la famiglia non lo sono altrettanto. Evidentemente è conforme allo spirito della normativa sull’integrazione scolastica che un giovane alunno venga sballottato da un insegnante all’altro, senza la certezza di un contatto umano costante e di un percorso educativo continuo, come una scomoda e ingombrante suppellettile. E se le esigenze di igiene impongono un cambio, ovviamente l’insegnante di sostegno improvvisato non può e non deve saperlo: e, prima che si accorga dell’urgenza, Matteo – che non può urlare e difendere i propri diritti – soffre.
Per quest’anno, dunque, sembra proprio che la vita scolastica di Matteo sia destinata a continuare così, ma è necessario che venga prontamente posto rimedio a una normativa che rimette esclusivamente al “buon cuore” di un dirigente scolastico e dei suoi insegnanti il benessere di una persona e il successo di un Piano Educativo. Si sa, infatti, che buon cuore e buon senso non sono patrimonio di tutti e quindi è necessario porre mano a una normativa che definisca dove finisce il diritto di un insegnante e dove inizia il suo dovere. Ed è necessario, ancora, che sia ben chiaro a chi accetta un ruolo da insegnante di sostegno che al suo lavoro è affidata una persona fragile, indifesa, da tutelare e con essa la serenità di una famiglia. Il suo senso del dovere non può e non deve essere annacquato. Altrimenti scelga un incarico in cui la sua presenza o la sua assenza sono meno rilevanti.
«La Consulta per le Persone in Difficoltà (CPD) di Torino si è attivata – afferma il presidente di quest’ultima Paolo Osiride Ferrero – affinché tutte le parti interessate, dai dirigenti scolastici ai politici, trovino in fretta una soluzione affinché casi come quello di Matteo non possano ripetersi. Vogliamo una risposta per Matteo e per la sua famiglia e garanzie per il futuro per tutti i ragazzi che frequentano la scuola e intendiamo fare di tutto per ottenerle. Spero che chi di dovere sappia reagire con prontezza ed efficacia».
*Ufficio Comunicazione della CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà) di Torino.
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